È morto ieri a 79 anni lo scultore Nicola Zamboni, autore molto noto della scena bolognese per le sue opere realizzate con i materiali più svariati, tra cui legno e rame. Il sindaco della città felsinea Matteo Lepore lo ha ricordato sui social:
“Raramente ho visto la poesia farsi scultura. Raramente l’ho vista commuovere e muovere un moto di giustizia e amore. Il suo percorso ha segnato fortemente l’arte e il nostro territorio. Tanto che, ne sono sicuro, in molti ricorderanno ora di avere visto una sua opera di rame o di pietra”.
Come allievo e assistente di Quinto Ghermandi, Zamboni ha insegnato all’Accademia di Bologna e a quella di Brera. Viveva a Sala Bolognese con la compagna e artista Sara Bolzani, in una casa divenuta parco ed atelier. Con lei ha condiviso oltre vent’anni di carriera fino all’ultima mostra allestita a Ferrara, nel cortile del Castello Estense tra il 2021 e il 2022, più volte prorogata visto il successo di pubblico e le richieste perché divenisse permanente. “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori. Umanità” era curata da Pietro di Natale e rendeva omaggio ai personaggi ariosteschi con enormi sculture in rame.
Zamboni ritraeva la figura umana con forme realistiche, con un’attenta ricerca del particolare e a grandezza naturale, in grandi opere corali che richiedevano l’impiego di varie tecniche di modellazione: sculture realizzate con diversi materiali tra cui ceramica, cemento, pietra, legno e rame. È suo il grande monumento a Marzabotto posto nel 1975 di fronte alla sede comunale, come pure più monumenti che commemorano la strage di Bologna in varie città italiane. Suo anche un piccolo giardino d’ispirazione medievale con statue allegoriche in una delle corti del PEEP Cavedone in via Ferrara a Bologna. A Ferrara aveva esposto anche alla Galleria del Carbone e alla Libreria La Pazienza negli anni più recenti.
Per l’enorme lavoro esposto nel cortile del Castello a Ferrara Zamboni e Bolzani avevano lavorato gomito a gomito per oltre vent’anni. Umanità era ispirata al trittico con la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello: l’opera – a grandezza naturale, in rame e terracotta – è una straordinaria allegoria della vita e dei tempi antichi e moderni. Accanto a cavalieri che combattono in sella a possenti destrieri, nucleo fondante dell’insieme, e a personaggi di sapore epico-cavalleresco, vi figurano alcuni attori dei nostri giorni, emarginati, migranti, profughi, “vite di scarto” che, marciando in silenzio, incarnano gli orrori della guerra e la tragedia delle migrazioni.
In occasione della mostra ferrarese si è scelto quindi di declinare Umanità in chiave ariostesca. Le vicende guerresche e amorose del fantastico mondo cavalleresco dell’Orlando furioso sono state evocate dalle gesta dei personaggi, tra i quali spiccavano alcuni protagonisti del poema come Angelica e Astolfo con il senno di Orlando. La narrazione visualizzava in modo efficace il verso d’apertura – «Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori» – del capolavoro concepito da Ludovico Ariosto nella Ferrara estense e stampato in città nel 1516.
Il poeta è presente, coronato d’alloro e vestito all’antica, in piedi accanto a un tavolo dotato di una “sedia alata” che simboleggia la possibilità di ampliare i propri orizzonti attraverso la letteratura. Nel cortile infuria la battaglia: concitati duelli, cavalieri atterrati, altri in sella a destrieri impennati, guerriere pronte a scoccar frecce, un saraceno con la scimitarra, un musulmano a cavallo accompagnato da donne velate e anche due combattenti che hanno abbandonato le armi per dedicarsi all’amore. E ancora, sul campo, si consumano rapimenti, mentre un angelo, esemplato sul gemello della celebre Melencolia I di Albrecht Dürer, scrive la storia di un cavaliere caduto, e di tutti noi.