Nelle ore successive alla pubblicazione del mio articolo su un possibile riutilizzo dell’edicola davanti al Duomo sono successe alcune cose straordinarie, nel senso di non ordinarie.
Sul post di Facebook si sono da subito riversate centinaia di persone a commentare la proposta di farlo diventare un hub culturale, e già questo è un fatto non scontato perché non stavamo parlando di politica e nemmeno di calcio, ed è davvero raro vedere un simile movimento di opinioni su un articolo di FILO Magazine. Come spesso accade alcune persone sono arrivate cariche con l’elmetto in testa per denigrare e dire la propria senza nemmeno aver letto, ma la maggioranza è stata invece decisamente propositiva, immaginando scenari alternativi al chiosco dei giornali o al piadinaro di cui si era parlato inizialmente.
Alcuni si sono entusiasmati a tal punto che hanno inoltrato il link tramite messaggi ad amici e conoscenti e il tam tam sta andando avanti da giorni rendendo difficile seguire e riuscire a leggere tutto. Altri conoscenti mi hanno scritto per manifestare supporto all’iniziativa e li ringrazio per la stima e le idee che hanno condiviso anche privatamente: chi avrebbe voluto collaborare, chi avrebbe fatto partire un crowdfunding, chi sogna un gruppo per iniziare a fare squadra e rimboccarsi le maniche.
C’è un gruppo di persone che evidentemente ritiene utile (necessario?) un luogo simile in città. Il seme che è stato gettato in questi giorni non può che fare bene e magari trovare germoglio più avanti in altre occasioni.
Ma la cosa più importante è che ad un certo punto il titolare dell’edicola, Sergio Tracchi, si è fatto vivo ringraziando tutti per l’interesse e annunciando che ci stava ripensando. E il mattino seguente dopo una notte insonne mi ha poi scritto personalmente per annunciarmi che dopo averci a lungo riflettuto ha deciso di non chiudere più, perché il suo mestiere lo appassiona da sempre e non potrebbe rinunciare al contatto con le persone. Dunque mentre in tanti sognavano un nuovo corso per l’edicola Duomo, in corso Martiri vecchi e nuovi clienti preoccupati manifestavano un enorme affetto verso l’edicolante, implorandolo di rimanere al suo posto. Le piadine le mangeremo altrove, gli hanno detto, chi abbracciandolo come un caro amico, chi ordinando per scherzo una cotto, fontina e funghi. Dunque l’edicola rimarrà al suo posto e il cartello vendesi è stato ufficialmente rimosso dopo oltre un anno in bella mostra, nonostante quello di Sergio sia un mestiere difficile da portare avanti dopo oltre vent’anni.
Così qualche giorno fa sono passato a trovarlo, per conoscerlo di persona pur avendo letto di lui più volte in rete, nel bene e nel male. Sergio è persona conosciuta e davvero molto amata da chi frequenta il centro e passa ogni giorno per una chiacchiera o un commento sulle notizie del giorno: umarell, professionisti, politici, giornalisti, abitanti della zona e turisti. C’è la signora che compra l’enigmistica, quella che cerca le riviste di gossip, il tifoso che commenta la Spal e il mattiniero che si presenta ogni mattina alle 5 per la sua copia del Carlino che ancora puzza di rotative. Robe d’altri tempi, ma a sostenere l’edicola ci sono per fortuna anche i ragazzini che comprano pacchi di figurine e gli studenti universitari che scelgono riviste specialistiche per i loro studi. Ad ognuno Sergio riserva un sorriso, una battuta e conosce uno ad uno quello che ordineranno prima ancora che aprano bocca: un po’ come al bar dove ognuno di noi va regolarmente e il barista sa perfettamente se il caffè lo volete lungo, deca, macchiato caldo, al ginseng.
Online la figura di Sergio è invece parecchio più controversa, e paga caro l’apertura e la sua presenza nel gruppo Facebook dei Pinguini Estensi, di cui è stato amministratore: quando qualche anno fa comparvero al suo interno insulti e ingiurie venne condannato in quanto non si occupò di controllarle e censurarle come da compito di ogni amministratore. Da allora si porta dietro una macchia che difficilmente si potrà cancellare e sui social anche alla notizia del possibile cambio d’uso dell’edicola in molti hanno ironizzato sul suo passato.
In ogni caso ciò che mi ha stupito di più e che ho appreso con stupore dalle sue parole, è che l’edicola di Sergio in realtà funziona benissimo. L’idea di farne un chiosco per le piadine non era dovuto ad uno scarso fatturato quanto ad una personalissima e sacrosanta stanchezza. La gente in quest’edicola ci va ancora, almeno al mattino, ed è una clientela che compra ancora i quotidiani. Si tratta di una felice eccezione, di un centro cittadino ricco e colto, di una clientela affezionata e in larga parte anziana, quella che compra oltre cento copie del Carlino ogni giorno, duecento la domenica, dice Sergio, ma esiste eccome. E poi i fumetti e le figurine, l’enigmistica, i rotocalchi, come si chiamavano una volta. Insomma il fermento c’è e la location in questo caso è dirimente perché davanti al Duomo ci passa davvero chiunque.
Il problema non sono dunque gli incassi, quanto gli orari durissimi: i giornali arrivano ancora al mattino presto come se fosse il 1960, ma i lettori hanno già letto moltissime notizie in tempo reale, online nel corso della giornata precedente. Così l’edicolante si sveglia all’alba senza un reale motivo, seguendo ritmi anacronistici e contratti vincolanti dei distributori, con annesse complicazioni e incastri nella vita di tutti i giorni, specie per chi come Sergio ha moglie e tre figli.
Ci sta che dopo vent’anni chi fa questo tipo di vita voglia riposare? Si. Ci sta al contempo che qualcuno ipotizzi utilizzi alternativi per quel chiosco, senza voler imporre nulla o fare i conti in tasca a nessuno? Certo. Fa parte del compito dei giornali quello di avanzare proposte, far girare le idee e provare a stimolare il dibattito in una comunità. Se questo contribuisce a far riflettere qualcuno e a prendere decisioni che impattano infine sulla vita di tanti, c’è da credere che vale davvero la pena farlo.
Abbiamo salvato almeno un’edicola dalla chiusura? Per ora si, con due piccoli ma significativi segnali: abbiamo un’edicola che è ancora punto di riferimento culturale del quartiere, e al contempo abbiamo manifestato un gran bisogno di nuovi spazi, che partano dal basso e diventino luogo di aggregazione per incontri, confronti e racconti.