Primi giorni di gennaio 2025. Passeggiata pomeridiana. Davanti al Libraccio, scansiono la vetrina per sincerarmi della presenza del mio libro: L’Accademia della Morte: l’oratorio e il primato di Giovanni Battista Bassani. Lo guardo con commozione, come un padre scruta il neonato attraverso il vetro della nursery. Il tenerissimo momento è disturbato da un signore che mi si affianca: il suo sguardo scorre rapidamente i volumi esposti e, riferendosi al mio pargoletto, esclama con tono dubbioso: «Che strani libri pubblicano!» È in quel momento che, per la prima volta, mi si presenta la Domanda: perché investire tanti anni (ben cinque!) tra ricerche e scrittura su un argomento così particolare? Non di certo per guadagnare soldi o un poco di popolarità. Per dimostrare una qualche spocchia intellettualistica che mi distingua dagli altri? No, men che meno. Per trovare la vera risposta devo tornare su un percorso, uno dei tanti possibili, che si intrecciano nel mio passato.
Ero forse studente al primo anno di università quando, ad una conferenza sulla storia della musica di Ferrara (già all’epoca mi interessava l’argomento) annotai con la penna rossa una frase:
«Nella Ferrara del Seicento, dominata dal papato, risuonava il silenzio».
L’argomentazione del relatore aveva fatto breccia nelle mie credenze: con la fine del Ducato estense e la Devoluzione di Ferrara allo Stato della Chiesa (1598) si era aperto per la città un periodo di decadenza anche per le arti e, in particolare, per la musica. Era inevitabile: venendo a mancare la raffinata committenza estense che aveva portato in Castello i migliori musicisti europei del Cinquecento la città, diventata terzo centro (periferico!) dello Stato papale, non aveva più sufficienti capitali economici e culturali per fare buona musica.
Lo stesso giorno, finita la conferenza, accompagnai alcuni amici non di Ferrara a visitare la basilica di S. Maria in Vado. Tra quelle meravigliose mura feci una scoperta sconcertante. Vidi per la prima volta il magnifico affresco di Carlo Bononi le Nozze di Cana: da una cantoria (il balcone predisposto nelle chiese per i musici) un maestro di cappella (così erano chiamati i direttori, che dovevano anche comporre le musiche) guida una piccola ensemble tenendo un foglio di musica arrotolato a mo’ di bacchetta. Tutti seguono il suo gesto tranne lo sfortunatissimo cantore a cui vola via lo spartito e il suonatore di violone che, con forzata disinvoltura per cercare di dissimulare il suo ritardo, si inerpica per le scale con lo strumento in spalla.
Quell’istantanea scattata nel Seicento cambiò la mia vita! Tornai a casa con un grattacapo: poteva un dipinto tanto realistico e vivo essere nato in una città avvolta dal silenzio? Consumato dalla necessità di trovare una risposta mi misi a leggere tutti gli studi sulla musica barocca ferrarese. Sebbene in essi trovai molte risposte, ciò non mi bastava: dovevo toccare la storia con mano! Il destino venne presto a soccorrermi.
Un giorno, che stavo conducendo una ricerca presso l’Archivio storico diocesano di Ferrara in preparazione di un seminario, mi capitò sottomano il “faldone” relativo all’Accademia musicale della Morte. Sapendo che era già stato parzialmente studiato, lo aprii senza particolari aspettative. L’Accademia era una nota istituzione musicale sorta all’interno della Confraternita della Morte, con sede presso l’attuale Oratorio dell’Annunziata (via Borgo di Sotto), con il compito di sonorizzare i principali momenti liturgici e devozionali della antica Confraternita caritatevole, avvalendosi del contributo di grandi compositori del panorama italiano.
Svelando quelle carte, rimasi abbagliato dalla luce della storia: nelle parole scritte in antica grafia riemergeva un universo sonoro inaspettato. Erano annotate tutte le spese sostenute, i regolamenti e i verbali riferiti all’attività musicale tra il 1592 (anno di fondazione) e gli anni Venti del Settecento. Sistematizzando quella gran massa di dati, e integrandoli a tanti altri studi e documenti, riuscii a delineare la vicenda, le dinamiche organizzative, produttive e gli aspetti sociologici dell’Accademia.
Una nuova verità riemerse: la nobiltà cittadina, nella memoria dei fasti estensi, per dimostrare un nuovo prestigio politico e una ancor viva sensibilità musicale, iniziò a finanziare le attività spettacolari e musicali. Proseguendo poi nella ricerca, per meglio interpretare i risultati, fui costretto ad ampliare il raggio dell’indagine. Un esempio: gli “impresari” dell’Accademia erano gli stessi delle altre attività spettacolari cittadine → allargare il raggio della ricerca anche a questi altri contesti → altre monografie da studiare e archivi da spulciare.
Esito della ricerca: le vie della Ferrara del Seicento (nella mia fantasia) tornavano a risuonare. Accademie e organi in tutte le chiese della città; teatri con ricchissime stagioni; il palio delle barchette sul Po di Volano; monasteri con giovani spose di Dio che violavano la clausura per andare a teatro; giostre tra fazioni di nobili che combattono a tempo di musica; balli organizzati dalle autorità; feste di piazza con grandi macchine belliche per le vittorie contro l’Impero Ottomano; accademie letterarie nelle quali si canta di amori sublimi. Ma mancava ancora il tassello più importante per chi si occupa della mia disciplina: la musica!
Essendo andato disperso l’antico archivio delle musiche liturgiche, mi orientai sul genere dell’oratorio, molto ben documentato essendo le sue fonti sopravvissute presso altri archivi. L’oratorio è una sorta di piccolo dramma per musica di carattere edificante (dunque su soggetto biblico e agiografico), da eseguirsi principalmente in chiese, luoghi pii o palazzi nobiliari in occasione delle principali festività dell’anno liturgico o in tempo di Quaresima in sostituzione all’opera, proibita in questo periodo dell’anno. Tra i tratti che lo distinguono dall’opera in musica vi è l’assenza di costumi, scenografie o aspetti coreutici (ma come ho avuto modo di scoprire nella mia ricerca, non è sempre così!).
Questo genere fu uno dei più coltivati nell’Italia barocca. E in queste musiche, in questi libretti – in primo luogo nelle composizioni del grande maestro di cappella della Morte Giovanni Battista Bassani (1650-1716) – che ho potuto sviluppare tante riflessioni inaspettate: l’immagine dell’altro (il Turco, aggressore alle porte della cristianità; l’Ebreo, il «nemico interno» confinato nei ghetti cittadini; l’Indiano delle Americhe o dell’Asia, da convertire); il ruolo della donna, con particolare sguardo rivolto alla maternità; la lettura ideologica degli avvenimenti politico-militari; il rapporto tra musica e arti figurative; l’influenza della poesia profana. E con le oltre 120 esecuzioni di oratori individuate durante la mia ricerca, Ferrara non soltanto torna ad essere avvolta da armonie meravigliose, ma anche ad occupare un ruolo rilevante nella storia della musica italiana del Seicento.
Ora, dopo tante ricerche, ho finalmente trovato una prima risposta alla mia domanda. Risposta tanto articolata che prima è diventata una tesi di dottorato e poi, selezionata dall’Associazione De Sono di Torino, presentata al pubblico in un volume che sta tra gli scaffali di librerie e biblioteche. Credo ci sia anche un piccolo “insegnamento” nel percorso dei miei studi: soltanto una sana curiosità ci può guidare nel tentativo di comprendere la realtà, una realtà che potrebbe avere ancora zone d’ombra da esplorare. Comprensione che nel caso della mia indagine si è realizzata studiando le fonti originali e cercando di comprendere, con tanta pazienza, lo spirito di uomini di tempi passati.
Per saperne di più:
Mercoledì 22 gennaio alle ore 17.30 alla libreria Libraccio di Ferrara sarà presentato il libro “L’accademia della Morte di Ferrara” di Enrico Scavo. Dialogano con l’autore Carlo Centemeri e Angela Siciliano.
Altre informazioni sul volume si trovano qui.