di Mauro Presini
La cronaca dei giornali locali è talmente piena di brutte notizie che, quando ce ne sono delle belle, rischiano di passare inosservate. Altre volte succede che una notizia positiva non sembri nemmeno tale per una buona parte di cittadini.
Spesso questo fenomeno succede quando l’argomento trattato è quello del carcere, soprattutto in tempi come questi in cui sembra si stia perdendo di vista il significato della parola “umanità”. Infatti è opinione diffusa che in carcere ci stiano solo i “cattivi” che, grazie ai pregiudizi, vengono immaginati tali dalla nascita. Nell’immaginario collettivo il carcere è quindi quel luogo dove la gente perbene vuole che “i cattivi” siano rinchiusi e si “butti via la chiave”: in parole povere, per molti, il carcere è un posto che serve ad allontanare dalla società chi ha commesso reati facendogli scontare una specie di pena di “morte viva”.
La nostra Costituzione invece non cerca vendetta ma offre una visione diversa e chiara della pena e della sua finalità; l’articolo 27 recita:
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”
Quindi, la nostra Carta Costituzionale immaginando una giustizia giusta e una società pacifica, scommette sul cambiamento delle persone attraverso la loro rieducazione; non è un caso infatti che sia stata scritta anche da persone che un certo tipo di carcere lo avevano vissuto conoscendo direttamente i suoi effetti negativi.
Normalmente sappiamo poco di ciò che avviene all’interno di un carcere: i giornali riportano soprattutto i fatti eclatanti negativi, ma quello che non fanno conoscere è tutto ciò che si fa, pur tra mille difficoltà, per attuare una giusta rieducazione.
Ad esempio, fra le tante attività trattamentali che si svolgono nella Casa Circondariale di Ferrara, l’attività scolastica è sicuramente fra le più importanti perché va incontro ai bisogni di buona parte della popolazione carceraria: sia per l’alfabetizzazione che per l’approfondimento delle competenze di base.
A tal fine, in carcere operano insegnanti del Centro Provinciale Per l’Istruzione degli Adulti (CPIA) che sono impegnati in percorsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana, percorsi di primo livello (ex licenza media) e secondo periodo (competenze di base del biennio della scuola superiore). È presente anche l’Istituto Alberghiero Vergani con corsi triennali al termine dei quali i detenuti otterranno un regolare diploma che gli permetterà di svolgere un lavoro nel settore dedicato.
Per completare il quadro è presente anche UniFe che, da alcuni anni, offre opportunità formative per le persone interessate. Ecco, a questo proposito, tornando alle buone notizie che rischiano di passare inosservate di cui scrivevo all’inizio, un ottimo esempio è di qualche giorno fa quando abbiamo saputo dalla stampa che il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria dell’Emilia-Romagna e delle Marche (PRAP) ha riconosciuto formalmente l’esistenza nella Casa circondariale di Ferrara di un vero e proprio Polo Universitario Penitenziario.
L’iniziativa si è potuta realizzata grazie all’enorme sforzo progettuale che la professoressa Stefania Carnevale, del Dipartimento di Giurisprudenza di UniFe (già Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Ferrara dal 2017 al 2020), ha iniziato a mettere in atto da diversi anni, con impegno straordinario e passione unica.
Lei stessa ci conferma che “le attività di tutela del diritto allo studio nei luoghi di privazione della libertà sono iniziate in via sperimentale nel 2015 con il primo iscritto detenuto. Hanno poi trovato sviluppo nel 2018 con la stipula di una nuova convenzione con la Direzione del carcere e si sono ulteriormente ampliate e arricchite dal 2022, grazie a una ulteriore convenzione e a una serie di finanziamenti da parte della governance di Ateneo (Progetto Re-inclusi, Piano strategico di Ateneo, fondi per il tutorato) che ci aiutano a fornire servizi e materiale didattico agli studenti in carcere.”
Per agevolare il diritto allo studio individuale delle persone “ristrette” interessate, UniFe ha perfezionato un supporto importante con giornate di orientamento all’Arginone, colloqui personalizzati, l’illustrazione dei corsi di studio disponibili, il recupero dei dati amministrativi necessari all’immatricolazione, il supporto amministrativo per la procedura di perfezionamento, l’applicazione delle condizioni agevolate per l’iscrizione ed il supporto nella procedura di contribuzione, con la ricerca ed il reperimento dei testi disponibili presso le biblioteche dell’Ateneo e la gestione del prestito.
Nell’anno accademico 2023/24, nella Casa Circondariale “Costantino Satta” di Ferrara, ci sono stati 14 iscritti a UniFe, 13 in carcere e uno in esecuzione esterna, distribuiti su otto corsi di studio offerti da diversi Dipartimenti. L’interesse è soprattutto verso giurisprudenza, filosofia, scienze dell’educazione, scienze motorie.
Gli studenti sono seguiti costantemente da 10 tutor didattici garantiti dall’Ateneo nelle attività di orientamento in ingresso, nelle pratiche amministrative di iscrizione e gestione carriere, nei contatti con i docenti e nell’affiancamento allo studio.
Il tutorato per studenti in stato di detenzione ha proprio l’obiettivo di ridurre gli ostacoli alla concreta possibilità di esercitare il diritto allo studio universitario, mediante un sostegno nello svolgimento delle pratiche amministrative e nella fruizione delle attività e dei servizi didattici.
La Rettrice di UniFe, professoressa Laura Ramaciotti, a buona ragione si ritiene molto soddisfatta del riconoscimento formale perché “è un importante traguardo, che attesta i risultati di un lavoro quotidiano e molto impegnativo che coinvolge diversi uffici dell’Ateneo nel supporto dei nostri studenti detenuti.”
Nel mio piccolo io credo che questa, come altre occasioni educative, oltre ad essere un progresso per il diritto allo studio, rappresenti un esempio concreto e coerente di come sia possibile offrire possibilità di rieducazione all’interno di una prigione e possa contribuire a ridefinire un pezzo di orizzonte futuro per le persone detenute.
Il pedagogista brasiliano Paulo Freire parlava proprio di una pedagogia della speranza che, attraverso l’indignazione nonviolenta che non si esaurisca in se stessa, diventi atto politico per realizzare la possibilità di un domani migliore. Certamente c’è ancora tanto da fare sia dentro che fuori dal carcere ma quando si investe in rieducazione, restituendo ai detenuti la coscienza della dignità del loro essere persone umane, c’è la concreta speranza del cambiamento.