Attraverso quattro quadri dai linguaggi coreografici molto diversi, Puccini’s Opera – Voci di donne ci immerge nelle storie di quattro donne straordinarie. Dall’atmosfera rarefatta e intimista di La Bohème, alla forza esplosiva di Turandot, passando per la delicatezza di Madama Butterfly e la violenza di Tosca, ogni quadro è un mondo a sé, caratterizzato da una propria estetica e da una propria simbologia. Il risultato è un’esperienza visiva ed emotiva intensa, capace di lasciare un segno duraturo nel pubblico.
Il lavoro ha esordito in prima assoluta al Teatro Comunale di Ferrara domenica 22 settembre in un anno particolare, nel centenario dalla scomparsa di Puccini e a trent’anni dalla fondazione della compagnia Artemis Danza. A ricordarlo è Carmelo Zapparrata, giornalista e critico di danza, che durante l’incontro prima della mise-en-scène, rompe il ghiaccio chiedendo a Monica Casadei, direttrice artistica della compagnia, quali sono le sensazioni di tornare a Ferrara con un lavoro così intimo.
La sicurezza delicata con cui la coreografa tiene a ribadire il legame con la città è eloquente: “ogni volta che torno – dice – torno sia come artista che come persona. Il senso di appartenenza è importante! Il distacco da Ferrara è avvenuto gradualmente nella mia giovinezza, ma tornare per me è sempre seduzione e meraviglia.”
La scelta di affrontare le storie di quattro eroine pucciniane è un modo per esplorare le profondità emotive e condividere con il pubblico un percorso di catarsi: ognuna di queste donne rappresenta un archetipo femminile che tocca nel profondo ognuno, dagli spettatori ai danzatori. “Attraverso la danza – aggiunge – cerchiamo di dare voce alle sofferenze, ai desideri, alle rabbie, e di invitare il pubblico a partecipare a questa esperienza di condivisione.”
L’opera si inserisce in un percorso artistico più ampio, un trittico che comprende gli spettacoli Corpi violati e Private Callas , già andati in scena precedentemente.
Sul palco i corpi, mostrando la loro vulnerabilità, invitano il pubblico a un viaggio introspettivo, trasformando il teatro in uno spazio di condivisione profonda. La risonanza emotiva si amplifica, creando un senso di comunità e un’esperienza che rimane impressa nel cuore dello spettatore. Il gruppo di danzatori è infatti un organismo vivo, in continua evoluzione. Lo vediamo lì tra le luci soffuse del palco agitarsi, lottare, lo vediamo fermarsi a respirare. I loro corpi non hanno il solo scopo di raccontarci una storia, ma di viverla in prima persona concedendosi così una crescita personale oltre che tecnica.
“La scelta dei danzatori è un processo attento: La mia ricerca è orientata a danzatori già affermati, con una solida base tecnica, ma soprattutto con un’anima inquieta e una sete insaziabile di sperimentare.” Prima di salutarci per raggiungere i suoi ballerini, tiene a farci (e farsi!) un augurio: di conservare quello spirito curioso proprio dei fanciulli, quell’occhio “vergine” di chi non si è mai abituato e celebra lo stupore della meraviglia.
Per me è sì.