“La mostra che inaugura stasera (venerdì 22 marzo) è dovuta alla mia vecchia amicizia con Andrea Amaducci. Ciò che apprezzo di lui ed è ciò che ci accomuna, è di non definire un artista in base a una specifica categoria, ma si può (ed è stimolante) spaziare in vari ambiti: dalla musica alla danza al disegno/illustrazione. Condivido la filosofia dietro al dibattito rinascimentale sulla posizione ut pictura poesis ossia sulla relazione delle varie forme d’arte e sulla possibilità di condividere metodi simili d’espressione. Ciò che mi piace di Andrea è che non si accontenta e sperimenta continuamente. Ritengo che tutti noi siamo dei contenitori di esperienze e giustamente si cerca di trovare un equilibrio tra vari vettori. Andrea danza, scrive, suona, dipinge. Così come io scrivo, disegno, declamo le mie parole. Ci destreggiamo tra vari mondi, ma sono intrecciati.”
Massimo Pasca – pittore, ma soprattutto illustratore e live painter – è abituato a confrontarsi con il mondo artistico da sempre. Figlio d’arte (il padre è Francesco Pasca, artista esponente della Poesia Visiva), si laurea in Storia dell’arte a Pisa, considera il proprio percorso molto eclettico: attivo sia nel campo della musica (soprattutto in passato) sia in quello più prettamente dell’arte visiva (pittura e disegno). Due ambiti che nella sua prassi si sono contaminati, influenzati e trovano un giusto equilibrio. Sono tanti i riferimenti artistici e culturali che hanno accompagnato l’intera sua prassi da Marcel Duchamp a Pier Paolo Pasolini.
La mostra all’Human-Alien Studio di via Calcagnini a Ferrara sarà composta da alcuni suoi lavori, preceduti da una performance insieme ad Amaducci alle ore 18 dove si alterneranno tra musica, live painting e la lettura di alcuni brani. Come spesso accade all’Human-Alien studio di Andrea e Maria, non si sa come andrà e come si evolverà tale momento, che parte solo da un canovaccio mentale. La performance si intitola Feel Flow, appunto un flusso, un flusso libero, da sentire e trasmettere e infine, percepire e recepire.
Gli esordi di Pasca sono influenzati dall’Arte Informale francese, in particolare dal lavoro di Jean Dubuffet (1901-1985). Attirato particolarmente dai suoi lavori spontanei e immediati, dalla sua ribellione all’arte tradizionale e più incline verso un approccio antiaccademico; oppure dall’astrattismo di Toti Scialoja (1914-1998) di cui vide i suoi lavori in una mostra proprio a Ferrara nel 2002 (Palazzo dei diamanti). In questo primo momento del suo percorso artistico, ciò che conta per Pasca è la lavorazione della materia e l’emozione che si è capaci di trasmettere attraverso le pennellate. Più in generale tutto ciò che può essere considerato come controcultura oppure arte antiaccademica, non “un’arte da cavalletto” è ciò che stimola la creatività di Pasca, come per esempio per citare un altro riferimento, l’arte messicana. Dopo un approccio inizialmente incentrato sulla pittura, progressivamente il suo stile diventa più grafico, più segnico, come le opere di Keith Haring. Rimane sempre il segno dell’improvvisazione, soprattutto nei live painting, un’azione connotata da stimoli momentanei, in cui è molto difficile riconoscere da dove si parte e dove si arriva.
Massimo, il tuo stile è stato accostato alla pop art e al surrealismo. Come mai hai preso come riferimento queste due avanguardie?
Una parte del mio lavoro è ‘interpretato’ come pop, in quanto spesso mi avvalgo di alcune figure che nel tempo sono diventate icone nell’immaginario collettivo. Ciò è utile per catturare l’attenzione. La nostra è una società predominata dalle immagini, pertanto per rendere accessibile un determinato messaggio od opera mi avvalgo in un certo senso della riconoscibilità del soggetto. L’operazione consiste nella rielaborazione di alcune immagini classiche che sono riconoscibili immediatamente e attraverso la stratificazione segnica diventano altro. In tal modo, posso affrontare argomenti come razzismo, discriminazioni oppure maschilismo presenti nella società. Affronto argomenti complessi, però il segno rimane ironico. Per ciò che concerne il collegamento con il surrealismo, a parte che è proprio una mia passione, è presente l’automatismo grafico. Mi interessa concepire l’opera all’interno del contesto, mi interessa trasmettere ciò che accade e poterlo fare attraverso la trasversalità dei linguaggi, come i surrealisti che vagavano dalla letteratura alla poesia all’arte.
C’è un soggetto predominante nel tuo lavoro?
Non esattamente, tuttavia ci sono alcuni elementi abbastanza ricorrenti, come per esempio il continente Africa (infatti ho realizzato varie opere dal titolo Gnam Africa) oppure il cane che si mangia la coda, che in realtà è un diversivo per affrontare la ciclicità del tempo. Il tempo è un argomento che mi affascina molto, soprattutto in quanto personalmente mi trovo sfavorevole al concetto di tempo cronologico chronos, mi sento più affine al concetto di kairos, cioè dell’immediatezza, dell’attimo. Cogliere l’attimo, che invero si collega molto al registro del segno.
Il messaggio dei tuoi lavori è stato definito ironico, critico, nei confronti della società suppongo, e sociale. Concordi? Cosa cerchi di veicolare attraverso la tua arte?
Sì, certamente. Trovo che sia fondamentale che l’artista riesca a veicolare uno specifico messaggio e che abbia pure un ruolo attivo e quando serve, uno sguardo critico. In uno dei miei ultimi lavori, che sarà presente in mostra è raffigurato Picasso e un elemento della sua celeberrima Guernica oppure nella stessa opera, una sorta di Dio denaro che attira tutti. Direi che è chiaro il messaggio. Non condivido l’idea dell’artista chiuso nella sua torre d’avorio senza alcun contatto con la realtà e con quanto accade. Come diceva qualcuno da queste parti (cit. Guccini) con le canzoni non si fanno le rivoluzioni, né tantomeno con l’arte, però a volte apre lo sguardo, ti fa riflettere, porta l’attenzione su determinate questioni o criticità. Ecco, abbraccio quest’ultimo atteggiamento. L’arte in tal senso diventa documento.
Parliamo di musica: hai realizzato live painting durante alcuni concerti, hai all’attivo collaborazioni con alcuni artisti; che significato ha la musica nella tua vita e come e quanto influenza la tua vena artistica?
Tantissimo! Tempo fa avevo anche un gruppo – Working Vibes, abbiamo pure pubblicato 4 o 5 dischi. Oggi la musica accompagna il mio lavoro, soprattutto per l’appunto durante i live painting: per esempio ho realizzato un lavoro simile durante un concerto di Vasco Brondi ai tempi de Le luci della centrale elettrica. Come illustratore, ho creato tantissime copertine per Negrita oppure Antonio Infantino, giusto per citarne un paio. Pure quando lavoro, mi capita di ascoltare della musica di vario genere. Recentemente ho acquistato un libro, scritto da Max Nocco (Storiella Bonsai 2. 69 ritratti in musica) e ascoltavo le canzoni menzionate nel libro mentre lavoravo, in maniera ripetitiva. Parafrasando in maniera più semplice le parole di Kandinskij, traducevo i suoni in segni. Durante l’ascolto a seconda della musica, il segno risultava più nervoso oppure più lineare, alcuni tratti sono più spigolosi altri più morbidi. Lascio i lavori così come nascono, senza alcun intervento. Mi piace l’errore (infatti, non uso la matita, solo pennarello o pennello).
Questa mostra non è la prima che fai a Ferrara, cosa apprezzi di questa città?
Di Ferrara apprezzo, come dell’altro di qualsiasi altra città, la sua dimensione artistica, la sua storia, sempre immersa nell’ambito culturale. Ferrara ha tanto da raccontare sotto questo punto di vista, ha visto circolare per le sue vie tanti nomi importanti, scontato ma naturale fare il nome di De Chirico.
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La mostra è visitabile su appuntamento fino al 12 aprile presso lo studio Human Alien di Andrea Amaducci e Maria Ziosi in via Calcagnini 8, Ferrara. L’inaugurazione della mostra è prevista per venerdì 22 marzo, dalle 17 alle 22 con un momento performativo (FeelFlow) alle 18.