Un monopattino sul marciapiede. Un’auto parcheggiata oltre la strada che blocca il passaggio. Lo scalino di un bar, per entrare. Un palazzo postale che non ha una rampa d’accesso ma un ben più scomodo elevatore meccanico che se si rompe, impedisce di entrare a chi è in carrozzina. C’è un mondo che non vediamo (uno dei tanti che non vediamo) ed è quello di chi ha una qualunque disabilità che gli impedisce di muoversi per le strade delle città e dei paesi, se non attraverso scelte e rinunce, arrabbiature e proteste.
Oggi indossiamo occhiali diversi dai nostri, quelli di chi vive ogni giorno con queste difficoltà, per mettere sul piatto idee e suggerimenti, partendo da una conversazione importante.
La vita quotidiana
“Come distinguo io, al bar, dalla mia carrozzina, con quei banconi alti, se ordino un macchiato e un caffè normale, qual è il mio?” Io ci penso un attimo, immaginando un annuncio vocale, un vassoio dedicato o chissà quale altra diavoleria, mentre Fausto Bertoncelli mi spiega una possibilità semplicissima: è sufficiente usare le tazzine di vetro, trasparenti, normalmente a disposizione di qualunque bar. È una virgola, un niente, un accento su un piccolo comportamento che effettivamente basta a risolvere uno dei (tanti, infiniti) problemi di cui non ci rendiamo conto, noi che non abbiamo quelle difficoltà. Noi che possiamo saltellare ovunque, che vediamo bene, che sentiamo alla perfezione, noi con le nostre gambe magari, si, stanche, ma che non hanno problemi a scavalcare marciapiedi, evitare monopattini, salire gradini e consentirci di fermarci in piccoli angusti bagni di certi bar, in caso di necessità.
Parliamo con lui per oltre un’ora, con la sensazione di avere solo increspato l’acqua, di non avere visto che la finestra di un mondo di cui non abbiamo reale coscienza, ed è una nostra fortuna. Eppure è anche un dovere cercare di migliorare e rendere accessibile, fruibile, possibile, questo mondo di oggi, sempre di più.
È qualcosa che aumenta ogni anno: dagli incontri pubblici con i traduttori in Lis (la lingua dei segni di cui abbiamo parlato nell’articolo qui sopra), dai sottotitoli nei film, dagli smartphone che con le funzionalità vocali riescono a dare accesso a cose impossibili per chi fatica a digitare sulle tastiere. Eppure, di fronte a tanti avanzamenti, le nostre città sono ancora complicate nel loro muoversi: facciamo oggi il punto sulla situazione a Ferrara, partendo da chi si (s?)batte ogni giorno, vive la città ed è una specie di centro di coordinamento vivente su questi temi: Fausto Bertoncelli, che da oltre quarant’anni si muove su una sedia a rotelle.
Il lavoro delle associazioni e il modo in cui possiamo fare piccole scelte impattanti
“Faccio parte del Comitato Ferrarese Area disabili – spiega Fausto – racchiude oltre cinquanta associazioni che si occupano di disabilità in maniera trasversale e noi come comitato interveniamo sulle tematiche trasversali a tutte le associazioni, dalla scuola alla viabilità fino alla salute. Ogni associazione ha la sua patologia specifica che segue: dalla sclerosi multipla alla dislessia alle persone ipovedenti a molte altre ancora. A noi vengono inoltrate una marea di segnalazioni, ogni giorno: segnalazioni che spesso passano anche per la figura istituzionale del Garante della disabilità, l’ente di cui si è dotato il Comune negli ultimi anni e che pure non sempre riesce ad essere incisivo: dunque spesso le persone si rivolgono a noi e ci attiviamo. Devo dire che veniamo normalmente ricevuti in tempi celeri, anche perché abbiamo un peso, per numeri e per consistenza”.
Fausto mostra una serie più o meno infinita di conversazioni sul proprio Whatsapp: foto, video, vocali, proposte, leggi, progetti di lavori stradali, tutto confluisce in un eterno inseguimento tra problemi da sistemare, modifiche effettuate e nuovi ostacoli alle barriere di accesso.
Un problema comune è quello della mobilità e dell’accessibilità. “Il fatto è che sono diversi decenni ormai che tutta una serie di norme sono obbligatorie, sia per le opere pubbliche che per opere private: mancano però i controlli, e questa mancanza è in aumento” ci racconta. “Dobbiamo dividere tra barriere architettoniche e mobili. Le prime sono le barriere fisse, legate agli accessi ai negozi e agli uffici, e mi piacerebbe poter dire che non se ne stiano più costruendo, ma purtroppo non è vero: ne nascono ancora tante, anche in opere pubbliche, spesso per ignoranza progettuale. Poi esistono le barriere mobili: te le trovi davanti in un qualunque punto, dal monopattino al motorino, dalla bicicletta su un marciapiede ai tavolini nelle distese. Le biciclette sono ovunque, così come esistono distese di attività commerciali che sono problematiche e noi non siamo assolutamente contro ma vogliamo che esista la possibilità tra una ampia serie di tavolini di un bar di poter avere un percorso libero per chiunque abbia difficoltà: dal cieco alla persona in carrozzina.”
“Pensa ai marciapiedi: a volte sono stretti e se ti trovi un ostacolo, anche solo un cartello di un cantiere posizionato in maniera sbagliata è difficile fare la manovra per cambiare strada e bisogna percorrere in retromarcia: io ci posso anche riuscire, ma per altre persone vuol dire davvero non sapere come proseguire se non con complicatissime e pericolose manovre.”
Come evitare gli errori: l’esperienza dell’ufficio tecnico qualche anno fa
“Nel 2013, con un Comitato ferrarese Disabili già piuttosto forte, venimmo coinvolti dall’ex sindaco Tagliani per far nascere un ufficio (Ufficio del benessere ambientale) che potesse monitorare e verificare i lavori della pubblica amministrazione durante la fase della progettazione. Eravamo tre persone e stavamo facendo un bel percorso, poi l’attuale amministrazione ha preferito chiudere questa esperienza. È un peccato”.
Bertoncelli ci spiega che la figura del Garante della disabilità fatica a reggere questo tipo di lavoro, anche per l’essere una figura tecnica e non una persona direttamente coinvolta nella disabilità e che si è comunque creata una rete informale: “Collaboriamo anche oggi con l’Amministrazione perché esiste un grosso problema: prima riuscivamo a fare da ponte già prima e durante la costruzione del progetto, mentre oggi andiamo a rincorrere gli errori o veniamo consultati informalmente perché manca quel punto di riferimento. Un esempio: abbiamo intercettato il lavoro della nuova stazione degli autobus di via del Lavoro, vedendo il progetto sulla carta. L’impresa, come da legge, doveva posizionare i percorsi tattili (quelle strisce che per colore e tipologia di strato consentono agli ipovedenti di orientarsi) e ne avevano messi tantissimi per un importo di oltre centomila euro, talmente tanti che alla pratica avrebbero finito per disorientare chi li avrebbe poi usati. Abbiamo rivisto assieme il percorso, e da quei centomila euro siamo arrivati a venticinque con settantacinquemila euro di costi pubblici risparmiati.”
Spesso, insomma più che di fondi, il tema è sulla formazione. Un tecnico non informato, magari sul posizionamento degli accessori in un bagno non riesce a comprendere facilmente come progettare e Bertoncelli ci spiega quanto in fondo sia più facile di come si possa pensare: basta sedersi, sul water o davanti al lavandino, con una seggiola e osservare, perché tutto deve essere a portata delle mani senza troppe difficoltà.
“Ci sarebbe la necessità di avere di nuovo questo ponte interno, come era l’ufficio comunale: molti comuni in altre aree d’Italia stanno percorrendo strade simili in questi ultimi anni. Noi ci troviamo informalmente a guardare progetti e regolamenti che ci vengono girati prima della definizione, anche se formalmente non dobbiamo essere noi a intervenire e non abbiamo un ruolo ufficiale in questo.” racconta.
Cose buone successe e l’infinita tabella delle cose da fare
Fausto Bertoncelli è una di quelle persone sorridenti che combattono ogni giorno perché sono fatte così. Hanno quel fuoco dentro, quell’energia, sono legna infinita per un fuoco che fatica ad alimentarsi: ci racconta come sia sempre più complicato coinvolgere le persone giovani dentro all’attivismo o alla politica.
“C’è una consapevolezza sicuramente maggiore tra la popolazione – dice Fausto – ma le nuove generazioni non combattono. Forse è la poca speranza che è stata data, forse, manca la voglia politica, l’impegno civile, la stessa cosa si vede anche nell’associazionismo, non si è più così attivi come una volta. C’è anche paura di ritorsioni e la capisco: succede davvero, ma a me personalmente non interessa.”
Mi ha ricordato che la sera prima di incontrare Fausto avevo letto il bilancio di un anno della newsletter “Ok Boomer” di Michele Serra, dove scriveva:
Mi manca la politica, e voi ragazzi non avete idea di come manca a voi, la politica. Ho scritto che il progresso, per me, è stato una certezza per tutto il primo lungo tratto della vita, ero sicuro che il mondo non avrebbe potuto che migliorare, e il fatto che non sia migliorato, dunque, mi risulta un mistero e quasi un’offesa; o forse invece è migliorato, il mondo, ma per vie diverse di quelle che credevo, e allora spiegatemelo, insomma, come e perché è migliorato, e come e perché non lo capisco, che è migliorato. E tante altre cose.
Mi viene in mente questa frase quando Fausto mi parla degli autobus in città: “con gli anni siamo riusciti a modificare in meglio molte cose. Il modello precedente era organizzato con molti mezzi con pedana elettrica e l’assurdo regolamento che vietava la discesa dell’autista, che portava, in caso di rottura della pedana, all’impossibilità di salire per chi era in carrozzina. Oggi, invece l’autista può fermare il bus e ha la rampa manuale che ovviamente non si rompe e non si blocca, perché è gestita da una persona.”
Il cambiamento in questi quarant’anni di lavoro sta anche nel fatto che oggi a portare un cambiamento possono essere anche un reel di Instagram o un post su Facebook: arriva in poco tempo a tante persone e spesso ottiene una soluzione velocemente. “È divertente vedere le dinamiche: io non parlo praticamente mai, pubblico solo quello che vedo o che mi viene girato e rimango a guardare cosa accade, come si anima la discussione.”
Perché alla base dei comportamenti sbagliati c’è anche la mancanza di conoscenza. “Negli anni in cui esisteva l’ufficio tecnico della disabilità tutti gli anni entravamo nelle scuole, alle superiori, all’università, mostrando la persona cieca, sorda, disabile, con i suoi problemi. Questo impattava su chi provava in maniera diretta questa esperienza con il confronto.”
Per una persona disabile mettere un monopattino in mezzo ad un marciapiede è un ostacolo: non capire questo vuol dire essere fuori dal mondo.
Scrivevamo all’inizio dell’articolo che la sensazione è di avere solo increspato l’acqua di un enorme mare di problemi quotidiani e ne abbiamo le prova alla fine del nostro incontro. Fausto scende un attimo nel personale e mostra una nuova sfida che sta perseguendo: sua figlia è infatti dislessica e discalculica, ovvero fatica sia a leggere che ad apprendere i calcoli aritmetici. Questo non le impedisce di avere una vita normalissima a livello personale e sociale, ma c’è una prova che non riesce a superare, ovvero il test scritto della patente. Un mare di crocette e testi che con quelle difficoltà è quasi insormontabile: eppure per quanto qualunque esame scolastico possa essere, in caso, affrontato anche oralmente, per la patente non è previsto.
Ed ecco un nuovo fiume di consulti legali, di approfondimenti, di proposte da far pervenire e a cui appellarsi per ottenere un nuovo cambiamento. Una sottigliezza, eppure un fermo ostacolo insuperabile al momento. Forse è davvero ora di integrare in ogni scelta, sia quelle personali (come parcheggiamo, dove lasciamo i nostri mezzi, come costruiamo le nostre attività) sia quelle collettive (come immaginiamo gli accessi ai cinema, alle mostre, agli alberghi, come scriviamo le leggi) un ragionamento su questi temi per iniziare a fare cadere il nostro deficit pubblico in termini di accessibilità.
Pesa di meno, rispetto al deficit dello stato sui conti pubblici, ma pesa di più sulle nostre coscienze, dove spesso è solo questione di avere la volontà, più che i soldi: i comportamenti hanno un peso e quando ci disinteressiamo di chi ha più difficoltà di noi, gettiamo muri invisibili che toglieranno una possibilità a qualcuno.