Siete mai entrati in un carcere? Autorizzazioni, controlli, attese, cancelli, chiavi, altre attese.
Niente di tutto quello che fuori date per scontato dentro lo è. Telefono, portafoglio, chiavi della macchina. Se ti annoi non scrolli Instagram, se sei stanco non prendi e te ne vai. Tutto è scandito da cancelli, tutto passa attraverso l’autorizzazione, tutto è deciso da altri.
E questo quando siete semplici visitatori.
La Casa Circondariale di Ferrara è là, dietro la stazione, a due passi da Ingegneria, a formare un triangolo con Ferrara Nord e lo stadio. Eppure è tutto così diverso, là dentro.
Visitare un carcere è una cosa strana, forse un’esperienza, certo non da tutti i giorni. Però c’è chi lo fa, quotidianamente, chi entra e conosce il personale, scherza con tutti, abbraccia i detenuti. È bello e facile per noi, da fuori, riempirci la bocca di grandi discorsi, parlare di rieducazione, da lontano. Beh c’è chi lo fa.
Stefano Cavallini è un signore come tanti a Ferrara, di quelli che potrebbe sorridervi davanti a un bancone di un bar o ringraziarvi sulle strisce pedonali. Stefano Cavallini è uno di quei “c’è chi lo fa”, insieme a suo figlio Francesco (di cui vi avevamo già raccontato in questo articolo sulla cosmesi con bava di lumaca!) coinvolto nel progetto tanto quanto il padre. Mai sentito parlare del progetto Rugby27?
“Siamo partiti nel 2014 con una squadra di rugby di detenuti a Bologna, il Giallo Dozza, che tutt’oggi disputa il campionato di serie C. Siamo un gruppo di volontari, e nel 2021 ci siamo iniziati a muovere anche a Ferrara, facendo pian piano proselitismo per questo progetto che ha lo scopo attraverso il rugby di fare imparare ai detenuti quelli che sono i principi e i comportamenti di questo sport”.
Il rugby c’è chi lo conosce per il terzo tempo, chi per la palla ovale, chi per il Sei Nazioni, chi per la haka. E poi c’è chi lo conosce e basta.
“Il rugby ha valori utili per fare ciò che prevede la Costituzione. Ci chiamiamo Rugby27, perché è l’articolo 27 che prevede che il carcere debba servire per ricostruire una personalità, per essere formativo e non una tortura. Nella seconda parte dell’articolo si fa riferimento a obblighi e necessità che la pena non sia soltanto una costrizione ma che ci sia anche una rieducazione, con gli strumenti messi a disposizione ma anche con il contributo delle attività esterne”.
Si dice che dentro il tempo non passi, o che tutto dipenda da quello. Che sia tutto un aspettare e aspettare. Stefano e gli altri di Rugby27 non si fermano mai, vanno là, tra la stazione e Ingegneria, due volte a settimana per gli allenamenti, con un gruppo di ragazzi, a volte cinque, a volte venti, giovani e meno giovani, che partecipano al programma. E per quattro ore la settimana non sono solo un gruppo di detenuti del carcere di Ferrara, sono un gruppo e basta, sono una squadra.
“Non vogliamo da loro che diventino dei rugbisti, vogliamo che assorbano nei comportamenti cosa vuol dire essere rugbisti, che non tornino dentro, che sappiano comportarsi un domani nella società. Lavoriamo sul fisico per lavorare sulle teste”. “Abbiamo vinto il Bando Sport e Salute lanciato l’anno scorso e questo ci permette di avere margini economici con cui facciamo investimenti, risorse che ci consentono di andare avanti con il progetto e che ci fanno lavorare con più ragazzi. È un’opportunità enorme, per noi ma anche e soprattutto per i ragazzi: per diciotto mesi possiamo guardare avanti, lavorare con serenità e raggiungere i nostri obiettivi. Con i soldi che ci assicura il nostro piccolo sponsor di Ferrara facciamo regolarmente interventi e allenamenti concordati con l’ITIS ed educazione al rugby all’IPSIA”.
Sport di Tutti – Carceri è un’iniziativa promossa dal Ministero per lo Sport e i Giovani in collaborazione con Sport e Salute, che entra in questo contesto tramite il progetto “Meta Comune”. In Emilia-Romagna il progetto ha al momento sette società sportive idonee e partecipanti: due per minori in Comunità e cinque per adulti in Istituti Penitenziari, che contano un totale di 530 beneficiari delle attività sportive e 133 beneficiari della attività di formazione. Dentro le carceri tutto ciò che esula dalla routine ha valore, tutto ciò che non è usuale è importante, niente è dato per scontato. Se fai parte di un progetto come questo, di certo non può esserlo una giornata di allenamento. Al campo sportivo. Con ospiti speciali tre atleti della Nazionale di Rugby italiana.
Viviamo nel periodo in cui spopola la serie tv Mare Fuori, in cui Zingaretti diventa Il Re in un’altra per Sky, in cui al cinema è uscito Grazie Ragazzi con Antonio Albanese che non è altro che la versione artistica di Cavallini, per tutti “il presidente” dentro le mura di via Arginone.
La tv e il cinema cavalcano l’onda delle carceri e dei personaggi, ed è finzione. Ma la direttrice di un carcere l’ho conosciuta.
Si chiama Maria Nicoletta Toscano ed è una donna vulcanica perché non saprei come altro definirla. È un fiume in piena di quelle che in venti minuti ti apre gli occhi e le orecchie, ti lascia senza parole. “Il rugby è solo una delle attività anche sportive che facciamo all’interno del carcere. Sono allenamenti più che altro perché essendo una casa circondariale non è pensabile una ciclicità. Io da Direttrice devo svolgere una funzione fondamentale: proteggere la comunità, il personale così come i detenuti, per cui ho preteso una serie di cose e voglio che chi partecipa impari a rispettare delle regole. L’elemento fondamentale di una squadra è la capacità di volersi bene tra le persone, di mettere da parte l’invidia, uno dei sentimenti più distruttivi della società, e buttarla nel fatto di passare la palla a uno non perché è più bravo, ma perché sta là, perché fa punto, perché così ognuno rispetta il suo ruolo, e il ruolo è portare avanti la squadra, la famiglia. Questo è quello che imparano con lo sport, perché nessuna delle persone che stanno dentro, dal reato più efferato all’essere barboni, ha mai avuto una famiglia che dimostrasse rispetto delle regole per il benessere di tutti. Ecco perché lo sport è fondamentale nel carcere, insegna a stare insieme”.
Come direbbe Vasco “rewind”: come sono entrato in un carcere? Tramite la cosa che banalmente unisce tutti: lo sport. Stefano e suo figlio Francesco, la Direttrice, tutte le persone che rappresentano la Federazione da Antonella Gualandri (Consigliera federale) ad Alessandro Ferri, il Media manager, e Federica Mussuto, della Responsabilità sociale. E poi i nazionali, partendo da Aura Muzzo, centro della Nazionale femminile, con un carattere che è più o meno quello della Direttrice solo con un po’ di muscoli in più, convinta del progetto perché “queste persone possono darmi qualcosa, perché il mio bagaglio è ancora da riempire”. Giacomo Nicotera, detto ‘Mulo’, tallonatore, che sostiene come “noi parliamo sempre di partite come fossero guerre, e in guerra devi avere fiducia nella tua squadra”. Marco Zanon, trequarti centro, “noi ci diamo le legnate ma facciamo il terzo tempo e ci beviamo una birra insieme. Nel nostro sport il rispetto è fondamentale, per tutti, dal compagno all’avversario e le strutture”.
Gente che per ammissione personale si ritene fortunata, a volte “dentro una bolla”, e per questo motivo, perché il rugby non è uno sport come gli altri, vuole vivere, trasmettere, imparare, assorbire.
Due ore di allenamento tra tre persone che a breve vedremo in tv con la maglia azzurra, il fango, i Cavallini padre e figlio che trasudano convinzione in ciò che fanno anche solo nello sguardo, uno a preparare il terzo tempo, l’altro a gestire l’allenamento forse più bello mai fatto lì dentro; due ragazzi in divisa, tre muri perimetrali e una ventina di persone che a vederle così, potrebbero essere gente che ti sorride davanti al bancone di un bar, o ti ringrazia mentre attraversa la strada. Gente che per tre ore si diverte con una palla ovale, ringrazia, sorride, parla, prova ad imparare e godersi tutto ciò che forse a volte noi diamo troppo per scontato.
Rugby27 è un progetto che è molto più di quanto si possa capire in tre ore di attesa, allenamento e sbarre. Stefano, “il presidente”, ci mette tutto sé stesso, ci crede, lo sa cosa significa per la sua squadra. Perché se come dice Albanese in Grazie ragazzi“loro sanno cosa vuol dire aspettare”, quell’attesa, tra un cancello e un altro, il rugby la riempie benissimo.
Come direbbe Vasco, “liberi di ricominciare”.
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