Alla fine non esplode. Per noi, a Ferrara, è quasi un gioco: una bomba, oltre ventotto chili di potenza destinati a rimanere solo ferro e componenti chimici che non daranno nessuna reazione. Per noi, a Ferrara, non è successo niente.
Negli ultimi anni ci siamo riabituati a vederle le bombe, più vicine di prima: in Ucraina prima, nella striscia di Gaza ora: le conte dei morti, l’assenza di elettricità, le sirene che suonano, le persone costrette ad abbandonare la propria casa. I corpi feriti, le vite distrutte, le mura spezzate.
A Ferrara invece, solo un ricordo da portare via, una mattina diversa, un signore che passa e ti chiede “ma come faremo a sapere quando avranno finito il lavoro?” che rimane sullo sfondo: lo si capirà, risponde un’auto della Protezione Civile, quando le strade saranno riaperte.
Mentre entravamo, poco prima che la bomba iniziasse il suo percorso di rimozione, è stato normale pensare a chi, oggi, potrebbe ricevere sulla propria testa questo congegno di morte.
Allo stesso tempo, pensare a chi l’ha sganciata, chissà la vita di chi l’ha preparata, chissà chi l’ha sentita arrivare insieme ad altre, un boato secco che si appoggia e poi, silenzio, nessun danno e un lungo sonno di ottanta anni, come una lunga pausa di sospensione in cui il mondo è andato avanti, o forse no.
È un evento che non avevano mai visto, ci raccontano, veramente raro. Un ordigno potente che si è conficcato, non esploso, al primo piano di un palazzo (l’ex convento di San Benedetto) che ha visto in quegli anni Quaranta del secolo scorso, Seconda Guerra Mondiale, diverse altre bombe esplodere intorno e che è rimasto lì, con la composizione chimica magari un pò variata ma la stessa pericolosità esplosiva.
Quella parte lì rimane attiva, pronta, potenzialmente letale, ci raccontano. Ottanta anni, la durata di una vita, lì nascosta all’interno della mura, vicina alle nostre vite, fino ad oggi, scoperta durante un lavoro di ristrutturazione e allora il pensiero naturale è: e se per caso, in quei lavori, qualcosa fosse successo, per imperizia o casualità?
Ore 9 del mattino: entriamo per qualche veloce istante, calcinacci a terra, cavi (“attenzione ai cavi a terra, gentilmente) , tre piccoli gruppi divisi perché la bomba si trova in un contesto di un palazzo instabile, strutturalmente. Con l’urto e il passare del tempo la bomba si è deformata e non è possibile pensare di rimuoverla facilmente come in altri casi, in particolare non usando la canonica chiave a razzo che renderebbe la manovra più semplice.
Ci sembrano tutti tranquilli e allo stesso tempo con i sensi in allerta, senza trascurare i dettagli che potenzialmente possono fare andare storto qualcosa: la città di Ferrara è tranquilla, eppure vedendola, la bomba, si comprende come quella tranquillità sta nella disabitudine (nostra) e nella fiducia (in loro).
È quasi un gioco, per la città di Ferrara.
È rimasta armata e non in sicurezza e loro dicono questo: questo macchinario usa un ugello con una elevata pressione dell’acqua, trecento bar, più una sabbia abrasiva con cui faremo un taglio circolare per eliminare questa parte che vedete. Andremo a tagliare e bonificare questa parte qui all’interno. In questo monastero andremo a eliminare quindi questa parte sensibile che andrà distrutta, fatto tutto questo prenderemo l’ordigno che arrivati a quel punto sarà solo un involucro contenente l’esplosivo, ma nulla più, lo potremo maneggiare, lo portiamo in una cava fuori dalla città, dove l’ordigno verrà fatto brillare sotto terra, avvolto da sabbia e terra, con una piccola esplosione.
Lo spiegano così, in un minuto, con quella leggerezza militare che sembra la glacialità con cui un medico spiega la tecnica di un intervento chirurgico al cuore, dove la normalità sta solo in chi è abituato a viverla ogni giorno.
Pochi minuti dopo bisogna uscire, le operazioni partono, i passi si fanno veloci, la città si ferma, la Fiera ospita chi vuole compagnia o un pò di caldo dopo avere lasciato la casa per qualche ora. Ne potrebbero accogliere a migliaia ma si presenteranno in poco più di cento, forse molti hanno optato per una gita fuori porta o una passeggiata dall’altra parte della città, visto il bel tempo.
Serve meno tempo del previsto: poco dopo le dodici è tutto finito, un’altro pezzetto di passato è esploso nel silenzio di una cava fuori città, tutto ricomincia.
Quindi è tutto aperto? Anche le giostre di Natale al Parco Coletta? chiede qualcuno sui social.
Poco dopo la bomba, è tutto finito. È appena uscita su Netflix una miniserie tratta da un libro di un certo successo “Tutta la luce che non vediamo”, che parla di un filo invisibile tra una giovanissima ragazza cieca francese che trasmette via radio durante i bombardamenti in Francia nella seconda guerra mondiale, e un soldato tedesco istruito a captare quei segnali radio, per capire dove lanciare le bombe e come fermare chi trasmette informazioni.
Tutta la luce che non vediamo possono essere quei rapporti umani che sopravvivono alle bombe, tutta la luce che non vediamo è quella esplosione che non è arrivata alle nostre orecchie e che ha diviso la bomba in piccoli pezzi senza più potere esplosivo, tutta la luce che non vediamo è a volte, nella città di Ferrara, avvolta dalla nebbia, che ne nasconde i lineamenti.
Ma non oggi, non stamattina: poco dopo le dodici è tutto finito e non è successo niente. Fortunati noi, a viverla come un gioco.