Facciata in mattoni rossi, eleganza borghese: così si presenta una tra le grandi e imponenti memorie della Ferrara del Cinquecento, la casa di Ludovico Ariosto sita nell’omonima via, civico 67. Passa quasi inosservata, tanto il panorama ferrarese è ricco della magia evocata dalle sue particolari architetture di stampo rinascimentale. Una piccola dimora invero, ma come afferma il poeta stesso “adapta mihi”, adatta a me; una stanza tutta per sé, insomma, in cui poter trascorrere gli ultimi anni della sua vita e dedicarsi alle occupazioni letterarie, tra le quali la terza redazione della sua opera magna: l’Orlando Furioso. E perché no, anche prendersi cura del piccolo giardino cui la casa si affaccia.
Non stupisce dunque che queste stesse mura, ignare testimoni pregne dello spiccato genio di Ariosto, oggi accolgano la memoria dell’altro gigante ferrarese: Giorgio Bassani. Rapporto quanto mai intricato e complesso, quello tra Bassani e la sua Ferrara. Croce e delizia, imperterrita protagonista delle sue storie e dolorosissima delusione della sua vita. Ancora oggi l’atmosfera rimane tesa e una targhetta è tutto ciò che segnala la presenza di una Fondazione a lui dedicata, come se Ferrara non avesse ancora fatto pace con la storia, desiderosa di guardare avanti e dimenticare i suoi peccati.
In un’intervista del ’79 Bassani diceva che il suo ritorno a Ferrara fosse l’unico modo per “fare i conti con le mie radici, come fa sempre ogni autore, ogni poeta”. Ma come osserva l’autore e traduttore Martin Rueff nel suo intervento presso il convegno “Giorgio Bassani oggi” del 13 aprile 2010, è un ritorno “non scontato, predestinato, tutto emotivo e narcisistico”, ma “recupero critico e poetico insieme, dunque libero”. Ed è in nome di questa libertà intellettuale che ha consacrato la sua vita da uomo, da scrittore, redattore e presidente RAI. Ad oggi la sua figura rivive nelle parole di Paola Bassani, la figlia e attuale presidente della Fondazione e di chi insieme a lei ha scelto di voler contribuire a rendere giustizia alla letteratura della Shoah (non solo quella partigiana) e uno dei suoi più importanti testimoni.
Nella mia breve visita presso la Fondazione Giorgio Bassani, ho avuto il piacere di essere accolta dalla professoressa Silvana Onofri, referente e membro del comitato scientifico, la quale storia personale si intreccia inevitabilmente con la sua passione verso la vita e le opere di Bassani. “Faccio molta fatica a tenere distinti gli anni di insegnamento al liceo Ariosto dal mio ruolo nella Fondazione perché non c’è differenza tra questi momenti della mia vita, ma complementarità: ho sempre nutrito grande interesse verso la figura di Giorgio Bassani, fin da piccina” racconta la professoressa Onofri mentre ci addentriamo nei locali che dal 2016 custodiscono la vita dello scrittore, “è un privilegio per me aver insegnato in quello che era stato il suo liceo”.
Le stanze della Fondazione sono tre e principalmente adibite alla raccolta dei documenti che hanno interessato Bassani per tutta la sua vita: dai manuali storicamente posseduti dalla famiglia, ai suoi libri pubblicati da redattore, fino ai recentissimi studi – che dal 2016 in poi riportano il logo della Fondazione – tra cui il volume a cura di Angela Siciliano, la filologa che ha dedicato la sua tesi di dottorato alla biblioteca Bassani. Il lavoro è stato enorme: la dottoressa Siciliano ha non solo allestito il catalogo della biblioteca, ma anche fornito un’ampia introduzione che riflette la storia dei libri di Bassani e percorsi critici utili per orientarsi nella ricerca. Definisce la scrittura di Bassani “sintatticamente ariosa”, precisa e minuziosa quanto quella di uno storico, ma sempre armoniosa nel suo essere incisiva. È stata proprio questa sinuosità a catturare l’attenzione della giovane filologa, il cui percorso con lo scrittore è cominciato durante la stesura della tesi di laurea triennale, occasione in cui ha avuto modo di conoscere il “Bassani redattore”.
Curiosavo tra quei libri come se bastassero a ricostruire la vita così complessa, piena e dedita di un uomo che ha combattuto perché la Storia non venisse dimenticata, consapevole di ritrovarsi spesso in lotta contro dei fantasmi. Nella stanza che ricostruisce il suo studio, lo immaginavo con la fronte corrucciata intento a scrivere sulla sua Olivetti, la macchina da scrivere, sotto l’imponente e gentile sguardo del ritratto del nonno, Cesare Minerbi. Lo immaginavo intento a frugare nelle sue memorie, di quella felice infanzia vissuta nella casa di Via Cisterna del Follo 1, all’ombra della magnolia oggi inaccessibile ai visitatori. Nel 1943, dopo i mesi di prigionia nell’ex carcere di Via Piangipane per antifascismo (oggi MEIS – Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah), Giorgio Bassani è costretto a lasciare la sua casa e i suoi averi per fuggire alla volta di Roma; ma prima, dà sepoltura a dei libri per lui importanti nel cimitero ebraico di Ferrara, inutilizzato dal 1905, che tornerà a prendere dopo la liberazione, tenendoli con sé per tutta la sua vita. “Queste che vedi sono le carte d’identità false che Bassani e la moglie Valeria Senigallia hanno dovuto fare per sposarsi e scappare a Roma, dove hanno vissuto in clandestinità”, continua la professoressa Onofri indicandomi un librone aperto all’interno di una teca contenente altri cimeli “dovevano imparare a memoria i dati per sostenere la veridicità di questi documenti, per via del periodo particolarmente tragico che imperversava”.
Stabilizzatosi a Roma, tornerà a Ferrara sempre più di rado: “tornò in occasione del tour organizzato dalla Casa Editrice Einaudi dopo la pubblicazione del romanzo “Il giardino dei Finzi-Contini”, diventato in poco tempo un vero e proprio best-seller apprezzato in tutta Italia. Tutta, ad eccezione di Ferrara dove venne accolto con una denuncia da parte del presidente della comunità ebraica del tempo, per aver dato un’immagine negativa della famiglia. Ricordo quel momento come se fosse ieri: avevo quattordici anni e la mia curiosità mi aveva spinta a leggere avidamente quei libri amatissimi dai miei cugini. Purtroppo, quel giorno uscii dal convegno con la mia copia de Il giardino dei Finzi-Contini, che custodisco ancora gelosamente, senza la firma di Giorgio Bassani. Non l’ho più rivisto di persona, se non in altre occasioni pubbliche”.
Una storia di passione e solerzia, che vive negli occhi lucidi di orgoglio della professoressa Onofri, soprattutto quando racconta dell’impegno dei ragazzi del liceo Ariosto nel ricordare ogni anno Giorgio Bassani. E di come, in occasione di uno di questi progetti, ha avuto modo di conoscere Paola Bassani. Tutto è partito dalle bellissime foto scattate nel 1987 dal fotografo ferrarese Paolo Zappaterra, che ritraggono dei dettagli di casa Bassani: “i ragazzi ne erano rimasti affascinati e hanno avuto l’idea di cercare nella poesia di Bassani un rapporto, un filo conduttore con la poesia di Zappaterra espressa tramite le fotografie… naturalmente questo lavoro ha richiesto un paio d’anni, soprattutto per ricostruire i luoghi documentati, per cui ho pensato di contattare Paola Bassani. Mi è piaciuta subito: una donna molto genuina ma anche alternativa, che ha voluto creare un rapporto informale e produttivo con i ragazzi. Da quel momento è iniziato il mio dialogo con Paola”.
Sono abbastanza certa che ovunque ora sia, Giorgio Bassani sia orgoglioso di come uomini e donne come la professoressa Onofri abbiano compreso a fondo il valore della memoria e della testimonianza, che è disinteressata e sicuramente non commemorativa: è piuttosto una spinta di vitalità, un continuo dialogo tra passato e presente. Come direbbe lui, “Sono un poeta… sostanzialmente un poeta… E per quale motivo scrivono, i poeti, se non per tornare al mondo?”
1 commento
Grazi ad Aurora De Siena per questa intervista’ e a Eugenio Ciccone per averla pubblicata.