Se vi dicessi che Ferrara tra qualche anno potrebbe avere il triplo della sua popolazione attuale? Un assaggio di “affollamento” lo stiamo vivendo con gli studenti universitari, per via dell’aumento di posti e corsi di studio, ma questo trend potrebbe non limitarsi ai più giovani di passaggio in città. Le stime indicano che entro il 2050 il 70% della popolazione andrà a vivere in città, da questo dato nasce la necessità di ripensare gli spazi urbani anche da un punto di vista sociale e ambientale. Di questo e tanto altro si è discusso durante uno degli incontri in programma a Internazionale a Ferrara, in cui una delle trenta parole chiave scelte dal festival è stata proprio la città.
Fin dalla loro origine, le città sono sempre state un prodotto di contaminazione, frutto di chi per quei posti c’è passato e di quello che ha lasciato, sia in senso materiale che culturale. Una costruzione partita dal basso, da cittadini e per i cittadini e non un semplice disegno realizzato a tavolino da alcuni architetti. Lo sviluppo delle città un tempo nasceva dalla volontà delle persone di volersi migliorare e la costruzione di un edificio rappresentava una propria esaltazione. Proprio per questo si finiva a fare a gara con il vicino per mostrare tutto il proprio potenziale. Un gioco che potremmo definire al rialzo, in cui la città ci guadagnava in termini di bellezza e che Ferrara ha potuto godere mattoncino dopo mattoncino.
Un’idea del vivere comune che appare sempre più una nostra vecchia antenata, data l’eterna lotta al ribasso che si è insediata in società: la gara d’appalto assegnata al prezzo più basso, il risparmio sui materiali, i vari bonus governativi ecc.. Sono tutti elementi di una decadenza strutturale che ha colpito il nostro modo di pensare, portandoci ad accontentarci sempre, come l’ultima stanza rimasta disponibile per lo studente fuori sede. Altre volte, questo dipende dalla mancanza di tempo, un concetto che nella nostra società iperconnessa si è perso. Per la fretta di fare, con la fretta di realizzare, si finisce per costruire delle opere alquanto banali. Il Castello Estense non fu costruito in un giorno!
A tutta questa frenesia di chi si vuole mettere all’opera senza avere un progetto chiaro in mente è allergico l’architetto bolognese Mario Cucinella, che ricorda il motivo che ha spinto le persone a vivere all’interno di un contesto cittadino: «C’era una natura al di fuori che faceva paura, così le persone decisero di ripararsi dentro le città». Da questa sua definizione un po’ storica e anche un po’ sentimentale, comincia un lungo flusso di coscienza, che naviga nello spazio e nel tempo, rievoca ricordi che passano dalle luci e dai corridoi di una scuola. Chissà quante persone insieme a me in quel momento stavano andando indietro con la memoria per ricordare quali sono stati i propri dettagli indelebili.
Quasi risvegliandoci da questo sogno Cucinella dice che in fondo è normale, perché la scuola rappresenta una seconda casa per gli studenti, che ne ricorderanno per sempre perfino il colore delle mattonelle. È importante per questo che le opere vengano realizzate pensando alle esigenze dello studente, offrendogli tutti i possibili comfort. «Perché diverrebbe impossibile poter apprendere in un luogo, dove improvvisamente può fare molto caldo o molto freddo. Oppure se il circolo dell’aria risultasse insufficiente rispetto agli alunni presenti in una classe». Su questa scia continua l’architetto: «Vedete, le cose che si generano possono contribuire a produrre qualcos’altro, come un’emozione. Non saranno mai un ammasso di cemento o di calcestruzzo, ma qualcosa che ti accompagnerà per il resto della tua vita. Gli edifici non si muovono, ma viaggiano nella memoria, purché i ragazzi poi possano conservare il loro ricordo».
Per arrivare a capire tutto questo e per poter progettare degli edifici che vadano in questa direzione, l’esperto cita come elemento indispensabile “l’empatia creativa”, una sorta di stimolo che ci spinge alla scoperta di un luogo, di un punto di vista, ma anche di una nuova sfida. Come, ad esempio, quella che guarda alla transizione ecologica e che si giocherà nei prossimi venticinque anni. In questo arco temporale, degli obiettivi dovranno obbligatoriamente essere raggiunti, tra cui quello importantissimo delle zero emissioni.
Chiaramente con il Pnrr si presenta un’occasione più unica che mai per il Paese, perché anche attraverso quei fondi si avrà la possibilità di costruire dei nuovi edifici sostenibili. La regola di ingaggio però deve essere quella del non appiattimento, infatti, tanti soldi per sostenere questa sfida non significano per forza altrettante opere mediocri. Potrebbero essere anche meno strutture, ma più costose e che possano avere una durata maggiore nel tempo. Ricordiamo che nel territorio ferrarese attualmente sono stati finanziati ventisette progetti per un potenziale di 135 milioni di euro.
Insomma, c’è un’alternanza tra vuoti di tristezza e pieni di speranza. Dove il vuoto è descritto da quegli edifici che si trovano isolati e abbandonati, spazi in cui un tempo scorreva la vita e poi improvvisamente si è accettato il fatto che siano rimasti immobili. Questi rappresentano un duro colpo all’estetica urbana, come la chiesa di Santa Monica in via Montebello o l’ex cinema Manzoni oppure ancora l’ex Ipsia di via Roversella. Al di là di questi vuoti ci sono anche dei pieni, come la riqualificazione dell’ex Palaspecchi, finanziato proprio con fondi del Pnrr, in cui si andranno a realizzare quarantotto alloggi di edilizia residenziale sociale.
Una mossa questa sulla scia delle grandi capitali europee come Vienna, che rappresenta sicuramente un modello positivo anche dal punto di vista ambientale da replicare. Esistono anche altre idee e altre possibilità da poter sperimentare in città, come un maggiore sviluppo di orti e giardini pubblici, che permetterebbero una interazione tra le persone e un migliore utilizzo del territorio.
Dài, picia e martèla, si ritorna sempre alla campagna, infatti, «Se il buon governo si fonda sull’amministrare bene sia la campagna che la città, sta crescendo la convinzione che questa non possa crescere senza che vi sia un pieno sviluppo della zona rurale che faccia da traino». Un territorio come quello ferrarese ha molto da attingere dalla sua campagna, che oltre a produrre valore dal punto di vista economico, rappresenta un connubio che lega perfettamente ambiente, cultura e sviluppo produttivo. Un punto di forza da cui ripartire obbligatoriamente per il futuro e con cui affrontare le prossime sfide generazionali.