Il corpo parla, sì. Un linguaggio potenziato, fatto di impulsi, pause, interferenze, silenzi. Il corpo poi abita lo spazio, nome comune di cosa. Un termine sommario eppure così specifico da riempire, svuotare, principio di smarrimenti e conquiste, geografia emozionale.
Quanto spesso sentiamo di saper stare? Che valore diamo alla solitudine? Due lavori presentati in occasione del festival Interno Verde Danza sperimentano la capacità del corpo di (r)esistere.
Da un lato c’è Roberto Tedesco, giovane coreografo con rilevanti riconoscimenti internazionali, che nel suo progetto Simbiosi indaga gli effetti collaterali di un amore vincolato, portando sulla scena un duo di danzatrici.
Dall’altro in Deriva Traversa, con un taglio quasi ascetico, la visionaria compagnia Dewey Dell (eredi di un cognome che risuona altisonante, quello del regista Romeo Castellucci, loro padre) esplora il concetto di solitudine facendo eco al mondo bucolico, suggerito anche dalle musiche che riescono a creare dei paesaggi sonori.
Due approcci che potremmo guardare quasi come speculari: Tedesco seziona, osserva e ricompone come un anatomista i pezzi di una coppia di amanti; in trentadue minuti – come illustra egli stesso durante la prova aperta al pubblico – la pretesa di concentrare la vita di due innamorati, comprese le sue involuzioni, facendo leva su movimenti riconoscibili e pertanto riconducibili alla quotidianità, che diventano ora sincronizzati ora slegati, a rispecchiare soprattutto le fasi critiche della relazione.
Nella penombra del Ridotto del Teatro, invece, si staglia il corpo aggrovigliato di Teodora Castellucci, unica interprete dello spettacolo: lo spettatore si trova avvolto dal buio e da sonorità che evocano uno scenario idilliaco. Gli arti appena illuminati paiono sciogliersi dai nodi poco alla volta e, assaporando la lentezza di ogni attimo, il corpo cambia forma, respira, perde i contorni, parla della terra, alla terra.
Se Tedesco ci lascia l’amaro in bocca convalidando l’impossibilità di sanare il rapporto dei due amanti che si allontanano, dandoci le spalle, in movimenti rigidi e ingabbiati, la Castellucci al contrario disegna movimenti sospesi, e dopo dei guizzi che per un momento ci permettono di incrociare il suo sguardo, torna, come un animale, a raggomitolarsi nel suo guscio, lasciandoci il compito di immaginare altre metamorfosi.
Simbiosi, dal greco “vivere insieme”, molto spesso ridimensionando la libertà altrui. Andare alla deriva, ossia abbandonarsi al corso degli eventi, muoversi, cambiare.
Scendono le luci, la musica va cessando, lo spettatore si alza, consapevole di aver partecipato all’evento performativo proprio insieme ai danzatori. Sì, perché i corpi visti negli spettacoli sono corpi di artisti, ma anche quelli di adolescenti, di anziani, e poi ancora corpi virtuali, corpi stanchi, elettrici, nudi, nascosti, arrabbiati. Sono corpi come i nostri, corpi umani.