C’è una nuova regista in città. È donna, ferrarese e nonostante sia al suo esordio cinematografico è stata regista di seconda unità in alcuni dei film che hanno saputo innovare il cinema contemporaneo italiano. Uno di questi è Veloce come il Vento di Matteo Rovere con Matilda de Angelis e Stefano Accorsi. Ma il suo nome compare anche nei due sequel di Smetto quando voglio e nella serie televisiva Curon dove cura la regia delle ultime quattro puntate. Lei è Lyda Patitucci e il film è Come pecore in mezzo ai lupi, nelle sale dal 13 luglio: è prodotto da Groenlandia e annovera tra i protagonisti Isabella Ragonese e Andrea Arcangeli mentre la sceneggiatura è di Filippo Gravino. Il 31 luglio la regista sarà presente all’Arena CoopAlleanza al Parco Pareschi di Ferrara per la seconda presentazione cittadina del film.
“Questa è stata l’opportunità – ha detto la regista durante la prima presentazione, moderata da chi scrive – di dedicarmi finalmente a quello che è il punto centrale del lavoro del regista, la creazione dei personaggi”. Nelle esperienze sopra citate Lyda Patitucci si è occupata infatti, come regista di seconda unità, delle scene d’azione. In Veloce come il vento, le scene in cui Matilda de Angelis (Giulia De Martino) sfreccia nei circuiti di Imola, Monza, Vallelunga e Mugello, sono opera della regista ferrarese. In questo esordio invece Lyda Patitucci ha potuto lavorare con i protagonisti, lavorare sul loro corpo e sulle loro caratteristiche, indurirli nei modi e nelle forme. È ciò che ha fatto con Isabella Ragonese mentre con Andrea Arcangeli è servito un lavoro inverso. “Con Isabella – dice – ho fatto un lavoro di indurimento tanto sul corpo come sul viso. Mentre su Andrea siamo andati a lavorare per scavare, per consumare questo corpo che partiva dall’opposto perché veniva da Romulus 2 in cui aveva fatto un lavoro completamente diverso mettendo massa”.
Un lavoro enorme che porta grandi esiti nella recitazione dei protagonisti e di Carolina Michelangeli, giovanissima attrice che interpreta Marta, scelta tra altre 250 bambine. Isabella Ragonese si immerge perfettamente nei panni di Vera (nome di copertura), Stefania (vero nome), in un ruolo che non le era mai stato proposto. Andrea Arcangeli invece si trasforma perdendo 15 chili per passare dal forte eroe di Romulus a Bruno, fratello di Stefania e padre di Marta, un ragazzo fragile da poco uscito di prigione.
Come pecore in mezzo ai lupi è un crime, un thriller drammatico capace di portare con sé lo spettatore anche attraverso bruschi strappi. Strappi che portano ad immergersi pienamente nella storia di Vera, agente sotto copertura dalla vita famigliare complicata, che incontra nuovamente il fratello (Bruno) e la nipote (Marta) durante l’operazione in cui è coinvolta. Ruoli opposti, fratello e sorella che devono mantenere grande distanza tra loro per non farsi scoprire nascondendo i sentimenti che tornano ad unirli.
“L’opportunità di lavorare sulla sceneggiatura di Filippo Gravino – racconta Patitucci –, un autore che io amo tanto, è stata una grande occasione”. “Ho avuto una base solida da cui partire – aggiunge – che mi ha colpito per questa relazione tra fratelli all’interno di una cornice di genere molto definita”. Dopo aver iniziato a lavorarci “ho dovuto farla mia” e, in primis, “l’ho fatto iniziando a lavorare con Filippo che, da grande professionista, sa accettare la visione del regista” che plasma e lavora sulla sceneggiatura. E il lavoro di mediazione si è poi riproposto con gli attori “con cui siamo tornati a lavorare sul testo per farlo più nostro e più loro” e far nascere i personaggi.
Personaggi a cui la regista sul set lascia sempre “un margine di libertà”, personaggi che “a quel punto sono nati, hanno delle esigenze, esistono e a volte superano quello che tu avevi immaginato per loro”. “Ti fanno delle richieste e tu le devi ascoltare. Non puoi forzarli e incanalarli in una linea solo scritta su carta ma deve essere resa adatta a quegli esseri viventi, seppur immaginari, che hanno un corpo, un fisico e una voce che è quella dell’attore”. “Io credo che quella voce, quel fisico e quel corpo – aggiunge – debbano essere lasciati liberi di esprimersi nel momento in cui si sono già definite e consolidate le basi della scena e le battute fondamentali”.
Un grandissimo lavoro è stato fatto sul montaggio con Giuseppe Trepiccione che “con la sua sicurezza non solo mi ha dato una maggiore solidità ma siamo anche riusciti da subito ad allinearci sul tono”. Un tono asciutto, senza fronzoli, lavorando di cesello. “Giuseppe mi ha capito perfettamente e mi ha accompagnato su una mia richiesta che però apparteneva anche a lui. Volevamo essere molto secchi, molto asciutti, in fondo anche spietati com’è il film è come il film richiedeva”. In certi punti si è “tagliato con l’accetta per togliere ciò che non era necessario”, non si è avvertita la necessita di spettacolarizzare scene per autocompiacimento evitando di cadere “in certi indugi che sarebbero stati antitetici rispetto all’idea del film, un film che vuole essere asciutto e dritto e non auto-crogiolarsi o compiacersi di certe scelte”. Tutto ciò è stato possibile anche allo splendido lavoro di Ginevra Nervi che ha curato le musiche. Musiche e suoni che insieme al montaggio accompagnano lo spettatore dentro il film portandolo quasi a sfiorare gli attori sentendosi parte della scena.
Una regista donna e ferrarese si scriveva all’inizio. Caratteristiche che sicuramente non hanno aiutato una carriera che sta prendendo il volo. “Venire da una città di provincia come Ferrara – spiega Lyda Patitucci – credo possa rendere più difficile intraprendere questa carriera perché non si hanno dei legami con il mondo del cinema. D’altro canto però forse regala uno sguardo che può essere più personale, più proprio rispetto ad altri scenari dal punto di vista culturale e visivo, in fondo arricchendo quello che è l’immaginario di una persona”. “Io credo – aggiunge esemplificando – che se uno nasce in una piccola città ed è una persona curiosa è spinto ad andare altrove, a conoscere, mentre a volte per assurdo diventa quasi un piccolo limite trovarsi in una città in cui apparentemente c’è tutto ed è tutto accessibile perché si tende ad accomodarsi in quella situazione. Anche per questo spesso la molteplicità di provenienze può essere un arricchimento per il cinema italiano”.
Il regista poi è la figura che segue il film dall’inizio alla fine, l’unica figura che segue tutto il processo, “come un direttore d’orchestra che fa convergere tutto”. Il vertice di una piramide di potere e, “come in molte altre posizioni della nostra società, non è facile attribuire e riconoscere a una donna un ruolo di potere come è quello del regista”. “Credo però – aggiunge con una nota di speranza – che ora le cose, per fortuna, si stiano molto trasformando come si sta trasformando la nostra società”.