Un’occasione speciale per il Teatro Comunale, perché “Non hanno un amico”, podcast di grande successo (oltre cinquemila ascoltatori al giorno) ad opera di Luca Bizzarri, dietro la produzione di Chora Media, diventa uno spettacolo a teatro e per la sua prima data sceglie proprio Ferrara.
Impossibile non cogliere l’occasione per parlarne direttamente con l’autore, quel Luca Bizzarri che da Camera Cafè a Le Iene, da Sanremo alla recente partecipazione alla terza edizione del fortunatissimo LOL, su Prime Video, è alla guida di un podcast quotidiano che racconta dichiarazioni, tic e pensieri della classe politica e della società italiana.
Un esperimento di successo che vuole raccontare tutte le storture di una Italia immobile nei suoi difetti, che ha smesso di cercare un racconto diverso di sé: questo il centro del monologo di un’ora che andrà in scena il 5 maggio al Teatro Comunale.
Il 5 maggio sarà la prima di questo nuovo spettacolo, il podcast diventa monologo. Un podcast iniziato in campagna elettorale, ad agosto: dopo tutti questi mesi e oltre 170 puntate che cosa emerge da questo racconto quotidiano dell’Italia e delle persone che lo governano, che gestiscono il paese?
La situazione è grave ma non seria diceva qualcuno (Ennio Flaiano). È una situazione in cui credo di vedere e descrivere un paese sempre uguale a sé stesso, una cosa che a me fa molta impressione. Ad esempio, ormai ho una certa età (50 anni, Nda) e pensando alle polemiche sul 25 aprile che sento in questi giorni, se ci pensiamo sono le stesse di ogni anno: ogni anno in Italia è il giorno della marmotta.
È sempre un rito, mi sembra che più andiamo avanti più queste polemiche siano vuote, sia da una parte che dall’altra, continuiamo a parlare del nulla per non affrontare mai le problematiche più serie. E’ un pò l’Italia del compitino, del fatto che ognuno fa le sue piccole cose per poter dire di avere fatto il suo dovere, ma allo stesso tempo un paese in cui nessuno poi alla fine butta il cuore oltre l’ostacolo. Gli unici che lo fanno sono i giovani che dall’Italia se ne vanno, quelli che rischiano ma non rischiano qui, perché sanno che sarebbe perfettamente inutile farlo in questa nazione. Questa è un pò la tristezza del paese.
Mi viene in mente una delle ultime puntate, dove racconti un’infanzia di scelta tra gelato e trasferelli, e di quel momento educativo in cui qualcuno ci diceva che no, non era possibile fare tutto. In contrasto ai proclami politici che tendono a raccontare l’opposto e quando qualcuno invece ci ha spiegato la necessità di scegliere, è stato allontanato. Forse non è una classe politica inadeguata ma siamo noi popolazione a non esserlo, a non voler affrontare la realtà.
Ma certo: i politici siamo noi. È troppo facile dire “quelli non sono capaci e si approfittano di noi“, non c’è differenza tra noi e loro, c’è solo un noi. Quando penso a “non hanno un amico” (nessuno che conti fino a 3 prima di twittare, e nessuno che chieda consiglio a un amico prima di postare, nel sottotitolo del podcast) a me piace sempre dire “il primo sono io”. Sono il primo a essere messo in mezzo e preso in giro, spesso parlo delle mie stesse debolezze che poi vedo anche in altri. È molto facile mettersi dalla parte di chi giudica, se analizziamo tutti quello che facciamo concretamente ogni giorno capiamo che le colpe non sono solo da una parte, sono equamente divise.
Ascolta “Ep.166 – Il gelato o i trasferelli” su Spreaker.Parliamo del mezzo podcast, come media: è una cosa nuova per te? Com’è stato il lavoro per trasformare questi cinque, sei, sette minuti quotidiani in un monologo di un’ora per il teatro? Vi sarà anche una parte di contenuti inediti?
La scrittura del podcast varia da giorno a giorno. Ci sono dei giorni in cui mi metto al computer e lo fisso per tre ore, guardo, leggo inebetito e non scrivo una virgola per ore. Altri giorni come oggi in cui stiamo parlando in cui invece mi sono messo al computer e dopo venti minuti l’avevo già scritto e registrato. L’idea del monologo l’avevo da tempo, da prima della nascita del podcast. Essendo io enormemente pigro, ammetto di essere una persona a cui non piace lavorare, ma dovendo scrivere il podcast mi sono ritrovato ad avere 170 episodi e mi sono detto che forse il monologo, in fondo, l’avevo l’ho già scritto. Poi quando ho cominciato a tirare fuori cose dagli episodi mi sono venuti altri spunti e si, lo spettacolo ha una parte che nasce dal podcast e una parte che è stata scritta appositamente per il teatro.
Si dice che chi vuole scrivere debba farlo tutti i giorni, proprio come fosse attività fisica.
Guarda non dico di obbligarsi a legarsi ad una sedia ma in certo senso si. Io faccio una vita tristissima, passo le giornate a scrivere ma l’ho sempre fatto: io ho sempre scritto, è una cosa che mi è sempre piaciuta tantissimo. Avere quest’obbligo è diventato un pò come, sai quando vai a correre tutti i giorni e quando non ci vai poi ti senti morire? Quel giorno in cui non ci vai sembra che ti manchi l’aria e adesso a me succede lo stesso con lo scrivere. Adesso per me, dopo il risveglio è il momento della scrittura e anche se non ho una puntata da preparare, scrivo qualcosa.
In un’intervista dicevi: “cerco di trovare il brutto in tutti noi”. Un pò per abitudine personale ma anche per autocritica. Leghiamoci a quello che dicevi prima, al fatto che i giovani sono la voce mancante di questo paese, quando pensiamo a tutto quel discorso dei giovani isolati, privi di motivazione, che non fanno niente. Ma come facciamo a dare loro una voce, come cambiamo questa narrazione in cui siamo arrotolati su cicli perenni dove escludiamo voci nuove e diverse?
Io posso dire questo: spero che i giovani non assomiglino ai loro genitori. Secondo me siamo arrivati ad un punto generazionale in cui dobbiamo sperare che i nostri figli non ci somiglino.
Che facciano scelte diametralmente opposte. Poco tempo fa parlavo con un amico inglese, lui vive a Londra ma ha una compagna che per lavoro si sposta nel mondo, e mi raccontava il desiderio di viaggiare e di fare un figlio. A me è venuto naturale dirgli: ma se vuoi fare un figlio forse è meglio la stabilità di Londra, no? E lui mi ha guardato come se venissi da Marte, mi ha detto “no, io un figlio lo farei solo con la possibilità di portarlo in giro per il mondo“. Io ho pensato: ma questo è esattamente l’opposto di quello che ci hanno insegnato, ci hanno insegnato il valore della stabilità, la casa prima di ogni altra cosa, invece vedo che ci sono delle persone che cambiano questo modo di pensare, che rompono queste maledette radici. Per questo mi sembra estremamente vecchia la narrazione di questo governo, delle radici, delle tradizioni, del valore, dell’italiano… ma dove sono questi italiani? Esistono solo nelle loro teste, spero che i giovani non seguano questa narrazione ma vivano in un mondo come c’è spesso fuori dall’Italia. Anche governato dalle destre, non è questione di destra o sinistra, è questione di capire che il mondo è cambiato ed è inutile pensare di stare ancora lì, nella nazione con la n maiuscola, di decenni fa.
Una cosa che esce spesso nel podcast, sono tutte quelle polemiche che si susseguono su ogni cambiamento, dalla farina di grillo alla carne sintetica a tutto ciò che è vagamente nuovo.
Si, esatto. Io credo che ci siano dei problemi che i nostri sedici, diciotto, ventenni non sentano proprio come tali. Basti pensare ad una cosa: nella mia classe, solo qualche decennio fa, se ci fosse stato un bambino con genitori divorziati sarebbe stato uno scandalo. Adesso per un bambino di quattordici anni il pensiero è: vabbè, è uno dei tanti.
Ascolta “Ep.157 – La polpetta di mammut” su Spreaker.Il mondo è cambiato, le cose cambiano, che poi uno le voglia tenere ferme o no, le cose cambiano, c’è poco da fare.
INFO
“Non hanno un amico” 5 maggio, h 20:30 – Teatro Comunale – Ferrara
di e con LUCA BIZZARRI, scritto con Ugo Ripamonti
Dai creatori del podcast “Non hanno un amico” di Chora Media.
Produzione ITC2000