Ferrara come New York: prosegue la rassegna di stand-up comedy di Officina Meca, sotto al Grattacielo, con l’ospite più atteso, cioè Daniele Fabbri. Non se ne abbiano gli altri protagonisti della stagione, sia passati che futuri: la nostra è la tipica sincerità dello stand-up comedian. Appuntamento dunque per venerdì 17 marzo alle 21.00 con la prima birra, e alle 21.30 con lo spettacolo.
Fabbri torna in scena dopo un anno lontano dal palco, con un nuovo spettacolo che inaugura proprio a Ferrara (ricordiamolo, di venerdì 17). Il titolo è ‘Verità comode’, con una bella ‘s’ cancellata da una croce rossa un po’ splatter e un omaggio fotografico alla locandina di ‘Trentatrè Trentenni’, suo spettacolo datato 2013.
Dieci anni dopo ritroviamo uno stesso Fabbri, con qualche capello in meno, e un ciuccio un po’ differente – notano i veri fan – che dall’irriverenza un po’ incazzata dei trent’anni, si adagia sull’apparente rallentamento rilassato dei quaranta. A 40 anni non si va più in ostello (e anche la tenda è per pochi coraggiosi), si cena con i piedi sotto al tavolo e si rientra la domenica prima dell’aperitivo per riposare perché la vita deve essere comoda, lo sappiamo tutti.
“Il fatto che io sia invecchiato un poco rispetto a quando ho lasciato la scena, in un certo senso, è palese – racconta Daniele – poi non sono invecchiato dal punto di vista lavorativo, nella comicità, perché negli ultimi due mesi ho ricominciato a fare un po’ di palestra, in qualche serata open mic per fare un test delle battute e mi sono reso conto che ok, ancora mi ricordo come si fa. Dopodiché, ricordando l’ultima volta che sono salito sul palco qualcuno penserà ‘Oddio dove sono finiti i capelli!’. Ho fatto altro, per carità, perché non si può certo stare un anno senza lavorare, ma ho lasciato da parte i monologhi per un po’, perché secondo me ogni tanto fa pure bene, se uno riesce; però non vedo l’ora di ricominciare perché alla fine è una delle cose che mi diverte di più nella vita.”
Verità comode, quindi, uno spettacolo quasi rilassato: cosa dobbiamo aspettarci?
Molti comici, e non solo, hanno un po’ questa ossessione di voler cercare per forza le verità scomode da raccontare, le cose pungenti… in realtà non credo sia sempre necessario. Ogni tanto raccontarsi le cose semplici, eppure divertenti, fa bene. Dopo tutto quello che abbiamo passato negli ultimi anni, il bisogno di leggerezza ce l’hanno tutti, non solo i comici. Io ho fatto tante cose satiriche nella mia vita, però io faccio il comico e ho sempre pensato che non ci sia tutta questa differenza tra il fare satira e non fare satira: il comico dovrebbe far ridere parlando di varie cose, e se racconta una cosa seria questa può diventare un pensiero satirico, ma se parli di quello che ti succede durante la giornata, quando vai a fare la spesa, diventa comicità. Non dovrebbe esserci nemmeno la differenza tra l’una e l’altra, si ride e basta.
Poi la differenza tra comodità e scomodità è molto soggettiva, no?
Vero. È uno dei temi dello spettacolo: paradossalmente mi sono reso conto che per me sia molto più comodo parlare delle cose normalmente ritenute scomode, proprio comunemente nella vita, e che sia più scomodo parlare delle cose comode; cioè io mi trovo molto meno in difficoltà a parlare della guerra in Ucraina piuttosto che parlare del rapporto che ho con il mio gatto. La comodità è una cosa molto relativa.
Il tuo ultimo spettacolo, Fakeminismo ha fatto il botto e oggi è disponibile anche online come ormai tanti spettacoli di stand-up comedy, soprattutto americana: questa dinamica da un lato ne permette una maggiore diffusione ma dall’altro tradisce il format che vive della vicinanza con il pubblico. Questo è più positivo o più negativo?
Io credo nel ‘più c’è n’è, meglio è’, quindi sarei contentissimo se Netflix e le altre piattaforme si interessassero di più alla varietà dell’offerta. Credo che il problema sia più quello del mercato italiano e della cultura italiana, nel senso che più le piattaforme puntano sul mainstream, più puntano sul grande pubblico. Quando si tratta di produrre stand-up comedy, dunque, si tratta di produrre spettacoli per un pubblico più ampio con tutte le restrizioni che ne conseguono; mi dispiace più questa dinamica, che non riguarda le piattaforme e nemmeno la stand-up, ma di un vizio che abbiamo noi italiani. Nel mercato estero non funziona così: la maggior parte delle piattaforme propone stand-up che viene dall’America, per tanti pubblici differenti. Il problema che abbiamo qui in Italia non è tanto sulla stand-up, ma proprio sul pudore; un problema che sulla comicità si riflette tantissimo perché è spudorata per natura. Sulle piattaforme mainstream, la stand-up comedy deve rispettare il senso del pudore della televisione: questo non va bene, è come fare musica rock senza la batteria e senza le chitarre distorte. Resta vero che poter vedere da casa tante cose può anche far venire voglia di vedere queste cose dal vivo, è un circuito che si auto-alimenta.
E in effetti gli spettacoli di stand-up dei ‘mostri sacri’ americani sulle piattaforme non sono poi così edulcorati…
Si perché noi italiani pensiamo che gli americani siano un poco più birbantelli, quindi se le cose le fanno loro gliele concediamo. Noi no, dobbiamo essere brave persone. Loro possono essere un po’ più volgari, un po’ più spinti perché sono americani… Gli italiani devono dare il buon esempio come se ognuno di noi potesse diventare assessore alla cultura da un momento all’altro, come se dovesse mantenere buona la sua reputazione perché poi davanti al consiglio comunale sia comunque integra. Questo è il problema!
Sentiamo dire spesso dai comedian che per loro la stand-up sia terapeutica: per te cosa significa? Che benefici ha?
Si, molti la vivono come una terapia ma non è una buona terapia! Una buona terapia, è quella vera, su questo non ci piove. Credo che sia molto terapeutico però costringersi a raccontare fatti della propria vita perché ci si costringe anche a trovare gli aspetti positivi, per far ridere la gente; è un esercizio mentale che la comicità ti costringe a fare e che a livello personale molte persone non fanno. Una leggenda narra che in realtà i comici siano persone tristi, no? È una leggenda, non è vero, ma è vero invece che ci siano persone, come me, che tendenzialmente nella vita non sono abituate a vivere sempre il lato positivo delle cose, però la comicità ci aiuta a sviluppare un tipo di mentalità che a volte si usa anche nella vita. Questa è una cosa vera che aiuta sia chi fa comicità, sia chi l’ascolta. Ma io non sostituirei mai la terapia con la stand-up comedy (ride) e te lo dico sia da uno che fa comicità che da uno che fa terapia. È una delle cose di cui parlerò nello spettacolo tra l’altro… facendo un po’ incazzare la mia ragazza!
Resta poco da aggiungere alle parole sincere di Daniele, solo un’ultima questione da sottolineare: la sera dello spettacolo non sarà online ma solo dal vivo. Vada per le verità comode, ma il pudore tipico italiano resterà appannaggio delle piattaforme di streaming.
INFO
Il biglietto di ingresso costa 7 euro: le prevendite sono disponibili su Dice https://link.dice.fm/J154a66e8e8d. Ingresso riservato ai soci Arci. Officina Meca si trova qui su Facebook e qui su Instagram.