Il fascino di un mondo che non c’è più, o meglio in parte c’è, ma travolto, cambiato, frammentato. Un’indagine sociale e sentimentale di quel territorio pre-industriale, in cui aleggiava un’atmosfera malinconica, parzialmente avversa. La Bassa ferrarese.
La mostra fotografica attualmente in corso a Palazzo Turchi di Bagno e organizzata in collaborazione con le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, narra proprio questo micro universo e il suo ritmo lento. Folicaldi&Vallieri. Una storia padana. Fotografie degli anni Sessanta è l’esposizione che mette in dialogo il lavoro fotografico del medico fermano di radici comacchiesi Romano Folicaldi con quello dell’artista ferrarese Gianni Vallieri.
Curata da Ada Patrizia Fiorillo e Giuseppe Scandurra, la doppia personale si inserisce nell’ambito della Terza Missione del Dipartimento di Studi Umanistici e Servizi Museali dell’Ateneo di Ferrara. Tra gli obiettivi dell’Università, che sono didattica e ricerca, ce n’è un terzo chiamato Terza Missione. Tale funzione comprende attività di varia natura, realizzate in una modalità più divulgativa e si rivolge a un pubblico più ampio, non soltanto quello accademico. Con il tempo è diventata una parte fondamentale delle attività dell’Università e viene considerata e valutata nell’ambito di produzione anche scientifica. All’interno di questo registro, nasce l’idea di realizzare una mostra fotografica analogica, che si propone come un’ulteriore occasione di lettura e conoscenza del territorio che ci circonda, attraverso questo duplice sguardo, “un abbinamento felice che racconta la bassa ferrarese, ma con un linguaggio fotografico diverso per ciascun autore”. Come indicato dai curatori, i protagonisti dell’esposizione si avvalgono del fascino di un bianco e nero avvolto da morbide scale di grigi, per fissare e ‘congelare’ attimi di un mondo che c’è stato.
Romano Folicaldi (1931), nato a Trento e cresciuto in territori emiliani, si trasferì in seguito nelle Marche a Fermo. Legato fortemente a questa terra ‘inghiottita’ dalla nebbia, ci ritornerà per riscoprirla mutata: diversa e allo stesso tempo uguale. Le sue immagini potrebbero essere interpretate come reperti documentativi. Tuttavia, si potrebbe cogliere altresì un altro significato, quello di Folicaldi “è un avvicinamento a un territorio che non è esattamente suo di provenienza, quindi ritornare nei posti che ha frequentato, l’ha rimesso in contatto con la sua dimensione esistenziale, di riscoperta di un territorio che nel mentre è cambiato; il suo lavoro non è una documentazione netta, ma sono immagini velate e sfocate, che diventano quasi segni astratti”.
Lo sguardo di Romano è stato in grado di “cogliere queste luci sommosse, non nette e fermare il momento sul volto, sul gesto, sul paesaggio infine trasformato.” In un certo senso, attinge a un modo di cogliere la realtà, che si inserisce nella cattura dell’attimo. Un elemento costante della sua fotografia è l’evoluzione del rapporto tra l’essere umano e la natura, in particolare l’antropizzazione della natura. Seguendo questo vettore, la fotografia diventa l’unico mezzo per narrare tale cambiamento e si trasforma quasi in una necessità per appagare il suo animo, diventa un esercizio introspettivo.
A differenza di Folicaldi, c’è un taglio proprio più documentativo nel lavoro di Vallieri, “la sua è più una fotografia di tipo sociale, pur sempre sperimentale, in quanto capisce la potenzialità del mezzo”.
Il ferrarese Gianni Vallieri (1928-2017) è conosciuto principalmente come pittore di stampo naturalistico, quasi matissiano. Tuttavia, negli anni Sessanta si avvicina per un breve periodo alla fotografia e lo fa perché desidera documentare una sua mostra. Non possedendo una personale macchina fotografica, ne chiede una in prestito all’artista e amico Maurizio Bonora. Il linguaggio di Vallieri nell’ambito fotografico, era molto diverso dal suo bagaglio di pittore. Vallieri dimostra “una padronanza eccezionale del bianco e nero, un linguaggio quasi tagliente, un uso particolare delle ombre, che qualcuno non ha capito, interpretandole come macchie, ma in realtà sono volute, sono delle manipolazioni in fase di pellicola”.
Le fotografie presenti in mostra fanno parte del ciclo Immagini padane che l’artista aveva realizzato ed esposto nel 1969 presso il Centro Attività Visive di Palazzo dei Diamanti. Lanfranco Colombo ha dichiarato che Vallieri era in grado di filtrare l’essenzialità delle “cose” e raccontare in modo unico la campagna ferrarese, questa “pianura totale, dove d’estate un’afa sonnolente assale con dolcezza e d’inverno il grigio della nebbia evanescente inebria con altrettanto languore”, attraverso i problemi, le pene, le speranze degli abitanti.
INFO:
Folicaldi&Vallieri, Una storia padana
Fotografie degli anni Sessanta
Università degli Studi di Ferrara – SMA- Sistema Museale di Ateneo
Salone delle Mostre Temporanee, Palazzo Turchi di Bagno
C.so Ercole I d’Este, 32
fino al 26/03/2023, aperta tutti i giorni 10:00-18:00
Ingresso libero