Libertà vo’ cercando, un libro curato da Horacio Czertok con la prefazione di Andrea Pugiotto racconta, a più voci, la pratica del teatro in carcere che il Teatro Nucleo porta avanti da oltre 15 anni. Una pratica che non li vede soli ma accomunati a tante altre esperienze in tutta Italia che, come scrive Pugiotto nella prefazione, “si colloca perfettamente dentro l’orizzonte costituzionale del diritto punitivo, le cui pene «devono tendere alla rieducazione del condannato» (Costituzione, articolo 27, 3° comma)”. Una pratica positiva, necessaria, politica. Una pratica nascosta agli occhi dei più ma che migliora la società.
Ne abbiamo parlato in questa breve intervista con Horacio Czertok e Marco Luciano che coordinano il Laboratorio teatrale con gli attori-detenuti della Casa Circondariale di Ferrara e che oggi, mercoledì 18 gennaio, presentano al Ridotto del Comunale “Libertà vo’ cercando”.
Oltre 15 anni di Teatro e Carcere, oltre 6 produzioni, un libro, una mini serie su Youtube (Album di Famiglia) e ora il lancio di un crowdfunding per un documentario. Da dove venite e dove state andando?
In realtà le produzioni sono state molte di più. La modalità produttiva è quella del laboratorio, che prende in esame un tema, un autore, un testo, e ne fa uno studio che è sempre incentrato sull’attore-personaggio, sulle dinamiche sceniche che rivelano le trame e consentono la relazione con gli spettatori. Per esempio per il Woyzeck di Buchner, aprimmo un Cantiere che ci occupò quasi quattro anni e realizzammo otto allestimenti diversi. Il carcere è uno dei laboratori del Teatro Nucleo, come quello sulla salute mentale, quelli dedicati alla Scuola, agli spazi aperti. Il primo laboratorio si apri in Patagonia nel 1969, da questo nacque la Comuna Baires e nel 1974 il Teatro Nucleo. Il processo continua.
Mercoledì al Ridotto del Comunale presentate “Libertà vo’ cercando”. Nelle prime righe scritte da Andrea Pugiotto si legge: “Tanto vale riconoscerlo da subito: il teatro ha smesso da tempo di essere percepito come un’esperienza davvero necessaria. […] Del teatro, dunque, si può fare a meno. Tranne che in un luogo, dove conserva interamente la sua originaria e autentica funzione catartica: il carcere”. Paradossale direi che per ridare necessità al teatro si debba entrare in carcere?
Se chiudessero i teatri, non vedremmo certo delle manifestazioni in piazza. Poiché, da un lato, il teatro ha rinunciato ad essere al centro della vita sociale, preferendo la protezione delle sale e della “cultura” in quanto portavoce di una “lingua nazionale”, dall’altro l’idea oramai capillarmente diffusa che uno spettacolo, un ‘opera d’arte, sia un prodotto da “consumare”, ha generato un sistema di produzione culturale che mira più alla quantità che alla qualità, più al risultato e meno al processo, più al capriccio che all’urgenza; non stupisce che in un panorama simile si abbia la sensazione, spesso concreta, che il teatro abbia perso la sua incisività e sia diventato quindi meno “necessario”. Teatro Nucleo pertiene a quella storia del teatro che inizia con la Commedia dell’arte, ben prima che la letteratura se ne impadronisse. È quella la storia alla quale si ispira e fa riferimento. Non solo nelle carceri: nelle strade, nelle piazze, nei borghi senza teatro il teatro possiede sempre il suo potere di convocazione.
In questo tipo di esperienza in carcere si dà e si riceve, creando la possibilità di mettersi in gioco e quindi ricreare socialità in un luogo nato per escludere dalla socialità. Un percorso fondamentale anche alla luce di un futuro ritorno alla libertà da parte del detenuto. Ma chi ha ideato il laboratorio cosa porta con sé ogni volta che esce?
La soddisfazione del buon lavoro compiuto. La coscienza che ancora molto si può fare. La meraviglia nell’osservare come attraverso un processo creativo e rigoroso il teatro sia capace di gemmare nei luoghi più disparati, attraverso i corpi apparentemente meno preparati ad accoglierlo. Si esce con tante domande che ci insegnano il valore della ricerca.
Ora in cantiere avete un documentario per il quale avete avviato un crowdfunding.
In Italia, ma anche a livello Europeo, la questione riguardante la formazione degli operatori teatrali nelle carceri è un problema serio. Ci sono lacune enormi, poche opportunità di studio pratico. C’è approssimazione, improvvisazione e un latente spirito “umanitario” pervade il settore (se così si può definire). Il Teatro Nucleo, insieme alle altre compagnie del Coordinamento Regionale Teatro Carcere Emilia Romagna, è promotore della Patascuola, un percorso biennale di formazione in questo senso che raccoglie numerosi iscritti, sottolineando l’urgenza, soprattutto tra i giovani, di formarsi adeguatamente poter impiantare un laboratorio teatrale in un carcere. Se diamo per assunto che il teatro è una delle attività più efficaci in termini di “rieducazione”, socializzazione e alfabetizzazione addirittura, come numerosi studi a livello mondiale dimostrano, bisogna fare di più. Abbiamo l’idea di creare un film pedagogico, capace di raccontare in maniera pragmatica il processo laboratoriale che porta alla creazione di un’opera teatrale all’interno del carcere, con l’auspicio che possa essere utile a chi voglia intraprendere percorsi artistici professionali nelle carceri. È il nostro contributo alla risoluzione di un problema che sentiamo nodale.
Questo documentario potrebbe anche diventare un modo far conoscere meglio un’attività molto diffusa, quella di compagnie teatrali che svolgono laboratori nelle case circondariali, ma poco conosciuta al pubblico? Il carcere è ancora da molti visto come entità che va circondata con alte mura e dimenticata.
Abbiamo sempre pensato, e pensiamo tuttora che il processo teatrale in carcere, dal laboratorio allo spettacolo, contribuisca alla costruzione di un ponte tra il carcere e la società civile. È la funzione del teatro quella di abbattere le barriere tra “te” e “me”. Ci piace pensare che questo film poserà altre pietre per questo ponte, affinché quelle mura siano più vicine e meno alte.
Tornando al libro, sono numerosi gli autori che hanno dato un contributo e soprattutto creano una polifonia, punti di partenza diversi, professionali, di studio ma anche di forma. Si mettono l’una affianco all’altra persone che hanno toccato con mano questa attività e rispetto alla quale hanno avuto spesso un ruolo. Una polifonia che culla il lettore attraverso diversi punti di partenza che però arrivano a questa ricerca di libertà esplicitata già nel titolo, una ricerca di libertà che il detenuto non può aspettare contando i giorni sul calendario ma alla quale deve andare incontro attraverso le attività proposte. A che punto siamo e quanta strada c’è ancora da percorre? Mi riferisco a quello che si può fare per migliorare il percorso di reinserimento all’interno delle case circondariali, ma anche a come queste vengono viste da fuori, dato che un percorso di reinserimento non può essere univoco ma ha la necessità di essere biunivoco.
Il laboratorio teatrale si iscrive nel numero delle attività necessarie ad attuare il dettato costituzionale in ciò che riguarda la funzione della pena e dell’istituto carcerario. È necessario lavorare sul sociale per superare lo stigma ed accogliere il detenuto a fine pena. Costruire nella nostra società zone sicure, sicure perché fondate sulla dignità. C’è molta strada da fare, in termini morali, sull’idea che si ha del perdono e della colpa, in termini sociali, sul concetto dell’errore, della pena e dell’inclusione. Si deve capire che ciò che il detenuto sperimenta durante la detenzione può diventare ricchezza spirituale a beneficio di tutti.