Qualche giorno fa sono stata ospite del Collettivo Transfemminista OUT!*. Il gruppo è nato due anni fa, durante il lockdown, grazie alla campagna online “Social Pride”, dal bisogno di dar spazio alla componente studentesca approfondendo l’espressione di istanze relative al mondo queer.
Il Collettivo vuole essere un luogo sicuro in cui riunirsi, essere ascoltati e far sentire la propria voce, secondo i principi di intersezionalità e orizzontalità, creando una bella dinamica in cui nessuno si sente escluso. “Anche se devo dire che a noi non piace la dinamica escluso/incluso: la parola “inclusione” presuppone che qualcuno dall’alto del suo privilegio, e quindi del suo potere, dia il permesso di entrare a chi è rimasto fuori” mi spiega Francesca.
Il nome OUT!* mi fa subito pensare al coming out e mi sembra un termine carico di significati importanti. Leonardo specifica che “la parola strizza l’occhio al fatto di sentirsi fuori dai binari, richiamando anche il concetto di non binarismo di genere. L’asterisco invece è un riferimento alla questione del linguaggio neutro di cui si parla tanto ultimamente.”
Mi chiedo ammirata cosa spinga le persone a riunirsi in un Collettivo: la voglia di confronto, sicuramente anche il voler far parte di una realtà affine, soprattutto quando si appartiene a ciò che oggi ancora viene chiamata “minoranza”. Ricordo che anche io all’università avevo voluto aderire a ciò che allora si chiamava LGBT Society.
Raccolgo un po’ di testimonianze e Leonardo, che fa parte del gruppo dall’inizio, racconta che ha aderito perché voleva dar voce alle domande interiori che sentiva sempre più forti: “ero in un momento di ricerca, alla scoperta di me, volevo chiarirmi e sentivo la necessità di approfondimento”. Sara, new entry del Collettivo, aggiunge che ha sempre avuto interesse per gli argomenti queer, ma da un anno li percepisce in modo più intimo: “ho partecipato all’assemblea aperta qualche settimana fa e ho sentito forte vicinanza ai temi che sento dentro, tanto che ho deciso di aderire”.
Roberta ha le idee chiare e mi spiega che grazie a OUT!* vuole lottare per garantire servizi di base al corpo studentesco: “non è possibile che non esista un vero psicologo in ambito universitario, a maggior ragione dopo la pandemia, il lockdown e le condizioni in cui abbiamo vissuto per mesi! E dire che le tasse universitarie le paghiamo… non tutti possono permettersi uno psicologo privato”.
Leggo nel “Manifesto” che OUT!* vuole realizzare un’università queer. Francesca mi racconta con decisione che un’università normale è quella in cui ci si deve preoccupare solo dello studio e non della paura del giudizio, della discriminazione, del malessere… E non si riferisce solo a discriminazioni in ambito di orientamento sessuale o di genere, ma in senso ampio a qualsiasi ingiustizia vissuta in università.
Ad esempio, hanno organizzato un incontro con una persona rom che frequenta l’università ma che non può immatricolarsi perché non ha un indirizzo di residenza. Ciò crea problematiche che pregiudicano l’esperienza universitaria, sia dal punto di vista sociale che educativo. Giorgia condensa il pensiero del gruppo dicendo che l’obiettivo è crescere di importanza all’interno degli organi universitari, così da avere il giusto peso per lottare e portare avanti le istanze degli studenti.
Nei suoi primi due anni di vita OUT!* è riuscito a organizzare e realizzare iniziative di valore: la partecipazione alla manifestazione in occasione della diatriba sul DDL Zan, a quella sul caro affitti che colpisce gli studenti in città, la creazione di una rassegna cinematografica, proponendo anche film indipendenti a tematica queer. Uno dei risultati più importanti è stata l’approvazione della mozione che prevede la presenza di almeno un bagno neutro (cioè non contrassegnato da simboli relativi a uomo/donna) in ogni dipartimento universitario. Sono piccoli grandi passi che impattano positivamente la vita quotidiana delle persone e la loro serenità, piccoli grandi gesti che rendono l’università più libera e per i quali vale la pena lottare.
Agire dall’interno per rendere le aule posti sicuri, creare uno spazio di condivisione profonda sono alcuni degli obiettivi di OUT!*… ma c’è un altro grande obiettivo. Mi raccontano sorridendo che vogliono realizzare un vero Pride a Ferrara. Un Pride che non sia solo una festa, ma anche un’occasione di lotta in cui farsi sentire in strada, in grande, in modo serio e controcorrente, portando avanti rivendicazioni importanti. “Serve un evento che disturbi e crei scompiglio” si anima Leonardo. “Quello che finora abbiamo visto a Ferrara non è Pride. È festa, è convivialità ma manca lo spazio della rivendicazione, delle richieste concrete e controcorrente. Da due anni cerchiamo realtà cittadine cui appoggiarci per portare avanti questo progetto, ma finora non abbiamo trovato apertura”.
Tra i progetti più a breve termine: un venerdì si e un venerdì no c’è l’Aperiqueer, una serie di aperitivi a tema in collaborazione con locali e bar per autofinanziare il Pride e per vivere momenti di dialogo e relax.
Leggo sul profilo Instagram del gruppo che uno dei loro progetti più importanti si chiama Corpi Resistenti e si compone di diverse iniziative. È l’espressione concreta dell’operato del collettivo: esce dal mondo digitale dei social per approdare nella realtà. Hanno organizzato un approfondimento sulle malattie sessualmente trasmissibili e sullo stigma a loro legato, che ancora persiste. Hanno ideato una campagna di sensibilizzazione in cui hanno affisso simboli gender-neutral sulle porte dei bagni delle università. Hanno inoltre contribuito attivamente affinché venisse approvata la Carriera Alias.
Una Carriera Alias è uno strumento che permette di avere un doppio libretto per poter svolgere le attività universitarie col nome che la persona ha scelto per sé. Fino a poco tempo fa un giudice doveva concedere l’autorizzazione, serviva anche una perizia medica e questo certamente contribuiva alla patologizzazione della disforia di genere. Ora invece la strada sembra essere più fluida.
Tornando alla questione del linguaggio neutro, quali sono le opinioni di OUT!* in merito alla schwa? Sospirando, Roberta conferma che è un concetto complicato che ha causato un certo dibattito e anche tra la comunità queer non tutti sono d’accordo sul suo utilizzo, anzi: “c’è addirittura chi pensa sia un simbolo femminista, e invece ovviamente non lo è”.
La riflessione linguistica di Sara ci ricorda che le abitudini sono dure a morire, specialmente quando riguardano un uso radicato nella cultura italiana. “Molte persone non sono d’accordo solo perché non sono abituati a usare la schwa. La società ci ha formato a parlare ragionando in termini binari, non è facile cambiare improvvisamente, anche se ricordiamoci che il suono della schwa in realtà esiste già in molti dialetti quindi la difficoltà non riguarda la stranezza del suono ə in sé”.
Christian ci ricorda saggiamente che il dibattito non dovrebbe concentrarsi attorno alla dicotomia sterile sull’utilizzo/rifiuto della schwa, dovrebbe focalizzarsi invece sul cercare un modo concreto e più generale possibile, più neutro possibile di esprimersi. Questa soluzione avrebbe la potenzialità di superare le varie diatribe in corso, centrando la problematica.
Mentre sistemiamo il locale de La Resistenza che ci ha ospitato, mi rendo conto che per essere un Collettivo di recente formazione, OUT!* ha già raggiunto risultati importanti e soprattutto concreti, primo fra tutti quello di dare uno spazio sicuro e una voce a chi ne sente il bisogno. OUT!* è solo all’inizio… Che l’anno prossimo possa finalmente esserci il Pride a Ferrara? Incrociamo le dita!