Cultura popolare e tradizione si intrecciano spesso con il mondo della danza contemporanea e delle arti performative. L’espressione più sincera del territorio, del legame con le proprie radici e abitudini, agevola riflessioni condivise, dialoghi e ricerca che necessitano libera espressione; la danza contemporanea è tra i veicoli più adatti e efficaci per soddisfare questa necessità.
In quest’ottica nasce il Festival Indaco che giunge al termine proprio questo weekend – venerdì 18 e sabato 19 novembre – qui a Ferrara. La nostra città è il terzo polo dell’iniziativa assieme a Rimini e Bologna.
Il Festival Indaco, Pratiche intersezionali di comunità, danza e arte performativa è un progetto ideato da MICCE e dal Fattoria Indaco, compagnia di danza che ha l’obiettivo di promuovere e ad coltivare il talento di performer che provengono da diversi contesti, anche svantaggiati.
Ferrara si inserisce in calendario ospitando due eventi presso gli spazi del circolo Arci Officina MECA, ai piedi del grattacielo. Venerdì 18, alle 20.30, in scena la ricerca di Francesca Caselli, danzatrice di DNA dance company, per la compagnia francese Malaxe e con ootherside collective, di cui è una delle fondatrici. ESTRANEE il titolo della sua performance: un invito alle donne, un percorso possibile per riappropriarsi di un corpo che tende al distacco per la pesantezza del giudizio.
Sabato 19, dalle 10 alle 12, il workshop di Diana Anselmo, SEGNI PROPRI. L’obiettivo di Diana è la decostruzione del mito del corpo ‘abile e indossabile’. Una prima riflessione teorica sullo stigma e le interazioni sociali appesantite dalla presenza di elementi di discredito; e poi la pratica per i 15 partecipanti (info per l’iscrizione in basso) che lanceranno in loro corpo in un ambiente urbano come segno di non conformità, rivolta e riappropriazione.
Due focus, dunque, su quel corpo così ingombrante, spesso al centro della nostra vita senza la giusta motivazione, simbolo di tanto altro, profondo e nascosto. Abbiamo sentito la necessità di approfondire il tema con l’aiuto di Francesca Caselli per muovere i primi passi nel mondo della sua ricerca e della sua poetica, in vista di venerdì.
Anche Estranee, come altri tuoi lavori, si sviluppa attorno alla riflessione sul corpo femminile e sui paradigmi che lo limitano: da dove nasce questa ricerca? Si tratta di un sentimento intimo e personale che pian piano diventa universale o viceversa?
Da quando ho iniziato ad interessarmi alla coreografia, la mia ricerca verte principalmente su un corpo luogo di memorie, un corpo emotivo, che esprime dei bisogni e li vuole soddisfare. Nell’assecondare questa necessità si mette in atto l’azione di un corpo politico, che sa ciò che vuole, che si libera da ciò che non lo fa stare bene, che si conosce e sa stare nel presente. In particolare, da qualche anno un tema che mi preme è sicuramente il corpo femminile, le sovrastrutture che lo limitano (anche fortemente in certi casi) e la necessità che abbia voce e spazio. Interrogandomi sul rapporto con il mio corpo, le sue forme e gli (auto)giudizi che portavo con me, è nata la mia ricerca. Molto presto ho realizzato che tali “limiti” autoimposti e condizionati dalla storia e dalla società sono interiorizzati da moltissime donne, che si trovano a paragonarsi costantemente ad un immaginario pubblicitario e spettacolarizzato e a ideali che spesso non corrispondono alle proprie necessità; così ho sentito forte l’urgenza di condividere la mia ricerca e le strategie con cui manifesto il mio dissenso, i miei tentativi di liberare il corpo. Tale condivisione non avviene solamente in scena, ma anche e soprattutto attraverso il laboratorio Corpi di donne che propongo a donne di ogni età.
L’accettazione del corpo è un tema complesso, e qui alla base del Festival Indaco: cosa significa secondo te potersene riappropriare?
La riappropriazione del corpo passa, in primo luogo, dal riconoscimento di questo, delle sue forme e della sua costituzione. Vederlo per quello che è, studiarne i dettagli e conoscerne le proprietà: non a livello astratto ma attraverso il tocco. Il senso del tatto che, prima della “società dello spettacolo”, era il più utilizzato, ha lasciato il primato alla vista. Dal momento in cui ci troviamo nell’era dell’immagine e la vista è sovra stimolata, anche il nostro cervello è sovraccarico di immagini e tale condizione ci allontana sempre di più dalla nostra realtà fisica perché siamo impegnate a portare l’attenzione su altro. Per questo, riportare l’attenzione al potere delle mani di toccare e di toccarsi, di comunicare ad un livello molto più sottile e sensibile e soprattutto di riattivare la pelle per ritornare alla profondità di un’esperienza fisica con sé stesse e gli altri, diventa la condizione in cui accettare come siamo e come stiamo. Così per me essere donna oggi vuol dire ascoltarsi, lottare per potersi sentire e farsi ascoltare, accogliersi e accogliere. Cercare me stessa e scoprirmi ogni giorno.
Come può la danza essere d’aiuto in questo percorso di ‘riappacificazione’ con il corpo?
Attraverso la danza affino la mia sensibilità ed esploro la percezione. Mi lascio agire dalla dinamica invisibile, mi abbandono. Lascio un pensiero razionale (fatto anche di giudizi) per immergermi in un flusso di cui sento principalmente l’energia. Vivo il mio corpo al di fuori di schemi rigidi e lo sento, quindi lo vedo con altri occhi, mi vedo dentro. La danza è una forma d’arte che coinvolge totalmente il corpo in quanto strumento del danzatore. In questo senso si risveglia una parte molto istintiva e primordiale dell’essere umano quando si muove, si sveglia il corpo e, con esso, un’intelligenza in ascolto e connessione con altri corpi che ci circondano e lo spazio.
INFO:
L’evento è gratuito – aperto a soci e socie Arci, con possibilità di tesseramento in loco – e finanziato dalla Regione Emilia Romagna; a collaborare per la riuscita dell’iniziativa sono ARCI Bologna, ARCI Ferrara, ARCI Rimini, Zoopalco, DAS e COOP, Eucrante, Officina MECA, Resina.
Per iscrizioni al workshop (max 15 partecipanti) basta un’email a info@arciferrara.org.