Nella Grecia antica, la danza aveva una connotazione diversa da ciò che denota oggi. Era un’attività quasi quotidiana, primariamente comunicativa, una specie di rituale e non aveva l’aspetto spettacolare conferito dalla contemporaneità. Cos’è oggi la danza? Istinto, controllo, coordinamento, abbandono? Siamo o abbiamo un corpo? Il corpo è diviso tra natura e cultura oppure si trova in mezzo, in una specie di compromesso?
Di questo e di tanto altro ho parlato con Monica Casadei – coreografa e fondatrice della compagnia Artemis Danza. Presente in questi giorni a Ferrara con lo spettacolo CorpiViolati#DJoperaNoir, in programma domenica 30 ottobre, alle ore 16 al Teatro Comunale, per il Festival di Danza Contemporanea 2022. Contestualmente ha inaugurato l’installazione fotografica Omaggio a Traviata con le fotografie di Marco Caselli Nirmal, Beatrice Pavasini, Vincenzo Cerati e Giuseppe Distefano.
Per Monica la danza è qualcosa di catartico, è come abitare un corpo, ci porta a scoprire la nostra storia, che in realtà è una storia universale perché ha attraversato tanti corpi. “Il corpo è frutto di varie epoche e quindi di una moltitudine di generazioni – racconta -. Indagando, concentrandoci, praticando il nostro corpo possiamo parlare veramente di tutto, di tematiche diverse e di realtà non sempre vissute direttamente. La pratica corporea permette di entrare nella nostra profondità e di canalizzare l’istinto in una forma. La forma è fondamentale, crea in qualche modo un confine, permette di essere espressa, comunicata e di conseguenza condivisa. Ma da sola senza un contenuto o una pulsione vitale è un po’ inutile. La mia danza è abitata, in quanto c’è un lavoro sulla coscienza, sulla consapevolezza, sulla persona, è un processo interno. È una pratica fluida, un lavoro quotidiano, come il respiro. Credo fortemente nella danza, cioè nel linguaggio corporeo perché parla all’inconscio, ha una capacità di comunicare fortissima. È anche questa la magia e la potenza della danza.”
Lei si è laureata con una tesi incentrata su Platone e la danza: che correlazione c’è tra essi? Platone era dell’idea che il corpo fosse una tomba per l’anima, come si accorda questo pensiero con la danza, considerando che il corpo è l’epicentro di essa?
Platone considerava la danza terapeutica, era collegata alla musica, quindi era una terapia. Un’anima irrequieta si curava soltanto con il corpo, creando un movimento. Il corpo può diventare un carcere, è un accumulo di tante storie, che si possono strutturare. E soprattutto, è l’anima che si trova in questo carcere. Quindi la danza diventa catartica, è un attraversamento di tematiche o se vogliamo di energie. Se un corpo non è allenato o pronto a recepire, fisicamente e psicologicamente, rimane chiuso, un corpo che esprime solo sé stesso. Bisogna avere la capacità di unire la nostra storia personale con gli altri danzatori e connetterci con altre energie.
Dalla sua biografia si evince che lei abbia studiato e praticato (ancora tutt’oggi) le arti marziali. In che modo dialogano la dimensione occidentale con quella orientale nel suo lavoro?
La pratica delle arti marziali ha influenzato lo stile della mia danza, è una tecnica di svisceramento, di canalizzazione dell’energia. La dimensione orientale ha impregnato il mio percorso da danzatrice e la considero fondamentale per dare un senso all’agire. Ti insegna il silenzio (noi occidentali siamo abituati a verbalizzare molto) e il lavoro sull’interiorità. La danza occidentale è molto più muscolare, più atletica, ma a volte manca una parte profonda, interiore che dia senso a quello che si fa, quindi il connubio di questi due mondi è vitale, perché la potenza di un gesto diventa qualcosa di tangibile, lo si percepisce.
Il corpo produce un linguaggio, possiamo considerarlo come un sistema di segni che produce significati, che genera senso. Che messaggio o significato circola nello spettacolo Corpi violati?
Già il titolo è molto indicativo, si tratta appunto di corpi in qualche modo violati. Una comunità di corpi che ha subito violenza, stretta nella memoria di un corpo ferito, cicatrizzato. Una violenza che colpisce tutti, senza distinzione di genere, che nasce dalle ingiustizie irrisolte o non metabolizzate. È uno spettacolo dove non c’è tregua, è un unico disegno nello spazio, quasi un atto unico, un non-stop di questi 15 danzatori che cercano di sopravvivere come facciamo nella vita. È un po’ uno specchio, un ritratto di quello che ci circonda, in maniera ovviamente molto intensa. Uno spettacolo sulle nostre cicatrici, su ciò che rimane dopo la violazione.
Quindi, un corpo comunitario, un’unità che raccoglie questa sofferenza per poi espellere tramite la danza il dolore o il trauma vissuto. Possiamo attribuire alla rappresentazione un valore riparativo?
Assolutamente! Credo fortemente alla danza proprio come atto riparativo. Nel momento in cui accettiamo la propria fragilità o l’azione subita, siamo sulla strada per ripararla. Anche trovare la forma giusta per poterla comunicare significa essere a un passo dalla salvezza.
Nel 1994 lei fonda la sua compagnia Artemis Danza, attiva da ormai quasi 30 anni. Come mai la scelta di nominarla come la dea della caccia e come si è evoluta nel tempo?
Perché è un po’ la tempra, è il tono della compagnia, un po’ amazzone, un po’ vigorosa. C’è un’idea di forza propulsiva, di proiezione di un’energia vitale ma anche selvaggia (ma sotto controllo). È il vigore alla base della compagnia, con un timbro coraggioso e tonico. Sono molto fortunata, la compagnia ha avuto uno sviluppo costante e crescente. Una caratteristica distintiva che abbiamo è che c’è proprio una vocazione per l’incontro con culture altre, quindi da tanti anni ormai in maniera costante si viaggia per assorbire danze di altri territori, quindi anche incontri di apprendimento come quelli in India o Giappone. Si viaggia anche per condividere emozioni e visioni dell’arte. Nel tempo la compagnia è cresciuta, facciamo cose anche molto diverse, può capitare di fare spettacoli completamente diversi nello stesso mese, che oscillano dall’ironia al drammatico. Una compagnia molto eclettica e disponibile, che riesce a cambiare stile.
Ferrara è anche la sua città natale. Se fosse un movimento di danza, quale sarebbe?
Sarebbe armonico e dolce, un movimento a spirale, fluido e armonico come la nebbia.