Lasciare il proprio Paese appena ventenne, scrollarsi di spalle un passato pesante, la perdita di un padre, la povertà, il senso di cadere nel vuoto all’improvviso. E poi la vita in orfanotrofio, la durezza di certe suore, quegli scherzi crudeli che i bimbi amano fare. Cercare la propria strada, resistere, lavorare, trovare conforto nella pittura, “una camera tutta per sé” a metà via tra la realtà e il sogno. Ma certe cose, lo sappiamo, non sono facili da cancellare, emergono nuovamente, fanno parte di noi per tutta una vita. Odori, luci, colori, luoghi in cui siamo stati felici, o no.
C’è tanto di Ferrara nelle opere di Adelchi Riccardo Mantovani, artista ottantenne nato a Ro Ferrarese, emigrato nel 1964 in Germania e dal ‘66 trasferitosi a Berlino. E dalla città che nel Novecento è stata segnata più e più volte dalla Storia, un giovanissimo ferrarese fa il tornitore, mestiere appreso durante gli anni in collegio. Adelchi lavora in fabbrica e nel tempo libero porta avanti la sua passione, che ha fin dai primi anni all’orfanotrofio. «Quando ero dalle suore – ricorda lui stesso – mi procuravo le matite, strappavo le due pagine interne dai quaderni di scuola e facevo dei quadernini piccoli che riempivo tutti di disegni. Questo è stato il mio inizio». Finché la pittura non diventa il suo lavoro, lascia la fabbrica e vi si dedica a tempo pieno. I collezionisti iniziano ad apprezzarlo e ad acquistare le sue opere, che per precisione e tratto ricordano le opere fiamminghe, con minuziosi dettagli che si possono ritrovare negli affreschi di Palazzo Schifanoia.
Il suo mondo è fantastico, allegorico e fiabesco, affonda le radici nel ricordo. Il Po, il rosso dei mattoni ferraresi, la sua Ro, la rivincita dell’immaginario, del sogno, sulla vita. Ora queste opere, per la prima volta, sono raccolte nella mostra al Castello Adelchi Riccardo Mantovani. Il sogno di Ferrara, visitabile fino al 9 ottobre. Si tratta della prima antologica sull’artista, con oltre 100 sue opere.
Dicevamo, c’è tanto di Ferrara, ma che cosa?
Per esempio nel suo dipinto Il rosario 1, del 1976, presente in mostra, si intravedono l’abside e il cortile del convento di Sant’Apollonia in via XX settembre – ricreati a memoria – dove c’era il Grisoli, primo collegio dove Mantovani trascorse la sua infanzia.
O come Nebbia, del 2017, in cui da Berlino Adelchi ambienta la scena in via Porta d’Amore, e racconta il momento in cui la madre lo accompagna in orfanotrofio, e la sua vita cambia per sempre.
In fondo allo stanzone di Prima del risveglio (2016), che riunisce i bambini ‘senza famiglia’ del collegio, in una sorta di trompe l’oeil ecco spiccare il Castello Estense, mentre ne La grande onda, del 2020, è rievocata la lunga prospettiva di via XX Settembre.
Con Adelchi Riccardo Mantovani ci troviamo spesso di fronte a paesaggi al limite del surreale. In Paesaggio eroico, del 2008, dove l’artista fa incontrare un po’ tutti i suoi personaggi presenti in opere precedenti, gli elementi rocciosi rimandano al mondo agrario e fantastico del ciclo di Schifanoia.
Ne Il rientro della notte, 1986, anche se destabilizzati dai colori dell’alba, ci si sente subito a casa. Come lo è La fine della guerra infinita, del 2021, dove ci si avvicina sempre più alle origini del pittore, ai suoi primi ricordi, con la piazza di Ro Ferrarese ben riconoscibile. Aguzzando lo sguardo, avvicinandosi al quadro, il suo paese natio c’è anche nel disegno Il destino, del 1985.
La fine della guerra infinita, 2021, Olio su tavola, cm 29,5 x 39,5 Collezione privata
Come è nato Notturno Padano lo racconta lui stesso in una intervista video, realizzata dalla Fondazione Ferrara Arte in occasione della mostra in Castello: “Era domenica, erano gli anni Sessanta. La mia famiglia abitava nelle scuole di Ro. Dalla finestra del primo piano ho visto questo cumulo di nuvole, con i lampi del caldo, in continuazione. Ho preso un carboncino e li ho disegnati. Ce l’ho ancora, il disegno. Poi l’ho inserito in questo quadro”.
Ne La cantastorie 2 il rimando è alla Delizia di Belriguardo, altro luogo simbolo del territorio. La cantastorie si trova davanti all’edificio, e narra, cantando, la vicenda dell’Orlando furioso. C’è un piccolo teatrino ambulante alle sue spalle. L’unico spettatore è un bambino con il suo cavallo-giocattolo.
C’è L’attesa, che parla dell’alluvione del ‘51 e della rotta del Po. La sua famiglia e gli abitanti di Ro si erano radunati sulla cima dell’argine destro del fiume, convinti che qualora si fosse verificata l’esondazione, si sarebbero salvati. “Un’idea veramente curiosa – commenta Mantovani nel catalogo della mostra, edito da Ferrara Arte, che racchiude delle vere chicche, scritte proprio dall’artista – in quanto la rottura dell’argine sarebbe potuta avvenire anche sotto i loro piedi”. Ciò accadde nell’altra sponda, quella veneta, causando morti e devastazioni. Affinando anche qui lo sguardo, si potranno incontrare – tra i presenti – soggetti alquanto bizzarri, forse perché Adelchi ama la vita, seppur in tanto dolore, e attraverso la pittura prova a giocare coi ricordi, a modificarli, come fanno i bimbi con le storie per esorcizzare la paura del buio, prima di andare a letto.
Infine c’è il dipinto simbolo della mostra, Il paletot rosso (2006), in cui il grande fiume e i suoi argini raccolgono la giovane donna il cui cappottino dal colore acceso si staglia sui colori tipici delle nostre terre. Ci fissa, come a chiederci: “Vi aspetto da una vita, quando venite a prendermi?”. È il Po sopra Berlino, è la storia di un ragazzino che aspetta che qualcuno lo riporti finalmente a casa.
INFO:
Il sogno di Ferrara
Adelchi Riccardo Mantovani
Ferrara, Castello Estense
5 marzo – 9 ottobre 2022
Orari di apertura
Dalle 10.00 alle 18.00, chiuso il martedì (la biglietteria chiude 45 minuti prima)