“Ha riscoperto il poetico silenzio che si stende su una tela nel momento in cui il colore ha coagulato l’immagine”
Sono le parole che lo scrittore Enzo Siciliano rivolge al percorso artistico di Piero Guccione (1935-2018). Ferrara ha già accolto in passato le opere (realizzate tra 1962 e 1970) del pittore siciliano, nel 1971, su iniziativa dell’allora direttore del Centro Attività Visive di Palazzo dei Diamanti Franco Farina. È stata la sua prima antologica, la prima grande vetrina sulla sua produzione. Mistero in piena luce è l’attuale mostra dedicata a Guccione allestita al Padiglione d’Arte Contemporanea. Organizzata da Fondazione Ferrara Arte e dal Servizio Musei d’Arte in collaborazione con Il Cigno Arte e l’archivio Piero Guccione, l’esposizione, che presenta opere conosciute e altresì inedite, è curata da Vasilij Gusella.
Piero Guccione nasce nella punta più meridionale della Sicilia, a Scicli in provincia di Ragusa. Dopo il diploma all’Istituto d’arte di Catania, nel 1954 si trasferisce a Roma, dove si è portato da laggiù il sentimento di luce e dell’aria palpitante e sbiancante. Nella città eterna frequenta i pittori neorealisti, guardando sia a Renzo Vespignani, con il quale entra a far parte del gruppo Il Pro e il Contro sia a Renato Guttuso, di cui è assistente all’Accademia, ma del quale non condivide le inclinazioni espressioniste. Nel fervore dell’ambiente romano prende avvio la sua ricerca artistica e formale e nascono i paesaggi urbani, opere caratterizzate da un taglio innovativo e tratte da una quotidianità comune e intima. Nel 1959, inaugura la sua prima personale, che si svolge alla Galleria Elmo.
Si inseriscono in questo periodo lavori come Macelleria (1960) – dipinto formalmente turbato, Rondini (1962), Balconi (1965) – quadri struggenti e bellissimi quanto ardui da intendere. Sono opere che mostrano già il suo destino di un poeta del colore, si percepisce un sentimento del colore nativo, febbrile e umido di luce. In questi anni il pittore siciliano fu collocato nel gruppo dei giovani realisti, ma Guccione non era, né è mai stato, completamente, un realista. Tuttavia, questi dipinti veicolano il messaggio che ogni cosa – un pezzo di muro, un terrazzo, un’antenna – è degna di essere dipinta, c’è possibilità di pittura, di colore, di poesia, in ogni angolo, in ogni frammento, di tutto ciò che ci circonda, purché sia a lungo e intensamente osservato, affinché liberi la bellezza celata.
Negli anni Settanta decide di rientrare definitivamente in Sicilia, focalizzando la sua attenzione esclusivamente sulla dimensione della luce, sostanza primaria della pittura, del disvelamento del mondo. “Sono un pittore del visibile e un pittore dell’occhio” si auto definiva Guccione, che attraverso l’aria e la luce celebrava la luce, fissando sulla tela uno degli infiniti modi in cui quest’ultima scopre le apparenza del mondo, “ogni captazione di luce è appropriamento di un dramma e capire la luce è entrare nel fondo della vita”. Inizia la sua personale conquista della luce, una ricerca e un’immersione di quel elemento vago, intangibile e reale. Tutto si distende verso l’infinito e imprime sulla tela non la fugacità del tempo, ma al contrario l’eternità.
Ai primi anni di questa lunga stagione siciliana si posso inserire opere come Tramonto a Punta Corvo (1970), Paesaggio (1975) o Tre movimenti del mare (1977-80) in cui si fonde una visione nitida e definita in primo piano con quella più sfumata, vaga, senza fine, nel fondo. La sua pittura può essere considerata “una sorta di specchio moltiplicato all’interno di ciò che la mente sogna sia il reale”. Attraverso una sottile e meditata elaborazione stilistica, si carpisce il suo desiderio di intendere e di restituire la luce, “la sua assoluta immobilità, che però è costantemente in movimento”. Nelle sue opere regna il silenzio, condizione necessaria altresì per contemplare l’intensità degli orizzonti che si presentano davanti, dove il mare incontra il cielo, l’ombra la luce, la linea il colore. “Osservava la bellezza sorprendente della natura, nel quotidiano tentativo di rivelare la visibilità inafferrabile della luce” ricorda la figlia Paola Guccione. Ogni dipinto è il risultato di una emotiva acquisizione del territorio, una sfida tra realtà e immensità, tra l’origine e la fine.
A metà degli anni ’70 avviene gradualmente un cambiamento nella sua tecnica pittorica, una variazione di materia: introduce e intensifica l’uso del pastello, che ha la capacità di assorbire la luce, di interiorizzarla e rende più densa la forma. L’uso del pastello sopraggiunge quando Guccione inizia a sentire la pittura come un processo troppo lungo e complicato, e gli permette di approcciarsi più direttamente con la realtà. “L’immagine sembra trovare finitezza nel non finito”. Ne sono esempio lampante Studi di fiori. Vita e morte dell’Ibiscus (1978) o Per il Gattopardo (1987). La gestualità cambia e si modifica l’essenza e la qualità del risultato, “perché più di altre tecniche, il pastello è in presa diretta con il corpo, è come una prosecuzione naturale del braccio”.
Guccione non dipinge luoghi, ma condizioni d’anima e riprendendo le parole che Enzo Siciliano scelse per la presentazione al catalogo della prima personale a Ferrara (giugno 1971) “la sua pittura sa darti il senso di un canto che si leva oltre il dolore e in questo”. Nel suo lavoro, le scelte sono dettate dall’istinto, dall’immaginazione e dalle contraddizioni della realtà.
Il percorso espositivo è suddiviso in due capitoli e mette a fuoco i temi prediletti del pittore: dal rapporto fra il paesaggio urbano e la natura, alle poetiche e delicate variazioni sul tema del mare e del cielo, passando per gli omaggi ai grandi maestri del passato. Un’occasione imperdibile per contemplare da vicino la delicatezza, il silenzioso lirismo, l’intensità e la bellezza del lavoro del pittore siciliano.
Piero Guccione. Mistero in piena luce
Ferrara, Padiglione d’Arte Contemporanea
7 ottobre 2022 – 8 gennaio 2023