Succedono anche a Ferrara gli atti sovversivi (o quasi).
Un paio di giorni fa mi trovavo nel sotto mura nelle prossimità del Giardino delle Capinere di LIPU (nei pressi della rotonda di Palazzo delle Palestre, per intenderci) e ho notato una serie di manifesti che rappresentavano la stessa identica immagine in doppia fila, ossia il profilo di una ragazza, con indosso occhiali da sole.
Fin qui nulla di anomalo, potrebbe essere una qualsiasi campagna pubblicitaria, se non fosse che questi manifesti occupavano lo spazio dedicato alla campagna elettorale e, elemento ancora più curioso, sopra di essi c’era da un lato la scritta ELEZIONI FRODE e dall’altro FUCK AGENDA 2030 ad imbrattare quell’immagine così pulita e mi permetto, un po’ anonima. Però mi sembra di capire che l’anonimato in generale fosse un aspetto voluto dall’autore stesso, considerando l’assenza di una firma o un qualsiasi indizio su chi e come abbia realizzato questo intervento.
Sorgono spontanee almeno un paio di domande: c’è un messaggio ed eventualmente, quale potrebbe essere? L’intervento in sé ha una valenza politica?
Qualcuno decide di affidarsi a un’immagine, anzi a un insieme di segni – verbali e iconici, per ‘invadere’ temporaneamente lo spazio quotidiano e pubblico. Tale intervento potrebbe essere considerato un dispositivo di comunicazione, un modo per rendere tangibile e visibile un determinato pensiero. A cosa mira questa stratificazione di segni? Un riconoscimento pubblico, un invito ad approfondire e riflettere su ciò che vediamo o leggiamo, una consapevolezza individuale nei confronti della realtà? Inoltre, mi domando se fosse ancora importante cercare il senso di determinate azioni per renderle credibili. È necessario circoscrivere l’episodio e inquadrarlo in una determinata categoria oppure è sufficiente che l’atto/il gesto in sé sia avvenuto?
Ci sono varie forme d’arte svolte nello spazio pubblico, come l’arte urbana, l’arte partecipativa, l’arte relazionale e via discorrendo. Qualsiasi etichetta vogliamo dargli, persiste il dato granitico della relazione con un territorio e con una collettività, che potrebbe comportare – positivamente o negativamente, una reazione o una risposta.
Decido di confrontarmi con un’amica e snodare insieme questo ‘mistero’. La sua supposizione porta a inserire questo gesto, probabilmente autonomo e privo di committenza, come un’azione spontanea nello spazio pubblico, ossia quello che potrebbe essere definito un intervento d’arte pubblica. Concordiamo sul fatto di definire ciò un gesto politico, non solo per la scelta del luogo, ma altresì per la scritta e la vicinanza alle elezioni.
Ma a guardarci meglio quello che si osserva sembra essere il risultato di due (o più) operazioni diverse. Una prima fase, l’affissione delle immagini e in un secondo momento, quasi con un gesto iconoclasta, l’aggiunta delle scritte. In un primo istante consideravo la prima parte dell’intervento debole e poco funzionale, trovando nell’aggiunta della scritta l’elemento forte e provocatorio, per quanto discutibile nei contenuti.
La condivisione di queste valutazioni con una terza persona ha incluso un elemento che non avevo considerato. Ossia, che in realtà scegliere di mostrare un’immagine senza alcuna indicazione risultava molto più accattivante e più ermetica. Sarà la nostra perenne necessità personale (ma anche collettiva) di decifrare, decodificare, trovare una chiave interpretativa a qualsiasi episodio e informazione. Analisi e funzione che escludono e precludono, ingabbiando il ragionamento in un unico ristretto perimetro. Quindi, forse l’ermetismo del gesto è già di per sé un atto sovversivo e in tal caso, un’ulteriore analisi non è necessaria. Sarà l’immagine a veicolare in autonomia il proprio messaggio, qualsiasi esso sia.