C’era una volta un Museo. Nato tanto tempo fa, il 26 maggio del 1872, ha compiuto da poco i suoi primi 150 anni. Il suo direttore all’epoca era Galdino Gardini, insegnante presso il Liceo e nelle Scuole Tecniche di Ferrara. Comincia così la storia del Museo di Storia Naturale di Ferrara, un museo ancora oggi attivo e dove tutti siamo stati almeno una volta con la scuola o i nostri genitori. E che da un po’ di tempo, sotto gli occhi curiosi dei ferraresi, si è preso una pausa di riflessione lasciando molti con il fiato sospeso. Eppure finalmente, dopo 150 anni, sta per scrivere un nuovo capitolo della propria storia.
Per conoscere i dettagli di passato, presente e futuro abbiamo fatto due chiacchiere con Stefano Mazzotti, dal 2012 direttore del Museo.
“Questo museo non nasce in Largo Florestano Vancini, ma in via Roversella, dentro all’ex Convento delle Martiri (più di recente ex Ipsia, oggi in stato di abbandono). Arriva qui nel 1937, data che viene riconosciuta come la sua nascita formale. Nel corso del tempo il museo ha subito diversi cambiamenti e aggiornamenti, ed è stato anche sede dell’Università: sono nati nuovi settori, nuove sale, l’ultima inaugurata negli anni ’90. Oggi però è un po’ invecchiato rispetto ai suoi musei fratelli che si trovano in Italia e per questo da tempo urge un restauro complessivo.”
Cosa si può trovare oggi al Museo?
Ci sono reperti risalenti alla fine del ‘700, le piccole collezioni presenti fin dall’inizio. Poi con la direzione di Gardini dalla seconda metà dell’800 il Museo ebbe un rilancio notevolissimo grazie alla valorizzazione imposta dall’Università. Molti reperti furono acquistati o addirittura scambiati con altri musei europei. Il famoso orso polare ad esempio proviene dalla Francia, da un famosissimo tassidermista (il vero termine tecnico per indicare gli imbalsamatori NdR). Però, ci sono anche acquisizioni molto recenti che hanno aumentato tantissimo il patrimonio del museo, che oggi sfiora il milione di reperti. Abbiamo anche collezioni non esposte perché lo spazio è troppo piccolo, che ora si trovano in deposito. In questi ultimi 2 anni abbiamo acquisito 4 collezioni enormi, di cui 3 di entomologia, importanti a livello internazionale. Ci sono specie degli anni ’50 e ’60, alcune purtroppo estinte, per questo i musei sono fondamentali anche per lo studio delle dinamiche che si stanno verificando nel pianeta.
Noi collaboriamo con tante istituzioni scientifiche a livello internazionale: ad esempio dopo la pandemia sono stati fatti studi sulle collezioni per vedere se nei tessuti era già presente un virus e da quale specie poteva essere arrivato. Non solo per il SARS-CoV-2, ma anche per altri virus come l’HIV. Si analizza il DNA di animali catturati in natura ai giorni nostri e si compara con animali dell’800 per avere una casistica più precisa. La valenza delle collezioni si pensa che siano solo estetiche ma è tutt’altro che questo, in un museo di storia naturale c’è un cosiddetto front office ma anche un back office.
Le collezioni come arrivano al museo?
A volte riceviamo donazioni, magari perché qualcuno aveva il nonno o il papà appassionato. Spesso recuperiamo animali da diversi enti in giro per l’Italia. Sono animali selvatici che vengono trovati morti sulle strade, ma sono interessantissimi per lo studio, così li salviamo dall’inceneritore. Oppure sono gli stessi istituti zoologici a contattarci quando gli animali muoiono: li mantengono dentro a grossi freezer, (qui a Ferrara abbiamo ad esempio una tigre), poi li cedono ai musei. Qualche mese fa siamo andati in Puglia a recuperare un gruppo di lontre ritrovate sulla strada… Dopodiché portiamo gli animali dal nostro tassidermista di fiducia a Udine, bravissimo anche se ormai purtroppo anziano. La sua è una professione che sta morendo in Italia, all’estero invece è un po’ più sentita, soprattutto dal punto di vista artistico.
Il museo è fondamentale anche per le scuole e i bambini…
Ed è una parte del nostro lavoro che ci è mancata davvero molto. Quest’anno i ragazzi delle scuole sono riusciti a venire grazie alla convenzione con l’Associazione Didò, il nostro gruppo che si occupa della didattica dalla scuola dell’Infanzia a quella Secondaria di II° grado. Non riuscire ad incontrare i ragazzi è stato un grave gap per noi e soprattutto per loro: qui imparano cose che a scuola non imparano, vedono gli animali e scoprono davvero la natura.
Prima della pandemia quali erano i numeri del Museo?
L’ultimo evento, prima della chiusura per Covid, è stato il 22 febbraio del 2020, fino a quel momento negli ultimi anni abbiamo fatto circa 20.000 visitatori, di cui 6-8.000 ragazzi. Nella stanza in cui ci troviamo ora ad esempio si fanno laboratori di estrazione del DNA e si mostra come si forano i fossili. Stavano avendo un successo enorme anche le feste di compleanno, che purtroppo non possiamo più fare. Portavamo 2 o 3 mila persone ogni anno. Festeggiare qui il compleanno è estremamente educativo, non è una semplice festa per ragazzini. Imparano quasi di più che a scuola.
Poi all’improvviso terminato il lockdown il museo non ha riaperto. Perché?
Il primo problema che ci ha portato a chiudere è stata la carenza di personale dovuta a diversi pensionamenti. Oltre a ciò, l’invecchiamento del museo stesso… Ecco perché è arrivato il momento di renderlo più moderno, cominciando sicuramente dalla riqualificazione della struttura. Purtroppo abbiamo problemi di accessibilità, non avendo ad esempio un ascensore che porti al piano superiore. L’impiantistica del museo è ancora quella degli anni ’50, non abbiamo l’aria condizionata, dobbiamo rifare l’impianto di illuminazione dei contenitori, togliere tutte le vetrine con vetri ormai ondulati e poco sicuri, dobbiamo valorizzare i reperti disponendoli in teche che consentano di vederli al meglio. Infine ripensare proprio il percorso espositivo per renderlo al passo con i tempi.
C’è un progetto concreto e dei fondi per farlo? Quali saranno le prossime tappe?
L’idea dell’amministrazione comunale è di investire importanti fondi per riqualificare, e soprattutto portare nel museo tematiche più attuali. Salvaguarderemo sicuramente l’origine storica, i reperti bellissimi della seconda metà dell’800 che provengono dalle esplorazioni scientifiche, però dobbiamo portare anche altre cose: le problematiche ambientali, l’estinzione delle specie provocate dall’uomo, progettando come detto un nuovo percorso espositivo, perché per ora non esiste un percorso specifico e si racconta la storia naturale in maniera generica. Non dimenticheremo ovviamente di dedicare una parte anche alla didattica scolastica, senza per questo far diventare il museo un luna park. Inoltre, con questo rinnovamento spero davvero che avremo più spazio per mostrare il maggior numero possibile di collezioni, anche quelle che ora non trovano posto.
L’Assessore all’ambiente Alessandro Balboni e uno studio di architetti e museografi stanno già lavorando da qualche mese al progetto, di questi tempi è prematuro parlare di tempistiche ma diciamo che le cose finalmente si faranno. Servirà anche a potenziare il turismo facendo diventare il nostro Museo un luogo di interesse per chi viene in visita in città, mentre attualmente è fuori da ogni promozione e percorso di visita.
Vorremmo poi mettere online un percorso di visita virtuale, anche se personalmente penso che le persone, i ragazzi soprattutto, abbiano bisogno di realtà per capire la storia naturale. Pensate che ci sono studenti di zoologia che non sanno nemmeno le dimensioni degli animali che studiano sui libri. Manterremo vive le collaborazioni con le associazioni e le realtà del territorio, rapporti che abbiamo già rinnovato nel corso degli eventi per celebrare i 150 anni.
Infine il Dipartimento di Biologia, Scienze della vita e di Biotecnologie UNIFE ha anche istituito una borsa di studio annuale intitolata a Edward Osborne Wilson, morto il 26 dicembre scorso. Era uno dei più grandi ecologi e zoologi eredi di Darwin. L’assegno si occuperà di attuare il progetto di un ricercatore che verrà selezionato e lavorerà in stretto rapporto con noi.
Un museo dunque più moderno in grado di competere con altri simili in Italia. Com’è ad oggi il panorama dei musei scientifici nel nostro paese?
Se diamo un’occhiata fuori da Ferrara, sono nate realtà come ad esempio il Muse di Trento, che sono diventate veri e propri poli culturali. Soprattutto fuori dall’Italia, i musei scientifici hanno avuto uno sviluppo enorme.
Nel nostro paese si perdona il fatto di non conoscere a fondo la scienza, spesso si pensa che non sia nemmeno cultura, quindi per portare un pubblico diverso si adottano stratagemmi come l’organizzazione di mostre artistiche, presentazioni di libri locali e non. Eppure l’interesse non mancherebbe: tempo fa abbiamo condotto uno studio durato ben otto anni, andando a controllare il libro delle firme dei visitatori, per valutarne i commenti. Abbiamo analizzato parola per parola i messaggi con un software statistico ed è venuto fuori un quadro interessatissimo: il 90% delle persone hanno affermato che la visita è stata “una scoperta incredibile” e non capivano perché non lo conoscessero prima. Abbiamo inoltre trovato tantissimi messaggi da ogni parte del mondo, in cirillico, inglese, francese…
Quindi servirà pazientare un po’, ma ne varrà la pena.
A Ferrara eravamo rimasti l’unico museo senza un progetto di ristrutturazione perciò siamo davvero contenti. Speriamo di riaprire con una nuova identità entro 2 o 3 anni.
Io, come voi, non vedo l’ora di poterlo visitare. Nel frattempo il Museo, che si trova in Largo Florestano Vancini, 2 a Ferrara, rimane aperto su prenotazione solo per scuole e centri estivi. Per visite guidate potete scrivere a: dido.storianaturale@gmail.com o consultare il sito https://storianaturale.comune.fe.it
Ragazza piccolina, laureata in comunicazione e nata nella città degli Este nel 1994, a cui piace raccontare, leggere e guardare storie, fare gite, mangiare i cappellacci con la zucca e vivere in attesa dell’estate.
Non sarebbe ora di prendere in mano il coraggio e, ad esempio, pensare di trasferire il museo nella ex caserma Pozzuolo del Friuli in Via Cisterna del Follo?
https://www.viviferrara.it/ecco-il-primo-progetto-co-ci-faro/