Una delle scena chiavi di Inception, una probabilmente delle ultime scene cinematografiche capaci di entrare nell’immaginario collettivo, di pura meraviglia, è quando Leonardo DiCaprio spiega a Ellen Page il concetto di sogno condiviso. Letteralmente, una realtà normale come quella di un caffè di una grande città diventa il palcoscenico di uno spettacolo di un mondo che diventa solo una illusione.
Parlando con Matteo Farolfi e Lucien Moreau (nome d’arte di Eugenio Squarcia) per comprendere qualcosa dietro a “Floating Forms“, mostra a quattro mani in esposizione al Palazzo della Racchetta fino al 26 settembre sembra di rivivere quelle stesse espressioni di stupore che vive Arianna quando scopre un livello ulteriore di alterazione possibile della realtà.
Floating Points vuol essere un diverso modo di guardare, immaginare, intendere o ricreare la nostra realtà, attraverso dipinti, fotografie rielaborate, materiali, esperienze. “C’è questa idea, di opere che rimangono fluttuanti, anche se convergessero in unico luogo, per questa mostra.” spiega Lucien.
Come Arianna sarà nel film l’architetto dei sogni, il legame artistico tra i due creatori è la base strutturale del progetto, una visione diversa eppure condivisa di racconto della realtà, una videocamera che si muove a trecentosessantagradi e ad ogni passaggio rivela lo stesso mondo, ma cambiato, distorto, spezzato oppure ricostruito.
“Le mie opere mutano, costantemente. A volte ho ricevuto questa critica, mi è stato detto di essere sempre diverso, ma è una incomprensione: il mio percorso è il dialogo con la materia, per cui è normale che io non produca opere seriali, o perlomeno riconoscibili perché simili. La materia cambia, è lei a suggerire cosa fare.”
matteo farolfi
Mentre raccontano, le due menti dietro questa mostra intrecciano il racconto l’uno con l’altro, come passandosi in mano, in ogni momento, una torcia che proietta luce sull’altro: esperienze condivise, progetti fatti uscire da uno scantinato grazie alla pressione di uno o dell’altro, momenti di vicinanza o di scoperta reciproca di un significato chiaro solo a chi non ha realizzato l’opera, come in quella che prende il nome di Cività di Bagnoregio, disegnata da Farolfi e rivelatasi una copia quasi perfetta di un luogo a lui sconosciuto, ma reale, quella città ora deserta che lui nemmeno conosceva.
E poi c’è il lavoro di Lucien Moreau, vecchie fotografie dove le forme fluttuanti sono il percorso di rielaborazione del passato in qualcosa di nuovo: “quando tu guardi le vecchie fotografie degli anni Cinquanta, tu guardi un futuro che poi non abbiamo mai vissuto.”
Ed è vero: il futuro degli anni Cinquanta o Sessanta erano città con le auto volanti e una società futuristica che non immaginava certo nella rete di Internet il vero cambiamento sociale, mentre allora si pensava a macchine, robot, strutture avveniristiche.
Floating Forms è un progetto particolare, qualcosa che gli artisti stessi sembrano voler lasciare a chi guarda, come se dietro le ore di lavoro, intere giornate in digitale o nottate a sporcarsi le mani (ci sono segni di mani di bambina, o di macchie di sangue a dare colore, come a voler non solo raccontare ma arrivare ad includere il proprio corpo nell’opera) e la definizione che trovano per descrivere la mostra è di un mondo sommerso, che andrebbe riportato in superficie.
Un voluto e affascinante contrasto tra l’identità sonora di un ristorante, dove la gente parla e mangia e non entra quindi per la mostra, qualcosa che diventa una sfida: c’è qualcosa di effimero, le opere rimangono esposte per un certo periodo, visibili solo durante le ore di apertura, è una finestra di un mondo diverso, all’interno del mondo reale.
“In questi ultimi anni siamo stati un pò obbligati a chiuderci dentro un guscio, qui c’è uno stimolo a uscirne: noi in questo progetto più che un lavoro finito abbiamo cercato di raccontare un percorso di ricerca. È sicuramente una sfida: ma non volevamo raccontare la realtà, la realtà ci spaventa, volevamo raccontare un secondo livello della realtà dove la vita è percepita in un’altra maniera, qualcosa che faccia pensare.
Viene spontaneo chiedere ai due curatori della mostra se esista una opera comune, realizzata assieme e la risposta è sia positiva che negativa: ne esiste una che ne sovrappone due, due opere che vanno ad avere un collegamento con uno squarcio in mezzo e questa unione non sarà presente in mostra, ma ci viene concesso di poterla pubblicare qui:
Parlandone Lucien Moreau racconta che “è un’opera in cui c’è un disegno mio e uno di Matteo, però c’è una forma di rottura nel mezzo: una congiunzione non congiunzione. E questo perché alla fine c’è sempre l’idea che le forme rimangono fluttuanti, anche se convergono in un unico ruolo, forme che sono espressione di una ricerca. L’ultima opera è nata pochi giorni fa durante la tempesta, con Matteo che durante il temporale faceva degli esperimenti”.
Esperimenti, forme, idee: per tornare a Inception c’è un momento in cui il protagonista si domanda:
Qual è il parassita più resistente? Un batterio? Un virus? Una tenia intestinale? No. Un’idea. Resistente, altamente contagiosa. Una volta che un’idea si è impossessata del cervello è quasi impossibile sradicarla. Un’idea pienamente formata, pienamente compresa si avvinghia, qui da qualche parte.
Floating forms è questo: una raccolta di idee, fluttuanti e appoggiate su tele, disegni e fotografie, dentro un palazzo che era un museo e ora è un luogo, dove si ciba il corpo e se si è curiosi, anche stimolare la mente.
INFO: Le opere rimarranno in parete dal 25 agosto al 26 settembre 2022 al Palazzo della Racchetta, Via Vaspergolo 6/A Ferrara, durante le ore di apertura del Ristorante Pizzeria “La Racchetta) (dal martedì alla domenica)
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Sito di Matteo Farolfi