La memoria infedele. La seduzione delle immagini da de Chirico a Schifano è la nuova mostra allestita nella Sala dei Comuni del Castello Estense. Il progetto curato da Chiara Vorrasi presenta una selezione di 12 lavori artistici, tra dipinti, sculture e disegni, di cui 9 opere provenienti dalla collezione privata di Franco Farina (direttore per trent’anni della Civica Galleria d’Arte Moderna e del Palazzo dei Diamanti, scomparso nel 2018) che nel 2019 è stata donata alla città da Lola Bonora, curatrice e critica dell’arte, nonché compagna di Farina. Il percorso espositivo si pone in connessione con la rassegna dedicata all’artista Adelchi Riccardo Mantovani Il sogno di Ferrara, visitabile sempre all’interno del Castello.
Il titolo della mostra è un chiaro riferimento a La memoire infidèle (1979) di Leonor Fini (1907-1996). Un’artista che ha sempre amato le immagini, qualsiasi immagine: “fin dall’infanzia ammiravo i quadri di Pisanello, Piero della Francesca, Paolo Uccello, Cosimo Tura, Pontormo. Le differenze tra questi pittori che imparai in seguito, non hanno alcuna importanza; tutte le immagini possono nutrire secondo il momento”.
Alcuni critici hanno cercato di fornire una chiave di lettura dei suoi lavori tramite la lente del surrealismo, però Fini vedeva più la differenza che l’eventuale affinità con la tendenza surrealista. Inoltre, trovava eccessivamente fastidioso qualsiasi ‘appartenenza’. L’originalità dell’artista è manifestata nell’aspetto figurativo della sua pittura: le scene dipinte sono spesso silenziose e misteriose, e spesso, nei volti il suo autoritratto è percettibile. I corpi che ci troviamo davanti sono figure allungate e sinuose, avvolte quasi in un alone di irrealtà. L’espressione dell’io costituisce il vero soggetto dell’intera opera di Fini, che proietta sulla tela il suo mondo interiore senza passare attraverso il pretesto di un mondo esterno da verificare.
Leonor Fini ha scritto a proposito di Giorgio De Chirico (1888-1978) di apprezzare maggiormente le poesie rispetto ai suoi quadri. Che sia vero o meno, difficile oggi da verificare. Ciò che è straordinario è il fatto che un artista universalmente celebre, sia allo stesso tempo così poco conosciuto. Per il grande pubblico il suo nome è associato alla Metafisica, ma l’artista è molto più eclettico di ciò che si può pensare. Pittore, scultore, scrittore, nonché grande conoscitore di alcuni filosofi, in primis Nietzsche e Schopenhauer.
Per De Chirico gli oggetti acquistano significato attraverso la memoria di chi li percepisce, le cose assumono un carattere nuovo e inquietante, “un aspetto metafisico e fantasmatico che solo pochi individui riescono a captare in momenti di chiaroveggenza e astrazione metafisica”. Dopo il periodo metafisico, il 1919 rappresenta l’anno indicato dal pittore come spartiacque della propria riscoperta della pittura antica, del mondo iconografico dei grandi maestri della pittura moderna da Tiziano a Rubens.
Il patrimonio trasmesso dai classici diventa per lui un fantasma, proprio come i manichini del periodo metafisico e adopera la stessa tecnica di separazione degli elementi, spezzando l’unità di significato che compongono nel loro insieme, per farli diventare illusioni di se stessi. Esempio ne è l’opera Ettore e Andromaca (1974) in cui i personaggi mitologici appaiono proprio come se fossero dei manichini metafisici, quindi in tal modo il tema classico viene trattato con un’iconografia metafisica.
Un altro artista poliedrico e versatile, capace di spaziare in vari ambiti e creare tramite molteplici linguaggi artistici è Mario Schifano (1934-1998). Il critico d’arte Achille Bonito Oliva ha scritto che per Mario l’arte è sempre stata un luogo di confluenza, sconfinamento, fuoriuscita, intreccio, disseminazione, contaminazione e riciclaggio. Schifano era considerato un corruttore di linguaggi, un artista di un’inarrestabile vulcanicità, che ha lasciato un’inestimabile produzione e include pittura, fotografia, video. Con le sue iconiche riletture delle effigi della nostra civiltà – che siano i monumenti equestri, le ninfee care a Monet, o i proclami futuristi – Schifano vuole riaffermare il potere di suggestione dell’arte di fronte all’egemonia dell’immagine massmediale. L’allestimento presenta due dei suoi dipinti Senza titolo (1978) e Acquatico (1988).
Carlo Mattioli (1911-1994), definito un artista essenziale e contemplativo propone una pittura al limite della sinestesia. “La natura nella sua infinita varietà è il tema dell’intera opera di Mattioli” ed effettivamente il suo intervento pittorico condensa il paesaggio nella sua essenza vitale di albero stilizzato, facendo risaltare dense chiome materiche su sfondi indefiniti, come segnati da una vita precedente.
L’opera Scultura calda (1965) di Remo Bianco rappresenta un corpo acefalo rivestito di una moderna patina cromata e riscaldato elettricamente, per invitare il fruitore a riprendere materialmente contatto con l’opera d’arte, infrangendo così la distanza sacrale interposta tra essi. La realizzazione della scultura coincide con la redazione del Manifesto della sovrastruttura, pubblicato dall’artista proprio nel 1965. Remo Bianco (1922-1988) che si considerava un ricercatore solitario, definisce ‘sovrastruttura’ un segno che l’artista appone su oggetti o persone, appropriandosi così di essi. Nell’opera presentata, la sovrastruttura è il calore attraverso cui si tenta di umanizzare l’oggetto e il tocco dello spettatore è necessario per completare l’opera d’arte.
E infine, Paola Bonora (1945), con il suo lavoro Senza titolo (1996) si affida alla gestualità del corpo per svelare la personalità del soggetto, il cui volto è tagliato fuori dall’inquadratura.
La mostra La memoria infedele. La seduzione delle immagini da de Chirico a Schifano curata da Chiara Vorrasi, è realizzata dal Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara e dalla Fondazione Ferrara Arte, con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, è visitabile in Castello Estense fino al 27 dicembre 2022.