È un fatto: viviamo tutti convinti che la nostra realtà, i nostri problemi, le nostre angosce siano centrali. Che le tematiche che viviamo, che riempiono i giornali siano quelle importanti, su cui discutere per ore intere, per dare un senso alle nostre giornate quotidiane. Solamente che: no, non è sempre vero.
Mettendo in proporzione le fatiche e le sofferenze, ci si rende conto di quanto sia sbilanciato molto di quello che poi non è essenziale: vai tu a spiegare che l’intervento del Governo per abbassare il costo dei carburanti è vitale per la logistica italiana (e che anche Ferrara è uno snodo importante) a qualcuno che nel frattempo si sta imbarcando su qualche barcone del Mediterraneo, lasciando spesso tutto e senza certezze.
Fallo tu l’infermiere, come Tommaso Migani, magari a faticare lungo turni impegnativi e carenze di personale e poi imbarcati come operatore sanitario e fotografo per raccontare cosa siano le navi quarantena e cosa siano state nei mesi della pandemia: città galleggianti sul mare, dove si scontano quarantene, attese e speranze: ne esce Nowhere/Here, incontro e mostra, visibile fino al prossimo 8 maggio, a Factory Grisù. Foto che raccontano, in bianco e nero, luoghi che non sono di nessuno, persone che non hanno uno spazio definito: attese, tra un porto e l’altro nel sud dell’Italia, nell’estate in cui si discuteva nei telegiornali di obbligo vaccinale e riaperture di ristoranti o discoteche, in sicurezza.
Fallo tu l’attivista politico, come Soumaila Diawara, dal Mali, e ritrovati nel 2012 a non poter tornare a casa per il rischio di arresto nel tuo paese e a finire in una odissea durata quasi due anni attraverso diversi paesi dell’Africa per finire in Algeria prima e Libia poi. Ad aggrapparti ad un salvagente per il tuo primo barcone che affonda, mentre intorno a te le vite si spengono, oltre cento si spengono e affondano in un mare indifferente. Solo trenta o poco più sopravvivono, fino ad oggi, per ricostruirsi una storia e raccontarla in un anonimo venerdì di aprile a margine del reportage di Migani.
Fallo tu l’avvocato, come Enrico Segala, dove spieghi la differenza tra diritto e realtà, le pieghe che si inclinano tra legge e consuetudine, i profili normativi violati o disattesi e poi paragona il tutto alle cause dove si litiga per una pianta in un condominio o in una causa di qualche natura morale o economica. Guardale tu le foto in mostra, immagina le storie e poi, con ogni probabilità, aumenta, aumenta, quello che pensi sia il disagio vissuto in quelle mani, quei volti, quelle famiglie.
Nelle foto in mostra sono ritratte navi enormi, riferisce chi c’è stato a bordo che spesso sono inadeguate e vecchie, utilizzate quasi più per la sopravvivenza del settore delle crociere, fermato dalla pandemia. Immagina queste navi diventare catene di sopravvivenza, aiuto sanitario, coesione di sconosciuti, babele di lingue, sforzo di persone che non hanno orario né stipendio sicuro, volontari o attivisti o anche solo gruppi organizzati che decidono di esserci, di rimettere in proporzione i propri disagi con quelli di chi scappa, si allontana, si lancia nell’ignoto perché il conosciuto è troppo duro da affrontare.
Immagini che si intrecciano con i ricordi dell’esperienza di Migani, che si è gettato, dopo una precedente esperienza nei Balcani, su una nave quarantena della Croce Rossa:
Di tutto questo ricordo ancora ore interminabili al triage sanitario, dalla mattina fino alla sera. Ero sconcertato da come le persone venissero spostate da una nave all’altra come pacchi, ancora in stato di shock, deperite, in fila a gruppi. Mi sconcertava come nel 2021 in un paese occidentale, le persone potessero ancora essere numerate una ad una e identificate con un codice, Dentro di me continuavo a sentirmi in dubbio, in difetto, come se fossi in qualche modo diviso tra soccorritore e guardiano di persone, in una nave quarantena che prendeva le sembianze di un carcere […] È un modo frettoloso e poco rispettoso di guardare ai bisogni di chi deve essere accolto e protetto, un modo inappropriato di gestire e che tende opportunisticamente a celare il grande divario tra paesi del primo e del terzo mondo, da dove tanti ora vengono a reclamare la dignità di una vita migliore.
tommaso migani
Anche questo è stato il Covid, è ancora il Covid: un ulteriore strato di difficoltà in quella che è la tratta migratoria più mortale al mondo, un mare difficile, dove fatica a esistere il diritto di salvataggio e ora c’è anche il dovere della separazione, un filtro di distanza, di necessaria sicurezza prima degli sbarchi. Questo sono le navi quarantena, chi c’è stato racconta che non è un orgoglio, ma una vergogna.
Le foto del reportage sono esposte a Factory Grisù fino all’8 maggio: sarà possibile acquistare le fotografie tramite una libera offerta il cui ricavato andrà devoluto al progetto BURN (Balkan underground railroad network) promosso dall’associazione Yabasta Bologna e avviato nel 2021 in Bosnia nell’ambito del supporto igienico sanitario alle persone migranti in transito attraverso le frontiere balcaniche.