Da molto tempo l’essere umano si racconta una propria narrazione, che lo vede superiore a qualsiasi altra forma vivente e si considera la misura di tutto, escludendo di fatto altre storie o scenari. Viviamo in una società che ci orienta a concepirci attraverso uno sguardo antropocentrico. In tale prospettiva la natura è considerata una forza da addomesticare, dominare e controllare a nostro piacimento. L’arte tout court non si sottrae da tale dibattito, anzi diventa mezzo per analizzare e per interrogarsi sull’attualità e la criticità annessa.
La mostra OUT OF TIME. Ripartire dalla natura è la XIX edizione della Biennale Donna, organizzata da UDI – Unione Donne in Italia in collaborazione con le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Ferrara e si inserisce in un’ormai pluridecennale dibattito ecologico, che fortunatamente si sta consolidando sempre di più negli ultimi anni. L’esposizione, composta dal lavoro di cinque artiste di respiro internazionale, persegue l’intento di ripensare a tale posizione e rivedere il nostro abitare il pianeta. La mostra speculare della realtà, contiene quasi tutti i linguaggi dell’arte: suono, video, fotografia, installazioni.
Osservare l’islandese Ragna Róbertsdóttir nella realizzazione di un lavoro site-specific è stata un’esperienza unica. Una specie di danza in due atti: il primo, energico, intuitivo, vulcanico, mentre il secondo tempo dedito alla contemplazione, all’osservazione, in qualche modo alla razionalizzazione del processo. Il rapporto dell’artista con la natura è di tipo viscerale, istintivo, quasi primordiale, all’insegna del rispetto per tutto ciò che la circonda. Il materiale adoperato è in stretto rapporto con la sua terra d’appartenenza, come la lava, il fango termale, il sale marino, le conchiglie, raccolto durante le sue lunghe passeggiate.
Il lavoro della francese Anaïs Tondeur è molto più analitico, si potrebbe quasi circoscriverlo nella sfera dell’indagine scientifica ed è esemplare della necessità dell’interdisciplinarietà per affrontare la sfida ecologica. L’artista collabora con varie figure – antropologi, geologi, oceanografi, fisici, filosofi – per avviare delle narrazioni diverse e per esplorare vari scenari, il tutto avente un unico denominatore comune: l’antropocentrismo. Le sue installazioni indirizzano il nostro sguardo verso una realtà pressante e invita a soffermarci e riflettere sul bisogno di una conoscenza ibrida, e di uno sforzo collettivo per affrontare in maniera meno invadente possibile la nostra presenza su questo pianeta. È acclarato che la traccia umana persiste su qualsiasi livello della biosfera, persino quello atmosferico. Respiriamo particelle derivanti dall’inquinamento, provocato da noi, assistiamo all’estinzione di intere specie di animali e piante, osserviamo passivi il mutamento della natura. Siamo immersi costantemente in un mondo pieno di frenesia, caos e rumore. E spesso, non ce ne accorgiamo.
Attraverso le sue opere interattive, l’artista tedesca Christina Kubisch ci fa scoprire una realtà invisibile, una specie di paesaggio sonoro e ci invita a sentire una composizione silenziosa, creata dai suoni elettromagnetici diffusi attorno a noi. Pioniera della sound art tedesca, l’artista ha sviluppato negli anni un’indagine sull’induzione elettromagnetica, rendendo tangibile ciò che normalmente rimane inaccessibile all’orecchio umano, come i segnali dei sistemi GPS, del bancomat, i sistemi d’allarme e così via. I suoi lavori sono frutto di lunghe ricerche, approfondimento e ‘ascolto’ di determinati luoghi, in seguito tradotti in ciò che si potrebbe definire polifonie astratte.
La portoghese Mónica De Miranda affronta la questione ambientale in una doppia prospettiva, quella soggettiva e sociale. La sua storia personale, il suo percorso individuale va a confrontarsi deliberatamente con la memoria collettiva e storica, correlata alle origini angolane della madre. Attraverso video, fotografie e installazioni esplora l’impatto del colonialismo non soltanto sull’essere umano, ma altresì sul piano paesaggistico. L’artista diventa medium per narrare una natura calpestata e riportare le storie di tante popolazioni, tuttora in cerca di ristabilire un equilibrio identitario.
Diana Lelonek, artista di origine polacca, riporta all’attenzione del pubblico la dominazione e la prepotenza della specie umana su tutto ciò che deborda dalla sua sfera, il suo lavoro diventa veicolo per la comprensione del fallimento dell’approccio antropocentrico. L’artista ricorda a tutti noi l’importanza di un rapporto simbiotico con tutte le forme di vita. La natura non va percepita come un’entità esterna a noi, ma va intesa come una moltitudine di collegamenti, una coesistenza di un numero immane di elementi, di cui anche la specie umana. Noi siamo solamente una parte di questo congegno complesso e in parte ancora misterioso, mentre commettiamo l’errore di considerarci l’asse portante dell’intera biosfera. Abbiamo la presunzione di volere o pensare di poter salvare il pianeta. In realtà, tale obiettivo più che una connotazione nobile, cela un desiderio egoista di salvare semplicemente la propria specie. Ovviamente è giusto cercare di trovare soluzioni per salvare l’intera terra, ma in una prospettiva di unità, tenendo in considerazione tutte le forme di vita. Certamente misurarsi con la natura non è una novità, ciò che interessa è proprio il cambiamento avvenuto con l’introduzione della tecnologia e la gerarchia essere umano-natura che ne è conseguita. Serve attuare altre pratiche, come la co-abitazione oppure instaurare relazioni all’insegna della libertà, nonché adoperare strumenti adeguati per connettersi e responsabilizzarsi nei confronti e con tutto ciò che ci circonda, in un’ottica antro-decentrata.
Devo ammettere che non è stato facile scrivere questo articolo, in quanto rischiavo di essere troppo autoreferenziale oppure scivolare sul versante opposto e proporre un elaborato troppo asciutto o chirurgico. Se ho calibrato bene oppure no, mi è difficile affermarlo: insieme a Silvia Cirelli sono la co-curatrice di questa mostra e quest’esperienza è stata impegnativa, stravolgente, incredibile. Durante questi mesi di preparazione e organizzazione ho avuto l’opportunità di conoscere artiste formidabili, persone che in più di una situazione hanno manifestato una disponibilità rara, e una squadra di lavoro affiatata e molto professionale.
Quindi, tralasciando il mio coinvolgimento, andate a vedere la mostra, non ve ne pentirete. Garantito!