Un’atmosfera magica, surreale e onirica si respira nelle stanze rinascimentali del Castello Estense. Tutto ciò, non solamente per i fantasmi di un florido passato, ma per la prima personale di Adelchi Riccardo Mantovani, in Italia. Ferrara dedica una mostra antologica al pittore italo-tedesco e presenta al pubblico una selezione della sua immane produzione. Tra dipinti alternati a disegni, tra la tecnica delle tempera e quella dell’olio, tra pennellate precise e accurate, si ripercorre il percorso di Mantovani dagli esordi fino agli ultimissimi lavori, che testimonia la propria interpretazione di un realismo onirico nutrito dall’osservazione dal vero e dalla memoria.
Nato nel 1942 nella campagna ferrarese, più precisamente a Ro, rimane orfano del padre in tenera età e viene affidato alle suore. La sua è un’infanzia poco spensierata e bucolica, passata tra l’orfanotrofio e il collegio alla Città del Ragazzo, dove seguirà una formazione in falegnameria e in meccanica. Qui sente fin da piccolo un incessante bisogno di codificare il proprio mondo interiore in immagini. “Fin da bambino, ho sempre avvertito l’impulso di tradurre pensieri e fantasie in immagini – racconta l’artista – un modo per evadere dalla realtà.” Però, durante quegli anni, non c’era spazio per l’educazione artistica e i primi approcci alla pittura, e le sue prime prove sono state assai scoraggianti.
Il lascito di quel periodo è ben evidente nel suo lavoro, in particolare nei dipinti Il rosario 1 (1976) – che mostra una fila di bambini, quasi senza genere, tutti uniformati alla stessa immagine austera e fredda del posto che fa da cornice, un convento che sembra più un carcere – e Sweet Memories (2011) – tratto da un episodio realmente accaduto. Qui l’artista è raffigurato da bambino, aggredito da una suora. Per scacciare l’infelicità di quel periodo, il pittore inventa e si racconta delle storie ed effettivamente il mondo fiabesco accompagnerà gran parte del suo percorso artistico.
La sua scuola d’arte era fatta di lunghi momenti di contemplazione: osservare e disegnare paesaggi, piante, oggetti domestici, nonché dettagli somatici, fino ad arrivare a ritrarre conoscenti e familiari. “Ciò che oggi so, l’ho imparato da solo – spiega Mantovani – sono un pittore selvaggio, perché sono cresciuto come un selvaggio, senza aiuti né sostegni.” Inoltre, i suoi dipinti sono connotati da un forte influsso dell’arte fiamminga, nonché dei grandi nomi correlati alla città di Ferrara, ossia Dosso Dossi o Cosmè Tura.
È abbastanza significativo il suo Scuola di disegno (1977) in cui emerge il forte sogno irrealizzato durante quel periodo. Davanti abbiamo un suo autoritratto da bambino, quando la pittura gli era negata, e dietro citati una serie dei suoi più importanti quadri, quasi a rivendicare un’orgogliosa affermazione di sé e della propria professione.
Nel 1964 prende la decisione di lasciare la benamata provincia e partire per Berlino. Nella stimolante città tedesca inizia a frequentare una scuola serale, che gli permette di studiare la pittura antica, la storia dell’arte, di apprendere gli strumenti necessari per esprimersi, nonché di conoscere altri artisti, avere un arricchente confronto, grazie anche alla partecipazione ad alcune mostre collettive. Dopo la giornata lavorativa in fabbrica, dismessi i panni di operaio, viveva il secondo tempo della rappresentazione della sua vita, calandosi in quelli di pittore, per dedicarsi alla figurazione. Nel 1977 presenta al pubblico berlinese la sua prima personale presso la Galerie Taube.
I suoi primi lavori degli anni Settanta denotano una spiccata predisposizione per il Surrealismo, per abbracciare successivamente tematiche religiose o popolari, ma sempre in una chiave allegorica e quasi irrazionale. Nella maggior parte dei dipinti, attorno alla figura si sviluppano vicende fantastiche e/o simboliche con colori vivaci che rappresentano scene irreali.
Mantovani cerca di conoscere meglio le proprie radici attraverso il paesaggio, con i suoi colori e la sua atmosfera sospesa, e onirica. Attraverso l’arte narra il proprio mondo e la sua sfera personale, avvalendosi di alcuni temi specificatamente padani: la campagna piatta del ferrarese che scruta, la nebbia che avvolge, il Po che inquieta, l’afa che soffoca. Ricalca le stesse tematiche con persistenza e rigore, per incidere maggiormente questi luoghi nella sua memoria affettiva, per seminare un ricordo di queste terre in modo che rimanga per sempre. Un’inclinazione nostalgica la sua, un legame stretto con il territorio della sua infanzia.
I suoi dipinti sono una summa di tanti elementi allegorici come il fiume, simbolo della memoria e del tempo che scorre, oppure il bambino, a raffigurare un’innocenza sconosciuta. La pittura è altresì un modo per esorcizzare alcune paure insediate negli anni dell’infanzia, come quella della notte. I dipinti in cui è presente l’elemento notturno presentano scene movimentate, sul confine tra un’atmosfera serena e caotica, popolate da strane creature che oscillano tra alieni e esseri antropomorfi; galleggia un senso di terrore e di incertezza, lontano dalla sensazione irenica, che subentrerà in seguito.
Ci sono altri soggetti-simbolo ricorrenti nella sua prassi artistica, come la farfalla, la civetta, il gatto e sono quasi sempre ad accompagnare la raffigurazione della dimensione femminile. L’immagine della donna nella visione di Mantovani è piuttosto singolare e significativa. Oscilla tra vari registri: da una parte è interpretata come una regina oppure una creatura pura e casta, come ne Il Destino (1985) – la figura femminile è innalzata sopra la veduta di una campagna, devastata da un conflitto bellico, sulla sua testa poggia un elmo con il simbolo della civetta, come una fiera Atena. Oppure come ne La bella domenica, che rappresenta una donna su uno sfondo dorato tipico delle icone bizantine. Dall’altro una creatura ingannatrice o una strega quando non è semplicemente oggettivizzata come nel suo Natura morta (1971). Una raffigurazione della donna nella solita stereotipata dicotomia…
La mostra Il sogno di Ferrara di Adelchi Riccardo Mantovani è una totale immersione nella sua biografia, nel suo mondo immaginario, nei suoi timori e desideri. Il pittore coniuga il rigore, la precisione, l’osservazione dettagliata e infaticabile della realtà con il sogno, il fantastico, la percezione. Il suo è un dipingere lento, come da lui stesso confessato e si concentra non tanto sul tempo, sospeso e congelato, quanto sullo spazio, reale e immaginario.
INFO:
Il sogno di Ferrara
Adelchi Riccardo Mantovani
Ferrara, Castello Estense
5 marzo – 9 ottobre 2022
Dalle 10.00 alle 18.00, chiuso il martedì (la biglietteria chiude 45 minuti prima)