Incontro Matteo Bianchi, poeta ferrarese classe 1987, tra gli scaffali della nuova Libreria.coop, all’interno dell’Ipermercato Il Castello di Ferrara. Avevo sentito parlare di lui e della sua opera da amici in comune e ho voluto incontrarlo per scoprire qualche indiscrezione sulla sua nuova rivista letteraria Laboratori Critici.
Ciao Matteo! Vedo che c’è tantissima gente in fila alla cassa, eppure si dice che gli italiani non leggano abbastanza….
“Non ho ancora conosciuto chi abbia letto tutti i libri sistemati sugli scaffali di casa, ma è un dato di fatto che si legge sempre meno; specialmente dopo l’incremento dell’uso degli schermi che la serrata pandemica ha incoraggiato, e poi soprattutto tra i quindici e i diciassettenni, ossia la fascia di lettori più bisognosa di prospettive con cui misurarsi. Tuttavia è necessario distinguere la letteratura formativa dall’intrattenimento: la maggior parte dei titoli che i cosiddetti ‘lettori forti’ si accaparrano sono thriller (pseudo) psicologici, storielle rosa, squarci biografici rattoppati con l’aiuto di qualche penna brillante e saghe familiari storicamente dubbie”.
Personalmente preferisci libro cartaceo o in formato digitale?
“Non riesco a scindere la fisicità dell’oggetto libro dalle parole che contiene. Su un Tolino (uno tra gli ebook reader più venduti, ndr) i romanzi si confondono uno con l’altro, come se perdessero il loro spazio minimo per essere ricordati. L’attuale crisi di materie prime e trasporti si sta riversando sui costi tipografici, mettendo a dura prova gli editori indipendenti: il formato digitale potrebbe essere una deriva inevitabile, acquisendo più carattere. D’altronde, si fa di necessità virtù”.
Hai già pubblicato diverse raccolte poetiche come Poesie in bicicletta, Fischi di merlo, La metà del letto… ma come hai capito di essere poeta?
“Ho cominciato a scrivere per emulazione in un periodo difficile della mia adolescenza. Al liceo avevo un compagno di classe che usava i versi per trattenere il quotidiano, i suoi bassi esistenziali, e mi sembrava che riuscisse a comunicare più efficacemente, specie con l’emisfero degli adulti, evitando il galateo esasperato della prosa scolastica. Chi mi ha incoraggiato è stata un’insegnante e poeta a sua volta, Rita Montanari, che mi ha indirizzato alle prime letture fondamentali: “dal niente che resta” della vita che svapora e della quale raramente ci è dato farne scorta, sono passato ad “accumulare giorni bianchi” come i fogli di Roberto Pazzi, continue prove di innocenza e di resilienza rispetto all’oblio che ci avvolge silenziosamente. Roberto si è rivelato un altro incontro indispensabile durante gli anni veneziani a Ca’ Foscari, seguendomi passo passo sino a oggi”.
Cos’è scrivere per te? Uno sfogo, un’opera di cesellamento, un bisogno?
“Secondo Leonard Cohen la poesia è la cenere delle nostre giornate, di una vita ardente e ardita. Per me scrivere in versi è sempre stato un momento di raccoglimento e di confronto con il caos interiore, suscitato dagli stimoli a cui il mondo circostante ci sottopone incessantemente. Nel terzo volume di 1Q84 è Murakami a sostenere che “la realtà è dove se ti pungi con un ago ti esce del sangue rosso”. La stessa realtà che non può essere modificata a nostro piacimento, dal nostro desiderio, aggiungerebbe il filosofo Savater, ma che possiamo scomporre tra le righe, fasciare con la carta per ricomporre ai nostri e agli occhi degli altri. Scrivere è un atto rigenerativo a seguito di un trauma, di uno scossone in senso etimologico. Nella composizione provo a misurare i miei limiti attraverso quelli metrici e a trovare vie di fuga dai miei soliti punti di vista: Alienato il mio canto / la linea tra te e gli altri / distingue la poesia dal vero / a cui non mi è concessa supplica. / Intimi come non mai / i miei demoni ed io“.
Come vedi la scena culturale di Ferrara? Sotto una patina apparentemente dormiente mi sembra che si muovano tante realtà culturali interessanti e attive.
“Purtroppo non sono d’accordo, almeno non più. Ferrara sta scadendo inesorabilmente, nonostante gli sforzi. Scade al pari di un ristorante stellato che si sforzava di preservare una coerenza nella sperimentazione per allargare le vedute e la percezione collettiva – paragonando la ricerca culinaria a quella intellettuale – a una mangiatoia qualunquista di un paesone. Troppe opportunità, troppe energie propulsive vengono etichettate per poi essere ignorate. Nella fattispecie, manca il dialogo tra la creatività dei ragazzi che approdano alla scoperta di Ferrara e le istituzioni odierne. E lo sottolineo. Senza tralasciare gli spazi asfittici e salottieri, i circoli di amici degli amici ai piani nobili del centro dove ci si autopubblica e ci si commenta a vicenda”.
A proposito di nuove esperienze culturali, è appena nata proprio in città una nuova rivista letteraria, Laboratori critici. È un semestrale di poesia e percorsi letterari di cui sei direttore e sembra un bel progetto!
“Fondarlo negli anni venti del Covid significa ampliare l’orizzonte di riflessione sul contemporaneo aggiungendo ulteriori voci. Significa portare la sensibilità del poeta a stretto contatto con l’attualità, con un panorama confuso e povero in termini di immaginazione, nel quale oramai la pluralità delle voci si è per lo più allineata a ragioni utilitaristiche. Al progetto hanno aderito scrittori, critici militanti e accademici e il numero zero tra brevi saggi, poesie, interviste, riflessioni personali e analisi sociali, si intitola Le risorse del silenzio. È prenotabile in tutte le librerie, fisiche e online e tutto il resto è sul sito www.laboratoripoesia.it“.
Parlando della città di Ferrara, cosa provi per lei? Hai un attaccamento emotivo? Un luogo a cui appartieni particolarmente?
“Sorvolando sui miei sentimenti contrastanti… mi piacerebbe condividere un luogo disdegnato dai più, ma calpestato di frequente: ci si può persino affezionare alle corsie di un centro commerciale, quelle dove abbiamo inaugurato il nuovo punto vendita di Librerie.coop, in particolare quando si svuotano la sera e il grande magazzino prende fiato. Si smorza il ronzio dell’impianto di areazione e calano le luci artificiali che illuminano notte e giorno i prodotti in bella vista. Mi sono assuefatto al tonfo delle saracinesche che si abbassano, all’odore dei solventi che la macchina per lucidare il pavimento a lastroni sparge dopo la chiusura, agli schermi dei televisori che mi aspettano il mattino seguente nel reparto a fianco. Talvolta persino mi mancano”.
Saluto Matteo, sta per iniziare il firmacopie di un autore appena presentato. Mentre mi allontano tra la folla del sabato mattina che mi viene incontro con i carrelli, mi ricordo che quando ero piccola e venivo a fare spesa con mia mamma ogni volta dovevo per forza fermarmi a prendere un libro, proprio qui. Una volta erano solo una decina di scaffali, ora è una libreria vera, bella, moderna e accogliente con librai competenti come Matteo, che vive la letteratura tutti i giorni.
Tutte le foto presenti nell’articolo sono di Alessandro Canzian