C’è questo uomo, Stanton. Si aggira per un circo probabilmente povero, semplice, uno come tanti, che si nutre di emozioni passeggere lungo le piccole città americane degli anni Quaranta dello scorso secolo. Non dice una parola: osserva, per diversi minuti, spettatore silenzioso della messa in scena della vita, in quella finzione concordata su cui basa il presupposto il circo stesso, l’idea di sapere di assistere ad un inganno e allo stesso tempo il desiderio di entrarci senza vincoli mentali.
Sono i primi minuti de La fiera delle illusioni, il nuovo film di Guillermo del Toro curiosamente nei cinema negli stessi giorni in cui un circo riappare dalle parti di Ferrara, un pò a sorpresa, un tendone blu e giallo parcheggiato nell’area vicina all’ex Mercatone Uno: vita a fianco della morte, finzione che guarda alla realtà.
Che nell’anno due post pandemia un circo sia vivo e una grossa catena di mobili abbia chiuso è una stranezza degna del circo, dove si confondono i confini di ciò che siamo abituati a vedere nella quotidianità: è Gravity, progetto del Circo di Mosca che arriva quasi per caso a Ferrara.
“Non saremmo dovuti venire, eravamo a Bologna e c’era in programma una tappa a Firenze, ma non abbiamo avuto lo spazio all’ultimo e abbiamo deciso di fermarci per qualche giorno a Ferrara” ci racconta Davide De Masi, regista dello spettacolo.
È un pomeriggio di metà settimana e camminando con circospezione dietro al tendone dello spettacolo, troviamo le roulotte e il campo delle diverse famiglie che compongono la compagnia che mette in scena l’esibizione.
Nella calma di un insolito caldo di febbraio, ci fermiamo per alcuni minuti a conversare: cos’è il circo? Cosa vuol dire mettersi in gioco ogni sera? Quanta dose di umanità si nasconde dietro ai meccanismi della messa in scena, quel dietro le quinte che porterà quel personaggio del film, Stanton, a pronunciare le prime parole di fronte ad un uomo bestia, un apparentemente folle uomo selvaggio, inaridito e lontano dalla propria umanità e per questo protagonista di pregio, osservato dalla folla con la curiosità che si riserva alle stranezze?
“Da un anno e mezzo, dopo un lungo percorso tra arte di strada e cabaret, ho avuto la possibilità di essere regista e conduttore di questo gruppo di artisti in questo spettacolo, per questo nuovo progetto del Circo di Mosca. Se n’è parlato poco, ma noi, come il mondo del teatro, siamo stati una delle categorie più colpite dalla pandemia. Questo spettacolo prova a nascere nel 2021, si ferma dopo un mese e mezzo, riparte in ottobre e si ferma nuovamente a dicembre” ci spiega Davide.
Mentre intorno escono alcuni giovanissimi artisti che si spostano tra le roulotte ci racconta che nonostante tutto il direttore, Larry Rossante, non ha smesso di credere nel progetto.
Un circo moderno e che allo stesso tempo cerca di mantenere la tradizione, con la presenza dello chapiteau (il tendone), i colori, l’ambiente tradizionale, ma capace di attualizzare ritmo e comicità per portare lo spettacolo nel presente. L’assenza di animali, i clown che si rivolgono a grandi e piccoli, elementi visivi come luci, effetti sull’acqua, moto che saltano in mezzo alla pista, numeri acrobatici: una fusione, senza dimenticare la tradizione dei numeri di escapologia o di birilli e cappelli che si materializzano come dal nulla, o volano sfidando il limite delle nostre capacità fisiche.
“Per me non è un lavoro: il circo è una passione. Viviamo di applausi, di contatti, di viaggi: tutto ciò che la pandemia ci ha negato per tanto tempo.”
Quando accenniamo a quel film Davide ci spiega che anche loro nel programma avevano qualcosa di così vicino a quella tradizione, quella del Novecento.
“È giusto dirlo anche per lasciarne un ricordo: fino a poche settimane fa avevamo nel programma un side-show. Nell’intervallo dello spettacolo gli spettatori avevano la possibilità di andare a vedere il Mago Jabba, un personaggio noto e tra l’altro della zona (vicino a Lugo, Ravenna), che era Piero Ustignani, scomparso all’inizio di quest’anno. Uno dei cosiddetti freak, strane creature portatrici di quelle diversità di cui il circo si è sempre nutrito”.
E in questo ricordo, nel pensare e nel dire di questa scomparsa, esce il senso di comunità.
“Noi siamo insieme: due, tre, quattro famiglie. Viaggiamo insieme, viviamo insieme, come una compagnia teatrale e ancora più stretti di una compagnia, perchè qui si condivide tutto: l’acqua, l’elettricità, si cena assieme. Il posto dove fai spettacolo è anche il posto dove vivi.”
E in qualche modo, ci spiega, non è lavoro: è vita.
“Si va in scena o si parla di quando si va in scena. Certo ci dà un sostentamento, ma per noi è un gioco. Una passione, difficile chiamarlo lavoro.”
Un ragazzino, o forse meglio un bambino, quasi ci ruba il telefono da cui stiamo registrando. Sembra in qualche modo la metafora perfetta: il circo è quel contesto dove le regole sono fatte per essere piegate.
I coltelli sfiorano la pelle, un cappello svanisce sotto i nostri occhi, una cintura che legava un corpo viene aperta in chissà quale maniera, il fuoco si sprigiona mentre moto volano su rampe vicine al pubblico: tutto può succedere nel circo, noi lo sappiamo e diamo in mano agli artisti la nostra sospensione dell’incredulità, chiedendo loro di stupirci.
Come nel film La fiera delle illusioni, siamo Stanton che si trova attratto da un mondo dove le proprie diversità scompaiono. A governare il circo sono regole nascoste, segnali dietro le quinte, estremi rapporti di fiducia che creano linee sottili tra professionalità e gioco.
Chiediamo a Davide di un piccolo, fragile dettaglio, in un classico numero dei coltelli, dove abbiamo visto un istante in cui il lanciatore ha fermato il lancio e asciugato un coltello, per poi riprendere a lanciarlo a pochi centimetri dalla pelle della donna.
“Poco prima c’era stato uno spettacolo con acqua in scena e per quanto si possa asciugare, succede che ci sia un minimo di bagnato. E la presa sul coltello non può non essere sicura: gli artisti che fanno quel numero tra l’altro sono marito e moglie: ovviamente non vogliono che il coltello arrivi dove non deve!” ci spiega, sorridendo.
Mentre concludiamo la nostra conversazione, sentiamo qualcuno radunare delle persone e spiegare ad alta voce che nel prossimo futuro verrà una compagnia teatrale in visita (ci sarà da studiare! annuncia una voce piena di entusiasmo) e mentre lo chapiteau, il tendone, dorme in attesa del prossimo spettacolo, osserviamo questo piccolo cosmo, che ci sembra esattamente quello che dovrebbe essere.
Un mondo parallelo, dove il divertimento è passione, dove la passione è lavoro, dove il lavoro è il nostro biglietto che porta dentro adulti e bambini. Bambini che al termine dello spettacolo avranno negli occhi immagini di un mondo meno bloccato tra le mura di una casa, di regole mentali su cosa sia possibile, diventate più fragili.
È solo un’illusione, è davvero la fiera delle illusioni, ma dietro il tendone, all’interno del campo, ci è parso tutto estremamente vero e reale.