Ho sempre considerato e vissuto il teatro, in quanto spettatrice, come un contenitore di storie, di vite, di emozioni, di riflessioni. Perché sì, ogni spettacolo è una proiezione della realtà, per quanto talvolta fantasiosa e mostra una leggera sfumatura delle nostre vite: ciascuno di noi può rivedersi nelle parole che ascolta o ritrovarsi nei personaggi rappresentati.
Lo spettacolo di ieri sera al Teatro Comunale ha fornito più di uno spunto e trasmesso un groviglio di emozioni. Dopo vent’anni di assenza dalle scene, Sergio Castellitto riprende il filo interrotto e torna sul palcoscenico con Zorro di cui firma anche la regia. Lo spettacolo portato in scena è un monologo tragicomico ed è tratto dal testo teatrale Zorro. Un eremita sul marciapiede immaginato e scritto dalla moglie Margaret Mazzantini appositamente per Castellitto. È la storia di un vagabondo – un personaggio riflessivo, ironico, un po’ beffardo e irriverente. È significativa la scelta proprio di questo pezzo: in un’intervista recente l’attore trova una singolare similitudine tra un artista e chi vive per strada. Ambedue un po’ erranti e folli, fragili e in qualche misura, miserabili.
Ferrara è l’unica tappa in Emilia-Romagna e la scelta è ricaduta sulla nostra città, anche per un legame nostalgico e affettivo che l’attore ha con questo territorio. Da giovane, ha svolto la leva militare proprio qui nella caserma Pozzuolo del Friuli e sono tanti i suoi ricordi legati a questo lembo di Emilia, dalle passeggiate lungo Corso Giovecca ai bomboloni con la crema consumati nel tempo libero.
Conoscevo Sergio Castellitto solo come attore cinematografico e avevo grandi aspettative nel vederlo recitare a teatro, decisamente non disattese! Sul palcoscenico del Comunale ha confermato la sua bravura e retto brillantemente per tutta la durata della rappresentazione teatrale.
La canzone di Domenico Modugno Vecchio frack apre il varco per la dimensione della mimesi: “È giunta mezzanotte, si spengono i rumori… dorme tutta la città, solo va un uomo in frack”. L’intera durata dello spettacolo sarà accompagnata da vari intermezzi musicali, da La sera dei miracoli di Lucio Dalla a Mio fratello è figlio unico di Rino Gaetano. A livello scenografico, è quasi scarna la rappresentazione, però è interessante la scelta degli oggetti, come a voler rendere perentoria la distinzione tra una vita vissuta prima e il presente, nonché probabilmente una suddivisione tra la dimensione privata e quella pubblica.
Zorro è la narrazione di un uomo “non della strada, ma un uomo di viaggio” con una storia come tante, con un percorso comune a tutti noi. Lo spettacolo racconta la storia di un vagabondo, una persona irregolare, ma altresì la complessità e la fragilità dell’esistenza, le convenzioni a cui sottostiamo. La sua è letteralmente una vita precaria, ma rispecchia la precarietà interiore di ognuno di noi. Il personaggio ripercorre i momenti e le scelte che lo hanno portato a vivere in strada, perché vivere in questo modo è stata una sua scelta, dopo un percorso fragile, solitario, a tratti sofferente. Il suo racconto si divide in un prima e dopo e il punto di non ritorno è l’incidente che causa suo malgrado, dove una persona perderà la vita.
Prima un’esistenza abbastanza comune a molti di noi: un lavoro, una casa, una macchina, una moglie. Dopo la perdita totale: amici, amore, famiglia, fino a non possedere più nulla di materiale. Perdendo ciò che sarebbe inconcepibile non avere in quella che è definita la normalità, eccetto la sua dignità. Nonostante la durezza di vivere senza una casa, senza il calore di un focolaio o l’affetto di una famiglia, Zorro decide di non chiedere nulla e non accettare elemosine. Per preservare appunto almeno la sua dignità, in fin dei conti quella “non è una tessera”.
In compenso ritrova però una libertà inimmaginabile nella società civile, cioè poter dire tutto, senza filtri, semplicemente quella verità che spesso celiamo per conformarci a determinati meccanismi, decidendo di non tornare alla sua vita precedente. Proprio sulla strada inizia così la sua seconda vita, dove poter ritrovare se stesso.
Zorro sta lì in disparte, su una panchina, invisibile e irrilevante al nostro sguardo impassibile. Ci propone il suo punto di vista, fondato proprio da questa libertà di guardare dritto in faccia le persone. E possiede qualcosa che a tutti manca sempre: il tempo. Per camminare, per assaporare il silenzio, per osservare la nostra frenesia nel vederci correre da una parte all’altra. Non ha bisogno di misurare il tempo, di pianificare ogni minuto, perché tanto “la vita è un giorno”.
Ognuno ha il suo destino. Il suo in qualche modo era già segnato fin dall’infanzia, quando perse il suo cane e al contempo la leggerezza di bambino. Effettivamente, la figura del cane accompagna la storia del nostro antieroe per quasi tutto lo spettacolo. Nel cane ritrova quell’affetto che non gli arrivava dalla famiglia e soprattutto riesce finalmente a sentirsi ascoltato. Un rapporto in grado di colmare la sua voragine interiore, per rendere meno sofferente la solitudine.
La vita è una giostra, ci dice Zorro. Bisogna saperci stare, accettare i cambiamenti, gli imprevisti, ma anche le gioie, i successi. Ma soprattutto, è necessario stare bene con le proprie scelte, percorrere la propria strada, con dignità e libertà. Ci sono tanti altri momenti che volutamente non desidero raccontare e vi invito ad andare a vedere lo spettacolo personalmente, stasera oppure domani.
Avrei soltanto una richiesta, anzi un messaggio da far pervenire a Sergio Castellitto: la polenta si mangia anche ad agosto, ed è squisita!
ZORRO
Teatro Comunale di Ferrara
In replica sabato 12 febbraio ore 20.30 e domenica 13 febbraio ore 16.
Info e biglietti: https://www.teatrocomunaleferrara.it/events/event/zorro-2/