L’idea di scrivere un pezzo sul Korova, il piccolo e discreto locale di via Croce Bianca, mi è balenata qualche settimana fa proprio mentre ero lì dentro. Dopo un paio di giorni ho condiviso questo mio desiderio con un amico (che chiamerò Poe), ricevendo come risposta “Beh, chi meglio di te che ormai da tempo fai ricerca sul campo”. Effettivamente…
Ritengo sia importante raccontare le piccole realtà di questa città, a maggior ragione se si tratta di luoghi che amiamo e ci fanno sentire bene. E a me il Korova fa sentire bene, mi fa sentire a casa; è un posto che è stato testimone di tante delle mie chiacchiere, delle risate con gli amici, delle discussioni anche poco piacevoli, dei primi incontri ma anche degli ultimi. In alcuni momenti, quando l’unico desiderio è quello di trovare rifugio dal mondo esterno, per me il rimedio è oltrepassare il varco dell’entrata, scrollarmi la quotidianità di dosso e trovare davanti un volto amichevole che sorridente ti saluta con un “Ciao, il solito?”.
Ciò che segue è una conversazione davanti a un calice di vino, con Rocco e Oscar Brondi, i due volti familiari del Korova, il cui nome si ispira al celebre film di Stanley Kubrick Arancia meccanica, manifesto della grande passione per il cinema di Rocco.
Direi di partire dalla fine per parlare dell’inizio: quest’anno sono ormai 16 anni che gestite questo locale; raccontatemi un po’ com’è nata l’idea di avventurarvi in quest’impresa.
Oscar: Allora, l’idea è nata da lui (indica Rocco). Per noi era un momento di incertezze e dubbi sul futuro e considerando che c’era questo palazzo qui, che era il garage di nostro papà, da ristrutturare, ci siamo detti “proviamoci”. Inizialmente dovevo essere solo un aiuto temporaneo, ma ormai sono qui da 16 anni!
Rocco: Però non abbiamo specificato quanto doveva essere questo inizio.
O: Vero, effettivamente forse è ancora inizio…
R: Sì, l’idea è stata mia; all’epoca avevo frequentato alcuni corsi da barman e avevo iniziato a lavorare, ma avendo un carattere abbastanza spigoloso facevo fatica a lavorare per gli altri. Quindi abbiamo preso la palla al balzo, ci è sembrato il momento giusto per farlo. Nostra madre Paola, cresciuta in una pasticceria, era contenta di ritornare ad avere una bottega come diceva lei e quindi a lavorare.
Che ruolo ha avuto vostra madre in questa storia?
O: Guarda, la nostra mamma è una di quelle venete della vecchia guardia che vede il lavoro come caposaldo per la propria autonomia. E soprattutto, lavorare sempre: neve, emergenze come il terremoto, eventi straordinari. Quando si accorge che siamo chiusi, ci chiama subito per sapere la causa di questa decisione.
R: Quando è nato il mio primo figlio ero ovviamente in ospedale, mentre per lei avrei dovuto aprire il locale… Però dobbiamo riconoscere che l’esperienza della mamma fu fondamentale durante i lavori di ristrutturazione iniziali: stava sempre a seguire i lavori, spesso rimproverando l’architetto o fornendo le indicazioni al falegname, gran parte delle scelte stilistiche sono merito suo.
Fatti gli arredi bisognava mettersi dietro al bancone…
O: Abbiamo aperto in un momento in cui potevi anche avviare un’attività come la nostra e improvvisare. Non sapevamo fare niente, abbiamo deciso di aprire un bar senza avere gli strumenti necessari per farlo. La nostra base era zero. Oggi sarebbe impensabile ma noi abbiamo imparato strada facendo. Oggi, ad aprire un locale come abbiamo fatto noi, saresti spacciato sul nascere.
Ho sempre trovato coraggioso gestire un’attività in famiglia, perché da una parte può essere un incentivo, ti trovi ad avere un sostegno, però è altrettanto rischioso.
Rispondono quasi in coro “sì, molto rischioso”.
R: Però considera che prima dell’apertura di questo locale noi non ci frequentavamo; avendo età diverse e di conseguenza compagnie di amici diverse, se ci incontravamo in giro per Ferrara facevamo finta di non conoscerci.
O: Vero, abbiamo legato molto grazie a quest’attività. Crescendo ci siamo allontanati, per poi ritrovarci progressivamente lavorando insieme. Negli anni ci sono stati degli scontri brutali (“delle tempeste”, aggiunge Rocco), però siamo stati capaci di trasformare questi momenti in un cambiamento positivo, che ci ha permesso di apportare delle migliorie anche al locale.
Nonostante il tempo e alcune piccole avversità, in qualche modo avete resistito, qual è la vostra caratteristica o il vostro segreto?
O: Secondo me chi frequenta il nostro locale, magari fin dall’apertura, si sente come se fosse a casa, non siamo mai stati troppo formali. Anzi, abbiamo anche rischiato di chiudere proprio perché in alcuni casi eravamo troppo permissivi.
R: Facevamo come se fossero invitati a casa nostra, con gente che suonava la chitarra fino alle 4 di notte.
O: Non possiamo dire che facciamo qualcosa meglio degli altri. Abbiamo aperto col botto, neanche noi sapevamo perché. Inizialmente riempivamo il locale anche solo con i nostri amici. Poi improvvisamente il flusso di gente si è diradato ed effettivamente ci sono stati degli anni in cui abbiamo faticato tantissimo, senza riuscire a darci una spiegazione: in fin dei conti facevamo sempre le solite cose. Abbiamo capito che bisogna cambiare, non fermarsi mai. Qualsiasi locale ha dei momenti di picco e poi arriva il buio, ma non bisogna spaventarsi, scoraggiarsi oppure sentirsi arrivati. Inoltre, personalmente, mi sono appassionato a questo lavoro solo da qualche anno, quando ho capito che la ricerca di nuovi vini o birre, quindi di nuove proposte da far scoprire alle persone, è fondamentale. Sperimentare nuovi sapori è davvero stimolante, è ciò che ultimamente mi interessa sempre di più.
Nuove proposte e un ambiente informale sono la chiave del vostro successo?
R: Probabilmente anche il fatto di non aver optato per un’unica specialità: ci siamo sempre tenuti larghi, nel senso che non ci siamo specializzati per esempio nel fare cocktail, anche perché non siamo capaci.
O: Vero. Direi che abbiamo optato per delle proposte genuine e durature nel tempo, senza seguire una moda momentanea.
R: A pensarci bene, abbiamo provato a proporre birre artigianali quando ancora non andava di moda. Esperimento poco riuscito, abbiamo finito per bercele noi.
A proposito di clientela, ho trovato su un forum del 2006 questa recensione: “…questo locale non mi piace, perché frequentato all’80% da 15enni Punkabbbbestia arrogantelli”. Cosa ne pensate, e chi sono i vostri clienti, oggi?
R: Probabilmente il commento l’aveva scritto nostro padre… può anche essere che lo fossero, ma oggi quei punkabbestia sono persone di rilievo.
O: Nel 2006 forse aveva ragione, c’erano questi ragazzi di 15-16 anni, soprattutto di sabato. Però, così come siamo cresciuti noi, abbiamo visto crescere anche la nostra clientela e oggi sono ragazzi di trent’anni e passa.
Ho letto da qualche parte che a un certo punto si passa dall’essere un cliente abituale a una presenza fissa non più definibile come cliente. Ci sono dei clienti che sono diventati parte del Korova stesso?
O: Anche troppi! (ride) Sono quelli un po’ restii ai cambiamenti, però sono anche quelli che ci hanno salvato in alcuni momenti in cui eravamo vulnerabili, come durante il lockdown oppure il periodo successivo in cui facce nuove non ne vedevi: loro invece c’erano. In quel periodo c’è stata una risposta incredibilmente positiva, finivo la serata che ero distrutto ma anche commosso. Alcuni diventano amici, infatti in alcuni casi ci invitano persino ai loro matrimoni (“noi non ci andiamo”, ci tiene a precisare Rocco). Per fortuna, dopo 16 anni di attività, volente o nolente, un po’ di clientela fissa c’è.
Personalmente trovo apprezzabile la vostra collaborazione con altre realtà locali e il vostro coinvolgimento in vari eventi che vanno oltre la vostra attività, rendendovi molto ibridi. Avete ospitato una serata della residenza artistica di Resina, avete proposto live acustici nei “Venerdì del Cantautore”, serate di poetry slam, giusto per citarne alcune…
R: Vero, ci prestiamo sempre, anche perché ci consideriamo fortunati. E poi siamo amici con tutti, a noi non sta sul cazzo nessuno.
O: Beh, parla per te! Comunque sì, cerchiamo di collaborare sempre con gente nuova, per vedere ma anche per portarci facce nuove.
R: Collaboriamo con il birrificio Lost Road (hanno il negozio vicino al Mercato Coperto) e siamo in ottimi rapporti con il ragazzo di Hidden Spirits, che ha una piccola bottega artigiana di whisky.
O: Qualche anno fa abbiamo fatto una serata di lettura tarocchi, una delle serate più bizzarre che abbiamo mai avuto. E anche un contest di poesia: non ci avrei scommesso una lira, ma è stata una delle serate più divertenti che abbiamo avuto.
In chiusura della nostra conversazione ho chiesto a Rocco e Oscar un consiglio su cosa bere, guardare e ascoltare. Tutti e due concordano su È stata la mano di Dio, l’ultimo film di Sorrentino, autore molto amato in generale. Accolgo anche il suggerimento di Rocco in tema di libri, Yoga di Emmanuel Carrère. Su cosa bere risulta più preparato Oscar, che consiglia un bicchiere di whisky e cannella oppure uno Chartreuse – un liquore francese molto particolare, un mix tra un amaro, una sambuca e un pastis, “assolutamente da provare”. Dulcis in fundo la musica, ed è Rocco quello preparato. Sono vari i suggerimenti da Flavio Giurato a La Rappresentante di Lista, da Lucio Dalla al Maestro Battiato, in particolare La cura proprio in virtù della necessità di prendersi cura uno dell’altro, a maggior ragione se consideriamo il periodo che stiamo attraversando.
Ci sarebbero tante altre cose da raccontare, come la squadra di calcio del Korova con la propria curva composta da almeno 40-50 tifosi, invidiata da tutti gli avversari; il tentativo (fallito sul nascere) di mettere su una squadra di bowling (“ci siamo fatti male tutti e abbiamo dovuto sospendere”); i vari murales, gran parte di Marco Montanari e uno di Riccardo Torresi, che si trovano nel giardino adiacente al locale; tantissimi aneddoti accumulati durante questi lunghissimi anni, come quello che vede Carmelo Pipitone, chitarrista dei Marta sui tubi, spaccare la lampada centrale del bancone con la propria chitarra oppure quello in cui Pierpaolo Capovilla recita dei brani sconsigliati ai minori. Ma invece che farveli raccontare da me, il mio consiglio è di andare da loro, al Korova: sono sicura che Rocco e Oscar saranno più che contenti di condividere tutto anche con voi. Per ciò che mi concerne, posso solo aggiungere grazie e a presto!