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Dopo l’esordio all’interno della Stagione Operistica al Teatro “Dante Alighieri” di Ravenna, l’opera del grandioso compositore Claudio Monteverdi approda a Ferrara nel fine settimana del 22-23 gennaio 2022 al Teatro Comunale Claudio Abbado. Frutto del sodalizio tra il regista Pier Luigi Pizzi ed il Maestro Ottavio Dantone alla direzione dell’Accademia Bizantina, l’Orfeo di Claudio Monteverdi affronta il tema straziante della perdita e del distacco da quanto ci è caro.
La coproduzione con il Teatro Alighieri vede protagonista Orfeo, colui che sa incantare gli elementi della Natura e l’Uomo, interpretato dal tenore Giovanni Sala, che, nonostante la giovane età, possiede un curriculum estremamente ricco. L’opera è considerata il primo vero e proprio capolavoro del Melodramma, in particolar modo per il suo impiego audace di ogni risorsa fino ad allora concepita nell’arte musicale. Pensiamo soltanto al fatto che Monteverdi è vissuto in un’epoca di estremo cambiamento da un punto di vista musicale, soprattutto nel rapporto tra musica e parole. Fino a quel tempo venivano usate forme come il contrappunto e la polifonia e si è sentita forte la necessità di sviluppare un discorso musicale legato alla parola, che si avvicina proprio al modo di parlare. Entrando così nello stile del “Recitar cantando”, anche se lo stesso Monteverdi lo definisce “Parlar cantando”, per evidenziare la naturalezza del disquisire.
Un mix tra musica e parola che trova massima espressione proprio nell’opera di Montevederdi, dove la recita usa i ritmi e le inflessioni della parola, e suscita emozioni forti attraverso la musica.
Chi era Monteverdi?
Nasce a Cremona nel 1567, dove si affaccia agli studi musicali e compositivi, in particolare alla viola ed al contrappunto. La sua influenza delinea il passaggio tra la Musica Rinascimentale e quella Barocca. A soli quindici anni vediamo pubblicate le sue prime composizioni, le Sacrae cantiunculae a tre voci (1582), alle quali seguirono i Madrigali spirituali a quattro voci (1583), le Canzonette a tre voci (1584) e il I e il II libro di Madrigali a cinque voci (1587 e 1590). Tra gli altri, oltre alle innumerevoli composizioni sacre, Monteverdi si dedicò nuovamente a libri di Madrigali, con uno stile sempre nuovo ed originale, mentre negli ultimi anni di vita si dedicò alla scrittura di due opere per i teatri pubblici veneziani.
L’Opera
Il dramma su libretto di Alessandro Striggio, anticipato dalla celebre toccata eseguita per ben tre volte che annuncia l’inizio dell’opera, è composto da un prologo avanti l’opera e cinque atti e risale al 1607. Nasce su iniziativa del principe Francesco Gonzaga, nel cui palazzo di Mantova debutta a seguito di un’anteprima presso l’Accademia degli Invaghiti.
L’Opera prevede il coinvolgimento di oltre quaranta elementi a costituire l’ensemble: 2 cornette, 4 trombe, 5 tromboni, 2 flauti a becco, 2 violini piccoli, 2 clavicembali, 3 chitarroni, 3 viole da gamba, arpa, archi, 2 piccoli organi a canne, organo portatile a canne ed avevano facoltà di improvvisare così da rendere unica l’esecuzione. Si può certamente affermare che la composizione getta le basi per l’Opera dei secoli a venire.
A partire dal Rinascimento la “Teoria degli affetti”, esaminò il rapporto tra la musica ed i sentimenti che suscita sull’animo umano con il suo effetto. In questo, come ricorda Ottavio Dantone, “Monteverdi è un maestro insuperabile nella pratica degli affetti. La sua capacità di usare i codici retorici è impressionante, come Bach sapeva utilizzare alla perfezione le risorse del contrappunto e della fuga. Ma Monteverdi è capace anche di infrangere le regole della retorica e della poetica quando vuole ottenere risultati emotivi più intensi”.
Il mito di Orfeo: tra amore e morte
È il personaggio della Musica (Vittoria Magnarello) ad aprire il prologo di Monteverdi, che ha il compito di evocare Orfeo, il quale appare nel primo atto insieme alla giovane amante Euridice (Eleonora Pace), in un’atmosfera di felicità intonata da cori di pastori e ninfe. Felicità che, tuttavia, svanisce alla fine del secondo atto, in cui al giovane Orfeo, in preda a grande malinconia, viene annunciata da parte della Messaggera (Margherita Maria Sala) la fine di Euridice. Orfeo però, spinto da nobili sentimenti nei confronti della sua amata, si dirige accompagnato dalla Speranza (Maria Luisa Zaltron) alle porte degli inferi, addormenta Caronte (Mirco Palazzi) con la musica della sua lira così da poter attraversare il fiume che porta all’Aldilà.
Qui trova Proserpina (Delphine Galou) che, incantata dalla voce del dio, prega Plutone (Federico Sacchi) di riportare in vita Euridice in nome del vecchio amore che aveva provato per lei. Il re degli Inferi cede, ma in cambio Orfeo deve promettere che non si girerà mai a guardare la propria amata finchè non raggiungeranno l’uscita dell’Ade. Tuttavia un dubbio sorge nella mente del giovane dio. E se Plutone, preso dalla gelosia, lo avesse ingannato? Mentre Orfeo si gira verso la sua amata vede il suo volto improvvisamente scomparire.
Purtroppo dopo il primo debutto al Palazzo Ducale di Mantova e in altre città italiane e a seguito della morte dell’autore nel 1643, l’opera venne prematuramente dimenticata fino al XIX secolo, ma fortunatamente è stata preservata fino ai giorni d’ oggi e per questo motivo ogni nuova esecuzione è accolta con gioia.
Questo progetto – afferma Pizzi – nasce al Festival di Spoleto (con la versione revisionata di Luciano Berio) con l’intenzione di introdurre molti strumenti e da eseguire all’aperto, un sogno ad occhi aperti immaginare una piazza ricca di suoni, un’emozione irripetibile.
Purtroppo però, la pandemia da Covid-19 ha imposto un ridimensionamento di quest’opera, che diventava imponente e di difficile gestione. È qui che viene partorita l’idea di una versione originale, seppur ridotta, con il coinvolgimento dell’Accademia Bizantina di Ottavio Dantone.
Ad accompagnare la regia di Pier Luigi Pizzi troviamo infatti l’Accademia Bizantina sapientemente diretta da Ottavio Dantone. Nata a Ravenna nel 1983, è composta da musicisti provenienti da tutto il mondo, celebre per la propria specializzazione nell’esecuzione del repertorio musicale del XVII e XVIII secolo, anche se spazia nel repertorio monteverdiano e di alcuni compositori del tardo rinascimento. Nel 2021 ha ottenuto il secondo posto come migliore orchestra al mondo ai Gramophone Awards.
Nelle edizioni a stampa del ‘600 parte del racconto rimane enigmatico, molti ritengono che ciò che è scritto deve esser eseguito senza spazio a fantasiose variazioni, mentre in questa nuova interpretazione si vuole dare risalto alla dinamicità. Pizzi pensa così all’orchestra come parte della scenografia, interagisce coi cantanti che a loro volta di muovono tra i musicisti. Questi ultimi sono sul palco e non nella buca dove l’orchestra è collocata di consuetudine. Al loro fianco i cantanti ed il Coro Cremona Antiqua, preparato da Antonio Greco.
Il finale classico vedrebbe la morte di Euridice e la discesa di Apollo che si porta in cielo Orfeo, spronandolo a non farsi sovrastare dalla disperazione, contemplando sole e stelle in ricordo del suo amore perduto. Pizzi e Dantone decidono invece per un finale aperto, definito dallo stesso Pizzi più attuale e comprensibile.
Orfeo, dopo la morte della sua amata, rifiuta ogni confronto con il sesso femminile.
Un finale comunque tragico, ma in chiave moderna, accompagnato da una sinfonia tragica: Orfeo prima scopre l’amore effimero e successivamente deve scontrarsi con la tragedia della morte.
Rimane un uomo solo, non ha idea di cosa possa riservargli il futuro e questo ci riporta ai giorni nostri, lasciandoci con una tormentata riflessione sul nostro destino, sulla solitudine e sull’ineluttabile cui siamo destinati.
ORFEO è a Teatro Comunale di Ferrara
22 gennaio 2022 alle 20.00, 23 gennaio 2022 alle 16.00
https://www.teatrocomunaleferrara.it/events/event/lorfeo