Ogni inverno i gruppi ambientalisti ferraresi denunciano numerosi interventi di abbattimento a danno del verde pubblico della provincia di Ferrara. Dal loro dissenso si coglie la critica verso chi si dedica ad azioni drastiche, che prevedono la totale eliminazione delle alberature e cespugli lungo le strade, sugli argini e nelle golene. Dall’altra parte si schierano invece gli enti di gestione del territorio e le aziende che operano nella gestione del verde per loro conto, più preoccupati del rischio idraulico che caratterizza il territorio estense, piuttosto che della sua tutela paesaggistica e naturalistica.
La questione è sempre più sentita, tanto che negli ultimi anni si sono costituiti diversi gruppi di cittadini in difesa del verde, come La Voce degli Alberi, o le associazioni aderenti alla Rete Giustizia Climatica, facenti parte del gruppo di lavoro denominato Gruppo Verde, i quali, preoccupati per il cambiamento climatico incombente, la distruzione degli habitat naturali e la riduzione della biodiversità, hanno iniziato a lavorare sulla tematica.
Tra le varie azioni sul territorio, oltre alle giornate di piantumazione di nuove essenze arboree, sono ultimamente aumentate le manifestazioni di protesta, le più frequenti sono avvenute al Lido degli Estensi, contro il taglio di oltre 50 pini e querce di Viale Carducci, zona di passaggio centrale della frazione.
“E’ stata una battaglia durissima – conferma Marianna Suar, una delle portavoci del gruppo la Voce degli Alberi – e purtroppo non siamo riusciti a dissuadere gli amministratori dall’abbattimento di tutti quegli alberi adulti e sani, che assicuravano ombra e refrigerio durante l’estate: proprio in questi giorni stanno radendo tutto al suolo. Mi chiedo come faranno i turisti a passeggiare come d’abitudine, con la calura impressionante che ci sarà tra luglio e agosto, e quanto triste apparirà il viale spogliato di tutti i suoi alberi caratteristici? Non ci fermiamo comunque, e dopo aver interessato avvocati, prefettura, politica locale arriveremo anche con un’interrogazione a Roma, perchè siamo convinti che gli alberi si dovevano preservare, e invece si è deciso volutamente di eliminarli”.
La Regione Emilia-Romagna ha incentivato progetti di riqualificazione e rigenerazione urbana con l’erogazione di specifici contributi, al fine di migliorare le condizioni di offerta e attrattività delle aree di fruizione turistica costiera, ma per gli ambientalisti ciò doveva attuarsi garantendo il rispetto degli alberi, bilanciando gli interventi con l’interesse ambientale.
Contemporaneamente, nell’alto ferrarese, tra i comuni di Bondeno e Terre di Reno, in prossimità di aree naturali protette Rete Natura 2000 e ZPS, decine di ettari di sponde e golene del fiume Reno e del canale Cavo Napoleonico sono state disboscate per ragioni di sicurezza idraulica, su ordine dell’ente competente, l’Agenzia Regionale per la Sicurezza Territoriale e la Protezione Civile.
Le denunce mediatiche della RGC di Ferrara, attuate tramite foto e video diffuse sui canali social, non si sono fatte attendere. Secondo Santo Scalia del Gruppo Verde “la motivazione che sta alla base di questi interventi svolti in prossimità di aree protette non convince, la Protezione Civile sostiene di dover rimuovere tutta la vegetazione per garantire il passaggio del personale di manutenzione ed evitare che tassi, istrici, volpi, od altri animali selvatici possano scavare tane nell’argine e indebolirlo. Ma un anno fa, l’AIPO voleva abbattere parte del Bosco di Porporana adducendo le stesse motivazioni, e si è riusciti ad evitarlo con la mediazione e programmando interventi mirati, risparmiando gli alberi. Sicuramente anche in questo caso si poteva meditare un intervento meno invasivo, che non cambiasse radicalmente l’habitat e il paesaggio da un giorno all’altro”.
Ciò che è evidente è che le aree protette rappresentate dal canneto del Cavo Napoleonico, più prossimo all’acqua, e dal Bosco della Panfilia sul fiume Reno, si trovano ora come oasi naturali isolate in un contesto ormai del tutto antropizzato. Si continuano a tollerare ed autorizzare massicce deforestazioni, che determinano una chiara discontinuità paesaggistica, poiché eliminano quelli che sono fondamentali corridoi ecologici, che favoriscono i ritorni faunistici e conseguentemente la biodiversità.
I boschi ripariali sono tra i pochissimi boschi rimasti in Pianura Padana e garantiscono un servizio ecosistemico fondamentale ad una delle aree più inquinate d’Europa. Assistere a tali interventi massivi, in piena crisi climatica, appare un controsenso, soprattutto quando la sorte del legname è quello di essere bruciato nelle biomasse per produrre energia, ma generando anche enormi quantità di CO2 che, al contrario rimarrebbe immagazzinata negli alberi.
Altro paradosso è considerare “energia green” quella prodotta riducendo gli alberi in cippato e bruciando intere foreste fluviali ripariali.
Non è un segreto che i corsi d’acqua del ferrarese soffrono di evidenti problemi di manutenzione, spesso mancata per anni, acuiti dalla presenza di animali quali nutrie e gamberi d’acqua dolce, che scavano le proprie tane nel terreno nudo. Non così scontate, però, appaiono le linee guida che la Regione Emilia-Romagna ha adottato da anni per la riqualificazione dei corsi d’acqua naturali e canali di bonifica, le quali assumono come dato di fatto che le radici degli alberi, quali ad esempio i salici, hanno proprio la funzione di prevenire l’erosione spondale, rendendo pure più difficile l’insediamento degli animali, eppure tali nozioni di ingegneria naturalistica non trovano applicazione negli interventi invasivi a cui tocca assistere soventemente.
Nell’ultimo comunicato pubblicato dalla Rete Giustizia Climatica, che accompagna un video corale in cui alcuni attivisti spiegano i motivi della loro contrarietà a tale tipo di interventi, si dichiara che “la corretta gestione e manutenzione dei corsi d’acqua da parte degli enti dovrebbe ispirarsi alle linee guida regionali ivi richiamate premiando progetti d’ingegneria naturalistica, attuando interventi che garantiscano un prelievo selettivo delle sole alberature realmente instabili che si sporgono pericolosamente nell’alveo. E che questi interventi non possono e non devono diventare opportunità per foraggiare un anacronistico business del legname basato sulla combustione, le risorse naturali non possono essere concesse gratuitamente alle ditte che lucrano su di esso a pochi euro la tonnellata, perchè il servizio ecosistemico reso da un bosco fluviale ha molto più valore.”
E se per anni la questione della tutela degli alberi non è stata percepita come rilevante, pare che ultimamente tra mobilitazione popolare, denunce mediatiche, azioni legali e, non ultima, la notizia di un’interrogazione parlamentare inerente le deforestazioni del ferrarese, si siano finalmente puntati i riflettori su un modello di gestione che per molti dev’essere rivisto, armonizzandolo con la tutela ambientale e paesaggistica.
Nonostante ciò la gestione del verde appare ancora arretrata, totalmente asservita ai bisogni dell’uomo e alle richieste degli enti di gestione del territorio. La strada, perciò, appare ancora lunga. A permanere immutato è lo scontro illogico tra interessi che appaiono contrapposti e che, invece, dovrebbero arrivare alla conciliazione: quello di chi considera le strutture arboree un pericolo da estirpare nel vero senso della parola e chi una risorsa da tutelare per il futuro.
E’ la guerra degli alberi.