“L’ho letto un po’ per caso e ne sono stato travolto da un punto di vista razionale ed emozionale”. Con queste parole Silvio Orlando dichiara il suo amore per “La vita davanti a sé”, capolavoro di Romain Gary che porterà in scena al Teatro Comunale di Ferrara da giovedì 18 a domenica 21 novembre. Un monologo attraverso il quale l’attore e regista racconta la storia di Momò, “la storia di un bambino che ha tanta vita davanti e non sa come fare a viverla”. Pubblicato nel 1975 e adattato per il cinema nel 1977, al centro di un discusso Premio Goncourt, il romanzo segue le vicende di un bimbo arabo di dieci anni che vive nel quartiere multietnico di Belleville nella pensione di Madame Rosa, anziana ex prostituta ebrea che ora sbarca il lunario prendendosi cura degli “incidenti sul lavoro” delle colleghe più giovani. Un testo commovente e ancora attualissimo, che racconta di vite sgangherate che vanno alla rovescia, ma anche di un’improbabile storia d’amore toccata dalla grazia.
Qual è stata la scintilla che l’ha portata a scrivere questo lavoro?
La lettura del romanzo ovviamente, l’ho letto un po’ per caso e ne sono stato travolto, da un punto di vista razionale ed emozionale. Però soprattutto dal punto di vista emozionale. Devo dire che la storia di questo piccolo orfano che si aggira per la Parigi degli Anni ’70 alla ricerca di uno straccio di futuro, senza l’idea di come farcela e angosciato da tutta questa vita davanti a sé da vivere, è una cosa che mi ha mosso una commozione perenne. Ho pensato fosse materiale molto caldo da portare in scena.
Quando è nata l’idea che ha portato alla realizzazione del monologo?
Era il 2017. Sono stato chiamato a leggere alcuni brani ad un festival a Torino. Da lì è stato una specie di chiodo fisso e anche grazie alla stasi del Covid ho potuto metterci mano per realizzare la versione che vedremo in queste sere.
Come ha lavorato alla stesura?
Stiamo parlando di un capolavoro della letteratura, alcune cose andavano sacrificate. Ho cercato di seguire il filo rosso delle emozioni cercando di mettere dentro ciò che a me aveva particolarmente emozionato. Soprattutto l’elemento della mancanza, della perdita che è un sentimento che mi emoziona sempre molto. L’idea di perdere dei punti di riferimento e come poi attraverso le esperienze positive e negative della vita riesci a ricostruirti anche grazie a degli incontri. Questa è una cosa molto presente nel romanzo perché per l’autore il rapporto con la madre era tutto. Immaginate invece un bambino che non ha questo cuore emotivo. Così piccolo e così svantaggiato, un immigrato che si porta addosso tutta una serie di pregiudizi. Un bambino zero, eccezionale. Un essere umano attraverso il quale capiamo tante cose.
Pare fortissimo il legame con il mondo di oggi.
Più che mai. I problemi che viveva Parigi in quegli anni alla fine delle colonie tornano oggi e sono un tema mondiale, il vero tema dei prossimi decenni. Da un lato gli squilibri delle risorse crea aree di intere popolazioni che non riescono più a vivere in certi territori. Il nostro benessere, contemporaneamente, causa il malessere di chi vive in altre zone. E questo ci torna indietro come un boomerang con quella che viene vista come una sottospecie di invasione apocalittica. Ciò dimostra come il mondo oggi sia collegato. Questi temi sono quelli che oggi sembrano centrali nel nostro futuro. Da un lato come redistribuire le risorse e dall’altro gestire le tensioni che nascono da questi arrivi. Oggi più che mai il romanzo ci parla: lo racconta in maniera molto semplice, senza alcuna pretesa saggistica. Ci avvicina però alle persone mostrandoci come il loro dolore sia molto simile al nostro.
Perché ha scelto il monologo?
Se uno vede i film capisce come poi sia un libro complicato da portare in scena secondo una narrazione tradizionale. Sia il cinema che il teatro di rappresentazione ti portano verso la plausibilità, verso la realtà, verso il realismo. Invece qui stiamo parlando del mondo visto da un bambino di dieci anni. Un occhio a grandangolo. Una forma di realismo magico che allontana da qualsiasi forma di rappresentazione classica. Con il monologo si può riproporre il testo nel suo nucleo sentimentale che per me è centrale.
In scena è accompagnato da intermezzi di quattro musicisti che, grazie ad uno stile multietnico, evidenziano i momenti più drammatici e a volte comicamente tragici della storia. Qual è il ruolo della musica?
La musica riesce a dare un impatto emotivo fortissimo. Una sorta di teletrasporto nelle dimensioni più diverse. Questa è la forza della musica, agisce su corde anche non razionali. Un aiuto potente per portarci nelle parti più intime del racconto.
Tornare a teatro dopo tanto tempo che sensazione dà?
Spero che le persone tornando a teatro capiscano la forza e la bellezza di stare insieme a teatro a condividere un’emozione, un’esperienza. Un’esperienza unica che si può vivere solo lì. Il teatro si garantisce la propria sopravvivenza per essere un linguaggio istantaneo e di presenza. Spero che le persone che hanno dovuto fare a meno di questa esperienza riassaporino quello che magari davano un po’ per scontato.
BONUS: Un piccolo estratto dello spettacolo, andato in onda su Rai 3 ad inizio 2021
INFO:
https://www.teatrocomunaleferrara.it/events/event/la-vita-davanti-a-se/