Il solito profumino della cucina che si mescola a quello del legno, e del vino. L’aroma tipico del nostro Jazz Club ferrarese si arrampica sul mio cappotto e mi preme verso il tepore della sala a piano terra. Nel famoso gioco di voci e di suoni inventato dal soffitto convesso del Torrione (o concavo, dipende da che parte stiamo in effetti), mi accoglie un vicinissimo ‘Ancora 10 minuti’ che mi accorgo essere rivolto al duo che sto per ascoltare; li intravedo, come immaginavo, molto lontani dalla porta e da me.
Per chi non lo sapesse: nella sala a piano terra del Jazz Club, uno strano fenomeno fisico, scatenato dalla forma del soffitto, fa viaggiare le voci da un lato all’altro della volta; capita, sedendo al tavolo, di sentire risate di passaggio, un morso di qualche discorso, una voce seria e profonda, senza mai capire bene a chi appartengano, come frequenze di una radio impazzita.
I 10 minuti passano veloci tra i soliti saluti ospitali.
Sotto Piero Bittolo Bon e Andrea Grillini – per noi oggi Spell Hunger – prendono posizione. Sopra è assopita nella penombra la mostra ‘Espedienti per un brano jazz’ dell’artista-fumettista Maurizio Lacavalla, a cura di Eleonora Sole Travagli.
Salgo le scale accompagnata dal lento eco campionato delle percussioni. Le tavole si svegliano quando Francesco Bettini, direttore artistico del Jazz Club da sempre (almeno da quando io non vedevo l’ora di sentirmi ‘grande’ abbastanza da confondermi tra il pubblico del Jazz Club) non accende le luci della sala concerti. Sotto si intrecciano sax e batteria. Sopra spiccano le nicchie illuminate della balconata e inizia il mio tragitto circolare.
‘Il progetto nasce in maniera inaspettata – rievoco le parole di Maurizio, raggiunto telefonicamente pochi giorni fa -. Del jazz conoscevo poco; ha sempre fatto parte del mio mondo ma in maniera laterale. In questa occasione ho dovuto studiarlo più a fondo. Ho subito trovato molti punti di contatto con gli strumenti fisici – sax, tromba… Il cugino di mia mamma suonava il sax: un’ombra che mi aleggiava intorno, mai esplorata prima d’ora. Ho iniziato ad ascoltare, collegare punti sparsi: mi sono reso conto che in realtà conoscevo cose ma non sapevo collocarle’.
Sotto il ritmo incalza con decisione ma, sopra, io proseguo a passi lenti tra le nicchie, catturata dalle figure in bianco e nero.
‘Nella mia ricerca – continua Maurizio -, sono incappato subito nel documentario di Franco Maresco, che è uno dei miei registi preferiti, su Tony Scott. Ho scoperto una storia magnifica e un musicista incredibile, che non conoscevo. Le 16 tavole esposte sono legate da una storia (e in questo si dimostra utile l’allestimento a cerchio) che è nata dalla mia volontà di omaggiare queste grandi personalità del jazz: proprio da Tony Scott, passando per altri nomi noti, a John Zorn, che appartiene di più alla mia cultura musicale. Inizialmente non sapevo come avrei strutturato il lavoro: avevo in mente dei ritratti, non necessariamente di visi, ma anche dettagli. A proposito di Zorn, ho scoperto questa sua particolare posizione delle mani sul pianoforte e ho voluto riprodurla, estrapolandola dal contesto’.
Sopra, fisso la cornice che contiene le mani di Monk sospese sulla loro ombra; la silhouette scura sotto le dita ricorda i tasti neri del pianoforte. Al piano terra, l’eco elettronico del sax di Bittolo Bon sfida la batteria di Grillini che risponde a tono.
‘Avevo altro spazio da riempire: mi mancavano alcune tavole – mi accompagna la voce di Maurizio, mentre le note del duo riducono la loro intensità -. Ho preso in mano un libro molto caro, la biografia di Gregory Corso. Ho trovato alcune poesie che non avevo mai letto bene, proprio dedicate al jazz. Una si chiama Per Miles. Letta e riletta, sono partito dalla raffigurazione dei primi tre versi. Poi li ho rimaneggiati. Ho cambiato l’ordine delle parole, le ho spostate, ho spostato le virgole, sostituito alcune lettere, ho iniziato a farle mie proprio come si fa con gli standard jazz. Così è nata la seconda serie: 7 tavole che rappresentano l’evoluzione dei tre versi della poesia fino ad arrivare ad un paesaggio marittimo. Dall’atmosfera un po’ cupa, nera, dei versi originali, sono arrivato da tutt’altra parte. Il mare, tra i miei luoghi preferiti, chiude il percorso’.
Così Maurizio ha impiegato 24 giorni della sua arte, consecutivi – chiuso in casa, racconta – per produrre le 16 illustrazioni, senza sapere dove sarebbe arrivato, una volta partito per questo suo viaggio in china.
‘Ho lavorato un po’ sui titoli in modo che offrissero un tassello in più – riprende il ricordo della chiacchierata mentre leggo la frase della poesia, così come Corso la intese -. Anche sui titoli ho giocato molto con idea dell’improvvisazione jazz attraverso la punteggiatura, la sostituzione di lettere e parola. Ho sempre avuto una passione per i titoli lunghi perché rappresentano un piccolo libro; i titoli brevi sono molto emotivi, i titoli lunghi aprono la porta magnifica della narrazione. Anche il titolo – ‘Espedienti per un brano jazz’ – rientra in questa riflessione e aggiunge informazioni alla mostra. Non ho ancora muscoli su questa materia quindi i miei sono davvero espedienti’.
Sopra, mi stupisco davanti all’evoluzione della parola ‘profondo’ nelle tavole di Maurizio, così organica e inaspettata allo stesso tempo. Sotto, l’intensità della musica torna ad aumentare accompagnando anche me in un crescendo; io che mi tuffo nel profondo del suono e del mare, da qui, dalla balconata.
Maurizio oggi è il frutto di un percorso dallo straordinario sapore antico, che ha saputo magistralmente rivedere secondo i suoi canoni contemporanei, e con una dose di insolita maturità. Dalla passione per il disegno, agevolata da famiglia e insegnanti durante la scuola dell’obbligo, Maurizio arriva a collaborare con un artigiano di Barletta, sua città natale, e a scoprire le peculiarità del vero lavoro in bottega. Dall’artigianato all’Accademia delle Belle Arti di Bologna, il passo non solo non è così ampio, ma forse è anche sostenuto da una forza maggiore. Questo dualismo caratterizza ancora oggi il suo lavoro e la sua arte: ‘Oggi faccio illustrazioni anche per l’editoria scolastica. Lavori completamente differenti dai miei. Il mio approccio al disegno non è pop, sui libri di scuola, invece, serve qualcosa di facile e appariscente. È puro artigianato, il mio pensiero si spegne e viaggia la mano. È una palestra sia sotto l’aspetto artigianale che sotto quello logistico: mi ha aiutato ad essere più ordinato, per dire. Anche io all’inizio ho subito un conflitto tra queste due anime, poi ho capito che la direzione pura è spesso un’arma di difesa: facile dire non fa per me quando la realtà è che non so fare’.
Sopra, un ultimo sguardo al mare che chiude l’improvvisazione di Maurizio mentre sotto risuona ancora l’improvvisazione del duo Spell Hunger.
Riprendo le famose scale a chiocciola e man mano ricostruisco l’immagine affascinante del pubblico dall’eleganza indifferente, forse un po’ antica, seduti ai tavolini. Questa è l’immagine che conservo da sempre nella mia testa quando penso alla mia passione per il Jazz Club di Ferrara, assieme a quella dei musicisti dal talento innato, di quelle piccole leggende quotidiane, capaci di trasformarsi nella relazione così stretta, così diretta, con la loro musica ed il loro strumento. Ora, vittima felice della riflessione e del talento di Maurizio Lacavalla, non potrò fare a meno di ridurla pian piano alle onde che scivolano sulla spiaggia seguendo il ritmo inaspettato di un’improvvisazione naturale.
La mostra ‘Espedienti per un brano jazz’ è stata realizzata in collaborazione con BilBolBul – Festival internazionale dell’illustrazione e del fumetto – ed Endas Emilia-Romagna, ed è visitabile durante gli orari di apertura dal Jazz Club Ferrara.