Nella complessità delle nostre vite, esistono infiniti topos, ovvero i temi ricorrenti, quelle argomentazioni ripetibili all’infinito in cui chiudere un tema, senza andare oltre, senza approfondire. I topos sono la base dei romanzi e delle forme di racconto che abbiamo: il viaggio dell’eroe, la principessa da salvare, il discorso del cattivo che pare avere vinto e sarà poi sconfitto in un ultimo slancio quando tutto pareva perso.
Parlando di case popolari, il topos è chiaro: “bisogna costruire più case popolari”. Una frase asciutta, ripetuta in talk show, comizi e dibattiti in piazza, a spiegare l’importanza di un tema che poi, per fortuna, per gran parte di persone non diventa che una invisibile parte delle nostre città e dei nostri paesi, in un misto di (necessaria) assistenza e (forse malcelata) invidia verso chi può accedere ad un alloggio statale.
Anche se, ovviamente, per accedervi, bisogna essere in difficoltà e invidiare chi sta peggio di noi è bel dilemma morale (o dovrebbe esserlo, ma non abbiamo mancato di osservare per anni migranti morire lungo il Mediterraneo, considerandoli pericoli per la nostra vita).
Una storia che accompagna l’Italia praticamente dalla sua fondazione, in particolare da una prima legge, per iniziativa di Luigi Luzzatti, nel 1903 e che ci porta, qualche decennio dopo alla fondazione di ACER (Azienda Casa Emilia-Romagna), che compie nel 2020 cento anni, celebrati quest’anno con una serie di eventi (e una pubblicazione)
Per avere uno sguardo più approfondito, senza quel topos, ci siamo rivolti a Diego Carrara, direttore di ACER Ferrara, per capire cosa sia l’alloggio popolare, oggi.
Partiamo dai numeri: quanti sono oggi gli alloggi popolari nella provincia di Ferrara?Facendo un pò di storia, in questi cento anni, nella regione Emilia Romagna, sono stati costruiti tra gli 80 e i 100 mila alloggi popolari. Di questi però almeno la metà sono stati venduti, perché la leggi consente la costruzione di alloggi con possibilità di riscatto e una parte di edilizia residenziale pubblica è stata quindi venduta nei decenni. Gli alloggi che fanno parte del patrimonio attuale in regione sono circa 56mila.
Bologna fa la parte del leone con 18-20 mila, mentre Ferrara ha circa 6700 alloggi ed è la seconda dotazione patrimoniale dopo il capoluogo.
L’offerta viene regolata da un bando, con i cittadini che dichiarano la propria situazione socio- economica, entrando in una graduatoria tramite una legge regionale, la legge 24 che stabilisce con i vari regolamenti quali sono le caratteristiche che bisogna avere per entrare in graduatoria ed entrare in questi alloggi.
Qual è la composizione al momento degli alloggi? Che persone ci abitano?
Il mondo è cambiato, negli ultimi decenni. Passiamo da una utenza prevalentemente di famiglie di lavoratori, negli anni Cinquanta e fino agli anni Settanta, famiglie con un nucleo tipico, due genitori e due figli, fino all’ultimo decennio dove per tutta una serie di motivi (tra cui la permanenza di chi è entrato negli alloggi anni fa) possiamo dire che oggi quasi il 30% della composizione degli alloggi popolari sono anziani (ovvero over 65). Questa quota un tempo era sotto il venti per cento e questo vuol dire che per questi anziani, che in qualche caso sono anziani soli, c’è una difficoltà a mantenersi e spesso sono persone che chiedono anche a volte di essere spostati in luoghi diversi, più vicini alle proprie esigenze (ad esempio essere più vicine ai servizi sanitari).
C’è un tema di dotazione degli alloggi che devono soddisfare esigenze che sono cambiate e c’è il tema della sostituzione degli alloggi, a seconda delle diverse situazioni che hanno le persone che ci vivono.
Non è quindi solo questione di avere una casa, ma anche di dove e in che contesto: un anziano o una famiglia numerosa hanno esigenze diverse.
Assolutamente. Gli alloggi sono occupati oggi in maggioranza da una quota femminile, per il 56%; c’è una componente di popolazione straniera che viaggia intorno al 10% e per il resto parliamo di nuclei familiari molto più ristretti di un tempo, magari due persone con un figlio, ma già più raramente: troviamo anche persone sole, sempre più frequentemente. Questo spaccato è molto cambiato rispetto a 20-25 anni fa.
La pandemia ha cambiato qualcosa nelle dinamiche della popolazione che vive negli alloggi popolari?
Quest’ultimo anno ha evidenziato dei problemi che erano già latenti: la necessità di strutturare dei quartieri che abbiano vicino dei servizi di carattere sociale e sanitario. Il fatto di dover stare in casa ha costretto ad una sorta di isolamento una quota di anziani, una quota che abbiamo cercato di assistere durante la quotidianità. Una parte di queste persone sono seguite dai servizi sociali, una parte invece no, per gli ovvi limiti che questi servizi hanno e che non bastano a coprire tutti. Nel momento in cui si è rimasti chiusi in casa queste persone hanno avuto necessità nuove: ad esempio di un aiuto per la spesa. Anche ad esempio in termini di isolamento per i nuclei più fragili il quadro è stato piuttosto complicato.
Ci sarebbe da evidenziare il tema della popolazione che oggi vive negli alloggi popolari in provincia: la metà della popolazione che noi abbiamo (circa 13mila persone) è in città, metà è sul territorio provinciale, da Comacchio a Copparo a Cento a Ostellato. Per chi vive in contesti più piccoli e isolati, piccoli comuni come Iolanda di Savoia e Masi Torello le cose sono state ancora più complesse rispetto alle facilitazioni dei servizi che una città riesce ad offrire.
Sembra di capire, come è naturale, che l’impegno di ACER vada a focalizzarsi su quelli che sono gli anelli più deboli della società: donne, anziani, giovani soli, persone ai margini della società.
Mentre anni fa c’erano famiglie operaie, di lavoratori raramente precari, oggi la complessità è proprio nella precarietà del lavoro che ha reso molto più fragili tutte le persone che vivono nell’edilizia popolare. Ci sono dei temi, come quello della morosità che si stanno sempre più allargando, a partire dalla crisi economica del 2008, dopo di cui le condizioni sono sempre più peggiorate.
Chi oggi fa domanda nell’edilizia popolare ha un ISEE inferiore rispetto a quello di un tempo.
ISEE che oggi arrivano fino a 7500 euro nel 60% dei casi, con una serie di persone che fatica a rispettare anche il mantenimento dei 110, 120 euro di canone medio degli alloggi.
In queste situazioni di maggiore disagio c’è anche una assistenza in termini di aiuti per le bollette o le spese quotidiane?
Certo, esiste: questa cosa è evidente quando c’è una cosiddetta povertà emergente: famiglie o persone che non riescono a far fronte alle spese e dove i servizi sociali sicuramente coprono una parte di queste spese, senza poter però far fronte a tutte le difficoltà. Il fenomeno della morosità e talvolta anche dello sfratto è presente anche nell’edilizia pubblica.
Potendo scegliere un primo punto di intervento per il futuro da parte di ACER, quale sarebbe?
La prima direzione è quella di riuscire a coprire tutti gli interventi manutentivi degli alloggi e quelli del recupero degli alloggi vuoti.
Quindi non tanto il tema della costruzione di nuovi alloggi ma il mantenimento e il recupero del patrimonio esistente.
Esatto e anche il rendere più efficiente questo patrimonio. È giusto che io possa rendere la casa o il prefabbricato maggiormente efficiente a livello energetico, in modo da rendere più sostenibile e migliore la vita di chi abita quell’alloggio.
Il tema del superbonus 110% ha coinvolto l’edilizia popolare?
Si, l’edilizia popolare è presente a livello normativo. Abbiamo un progetto su viale Krasnodar di 16 edifici, attualmente in gara, dove contiamo entro il 2022 di poter partire con quel soggetto che si farà carico di recuperare circa 490 alloggi, un numero molto importante. Questo va di pari passo con la riqualificazione urbanistica dell’area, quindi più verde, più giochi per i bambini, cose che migliorerebbero la qualità di vita dell’area, dell’abitare intorno.
Tema che si intreccia con la città dei 15 minuti, di cui si è molto parlato negli ultimi anni, cercando di non dividere più le città per settori, ma di rendere ogni piccola area autosufficiente nei servizi di base.
È esattamente il tipo di visione corretta per un miglioramento delle politiche di alloggio popolare.
C’è supporto a livello di istituzioni?
Ci sono i fondi del PNRR, noi pensiamo che si possa e debba aderire, pur con la presenza di vincoli non indifferenti: si parla di oltre 100 milioni di euro da poter spendere, un intervento che non va assolutamente sprecato.
Anche perchè in ottica lunga andiamo avanti verso una sempre maggiore fragilità delle generazioni più giovani.
Esattamente, questo è un dato acquisito: i lavoratori vengono pagati di meno e peggio. Certi precari o rider non potranno permettersi altro che un alloggio popolare. È opportuno che questo patrimonio venga mantenuto efficiente per il fabbisogno della popolazione che è in aumento. La regione stima che ci sia bisogno di 40/50 mila nuclei oltre i circa 50mila già presenti. I comuni devono avere un maggiore interesse alla tutela del loro patrimonio popolare, le regioni devono fare programmazione sugli inquilini, con una programma che nel tempo dia delle risposte, che possono venire solo facendo programmazione a lungo termine, almeno per il tempo di una legislatura e non con progetti che guardano a pochi mesi.
INFO:
Il sito di ACER Ferrara
Il bilancio di sostenibilità 2018-2019 di Acer