Teatro nuovo, Ferrara, una sera di inizio settembre. Ci sono momenti in cui la città pare entrare in un multiverso differente dalla quotidianità, da questa ripartenza fatta di nuove regole di socialità.
Uno è simboleggiato ad esempio dall’istante in cui Andrea Amaducci, noto performer ferrarese, chiede a tutti di tornare bambini per un istante e lanciare uno dei settecento aeroplanini di carta preparati dietro i sedili del teatro per creare attivamente quello che è il nodo centrale del suo talk: le connessioni tra le persone.
Volano per un attimo (e poi ripartono, ripartono) questi piccoli progetti di carta che vogliono essere un concetto, l’illuminazione percepita un giorno da Amaducci: ciò che siamo è il risultato delle interazioni tra le persone che abbiamo incontrato nelle nostre vite. I nostri gusti, le nostre esperienze, il vissuto: il nostro io è meno voluto di quello che pensiamo, è la somma del nostro noi.
Questa terza edizione di TEDxFerrara, circuito indipendente della galassia TED, basate sul concetto di una libera esposizione di idee da parte di speaker scelti con un minutaggio fissato non oltre i 18 minuti, è stata prima di tutto uno sguardo (forse siamo sognatori) al futuro, in piccolo della nostra società.
Età media dei presenti? Potremmo dire tra i venti e i quaranta anni. Code ordinate e in anticipo rispetto ai tempi. Nessuna polemica legata al green pass. Orari rispettati al millimetro, come nemmeno i teatri stessi ormai fanno: alle 20:30 in punto si spengono le luci, come da programma scaricabile con QR code. In omaggio, una mela a km zero (anzi, 6,1 km dal teatro), acqua e dei semi da piantare.
È la generazione post covid ad assistere (vogliamo iniziare a raccontarla così?), è la generazione degli esclusi dal covid a gestire l’organizzazione (i giovani), è la generazione adulta del Covid a parlare (una fascia stimabile tra i 25-40 anni che si alterna sul palco) ed è la generazione che vuole ripartire.
Il tema di quest’edizione è RESTART ma forse non era nemmeno la parola più giusta: UNA NUOVA SOCIETÀ DI CONDIVISIONE era un possibile titolo, a pensarci. Facciamo allora qualcosa di estremamente sbagliato: tracciamo un filo immaginario e arbitrario di ciò che è rimasto in mano dagli otto discorsi che abbiamo ascoltato.
Davanti a noi abbiamo visto e percepito nel pubblico il desiderio di una società:
- che sa dialogare, ripensando la rete e le sue dinamiche di comunicazioni (Giovanni Bocca Artieri e il suo manifesto delle Parole O-Stili) usandola come base per l’attivismo senza che si riduca tutto ad un click, imponendo poi cambiamenti nella vita reale (Silvia Semenzin e l’attivismo digitale)
- che ripensa la figura e i ruoli delle persone: cosa vuol dire comportarsi da uomini (Pierluca Mariti), come disporre del proprio corpo di donna senza giudizi (P*ttana e Fiera, con Giulia Zollino), come vivere e lavorare senza giudicare i corpi (Edoardo Mocini con una analisi dello stigma del corpo grasso, da medico).
- che guarda ad un futuro dove la tecnologia migliora e non intossica il dibattito (Barbara Zalan e l’ingegneria dei tessuti, per guardare ad una medicina personalizzata e digitale, che possa osservarci e curarci seguendo nuove strade, come le stampanti 3d)
- che si riappropria dell’arte e che sa, citando Calvino “Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio” nelle parole di Maria Vittoria Baravelli, che invita a tornare ad essere presenti davanti a qualcosa di bello.
Insomma, quasi una risposta al titolo del Ted di Andrea Amaducci, quel “Lei non sa chi sono io” che perde il sottotesto italiano di lotta di potere e diventa riflessione (perché nemmeno noi sappiamo chi siamo, forse solo chi vorremmo essere).
Fosse vero, ci piace sperarlo, io o noi siamo un piccolo popolo che presto diventerà maggioranza nella società, che di quei concetti ha voglia di farne uno statuto: reimparare a dialogare, usare la tecnologia come veicolo di lotta e non di marketing, smettere di giudicare idee e apparenze, ridare a cultura e educazione ruoli centrali, ma non per modo di dire: centrali, davvero.
E fa strano, al tramonto di un mese che ci ha visto spettatori inermi di un Afghanistan tornato alle libertà violate, che le vibrazioni maggiori tra il pubblico siano arrivate da quei momenti in cui si è dibattuto della libertà della propria identità: forse è questo il grande tema del futuro, forse non c’è più voglia di giudizio e di regole.
Gli applausi più sentiti sono stati rivolti a Giulia Zollino, orgogliosa sex worker e Pierluca Mariti, comico, quando in sostanza hanno gridato, con emozione o ironia: non giudicateci per quello che siamo, soprattutto non sulla base delle gabbie che la società costruisce intorno al concetto di giusto e sbagliato.
Forse il futuro può essere una comunità che non punta il dito, ma che ragiona come un gruppo, a protezione di tutti. Dopo un inizio di millennio caratterizzato dall’IO (un selfie travestito in mille forme) questo TEDxFerrara ci lascia un forte senso di NOI.
Ordinati, educati, con la mente aperta e dei semi in mano: sono serate che servono a far germogliare un mondo nuovo: la ripartenza è ora.
Speaker dell’edizione, condotta da Federica Lodi: Giovanni Boccia Artieri, Barbara Zavan, Giulia Zollino, Andrea Amaducci, Silvia Semenzin, Edoardo Mocini, Maria Vittoria Baravelli, Pierluca Mariti.
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