

Quante cose possono succedere in 90 lunghi anni? Eppure loro non hanno perso un briciolo di entusiasmo in tutto questo tempo e soprattutto non si sono mai fermati. Oggi parliamo di una passione, quella per il palcoscenico e di una lingua che quotidianamente parlano in pochi: il dialetto ferrarese.
Pochi giorni fa, infatti, sono andata a trovare Rossana Spadoni, una simpatica signora che alla veneranda età di 90 anni si occupa ancora di gestire la Compagnia Dialettale Straferrara, e che ha partecipato alla bellezza di 3300 spettacoli. Pensate che Rossana è nata esattamente nel 1931, cioè l’anno in cui suo padre Ultimo Spadoni decise di fondare la compagnia!

Rossana mi accoglie nel suo salotto ricolmo di libri, premi, filmati e cimeli di famiglia e inizia a raccontare… «Mio papà faceva già parte di un circolo chiamato L’Estense, che si occupava di manifestazioni sportive e culturali, dove mettevano in scena anche rappresentazioni teatrali, recitando però in italiano. Un giorno ebbe l’idea di provare a recitare in ferrarese, così radunò dieci persone il 14 agosto 1931 e insieme costituirono una fondazione: erano Mario Bellini, Piero Bellini, Renato Benini, Leonina Guidi Lazzari, Arnaldo Legnani, Umberto Makain, Norma Masieri, Erge Viadana. Da quel momento partì l’attività ufficiale della Compagnia, che per la prima volta percepiva introiti, quindi il pubblico pagava e gli attori venivano pagati, tutto in regola. Il primo spettacolo debuttò giovedì 3 settembre 1931 a Pontelagoscuro, Padar, fiol e Stefanin di Alfredo Pitteri, storico autore e attore.»

Rossana mi racconta che nel corso degli anni suo papà ha segnato tutto, dalla prima all’ultima recita, e così continua a fare lei, che negli anni ha accumulato ben 42 registri. «Mio padre segnava l’incasso, le spese, il nome della commedia, i compensi degli attori, e a volte anche i giudizi. Tra le varie date c’è anche domenica 22 aprile 1945, il giorno della prima granata su Ferrara, quando arrivarono gli americani. In quel momento stavamo recitando alla Bersagliera, perché noi non abbiamo mai, mai, mai smesso. Andavamo in giro in bicicletta o con un camion se riuscivamo a trovarlo. Scrive Ultimo nel registro:
Siamo al 22 aprile, sempre bel tempo, molti allarmi, grande granata durante il primo atto della commedia alla Bersagliera.
Il bel tempo non era un buon segno, perché era più probabile si verificassero bombardamenti. L’aereo da caccia, che noi avevamo soprannominato Pippo, era il più pericoloso perché arrivava senza alcun allarme, e mitragliava dove capitava, una volta anche sulla compagnia appunto. Per fortuna però son riuscirono a ripararsi dentro a piccoli buchi ricavati lungo le strade. Due attori erano vestiti da prete e un bambino che li vide disse con il papà “Guarda al pisto com’al cor!” (Guarda il prete come corre!)».
Con l’arrivo della guerra, Rossana racconta che la sua famiglia era sfollata a Migliarino, e che la prima notte in cui arrivarono dormirono nei bellissimi camerini del teatro, frequentati anche dalle grandi compagnie di Prosa e Operetta, buttando materassi sul pavimento. Anche a Migliarino suo papà riuscì a radunare un gruppo di persone.
E il suo debutto? «Da piccola seguivo sempre la compagnia – spiega Rossana – recitava mio papà e anche mia mamma, e avevo imparato qualche canzone del varietà. Un giorno, un attore altissimo che duettava nelle operette, fece un duetto con me che avevo 4 anni per fare uno scherzo a mio papà. La cosa piacque così tanto al pubblico che continuammo a riproporlo e così cominciai a recitare, inserita nel numero musicale nel quale cantavo “Conosco una fontana”. Per un’epoca in cui non si era abituati a vedere bambini sul palco, una bambina che cantava creava scalpore.»
Quanti spettacoli erano in calendario? «Almeno due a settimana e in certi periodi anche cinque. In questi 90 anni abbiamo debuttato con 108 commedie in dialetto e 23 in italiano. Durante il fascismo non si poteva recitare in dialetto, anche se noi in mezzo agli spettacoli buttavamo sempre qualche commedia dialettale, rischiando un po’, ma per fortuna non abbiamo mai avuto guai. Abbiamo recitato in 148 luoghi che chiamiamo piazze, anche in giro per l’Italia in città come Roma. Pensi che una volta tutti i paesi avevano cinema e teatri e a Ferrara c’erano anche diversi spazi estivi, dove facevamo la stessa commedia per circa una settimana. Una volta uno degli attori si è sbagliato, anziché andare al Panfilio è andato a San Giorgio… ci si muoveva lentamente in bicicletta e quindi nel frattempo mio papà, che non lo vedeva arrivare, ha pensato di fare lui la parte dell’attore che mancava. Dopo il primo atto quando poi l’attore era riuscito ad arrivare il personaggio venne restituito, e alla ripresa dello spettacolo un bambino in prima fila urlò: “Beh ma l’ha cambia faza!”.»

Negli anni anche suo marito Beppe si è unito alla compagnia, e in un secondo momento ha preso in mano l’organizzazione. «Mio marito lo conobbi al Sanatorio di Tresigallo durante uno spettacolo di beneficienza, (167 in 90 anni) noi eravamo soliti organizzare spettacoli di beneficienza, andavamo nelle case di riposo… siamo stati anche al manicomio. Quella sera avevamo preparato tante piccole scene, spettacolo che facciamo ancora e chiamiamo Straferrara in cabaret, e quella volta c’era anche una scuola di canto e tra gli allievi c’era Beppe Faggioli. Siccome il nostro sketch necessitava di comparse, qualcuno gli ha chiesto se volesse partecipare, e lui improvvisò una piccola parte. Al nostro regista è piaciuto molto e così l’ha invitato a recitare con noi. Ha cominciato con piccole parti, fino ad arrivare a parti sempre più importanti. Nello spettacolo Gli idei ad Pirocia, una specie di maschera di cui abbiamo fatto più di 1000 rappresentazioni, io ero la ragazza, avevo 20 anni e Beppe, il ragazzo, e aveva 23 anni. Ovviamente dovevamo interpretare una scena d’amore dove alla fine ci si doveva abbracciare. E a forza di abbracciarci, ci siamo fidanzati e poi sposati. Quando poi mio papà ha iniziato ad invecchiare e non se la sentiva più di avere una responsabilità simile, (una volta era difficoltoso anche solo organizzare le prove con quindici persone perché non tutti avevano il telefono) Beppe è diventato il responsabile.»
Gli autori più messi in scena? «Senz’altro Alfredo Pitteri, uno dei fondatori della compagnia, Augusto Celati, che è stato uno dei più rappresentati, (mobiliere di mestiere) ma anche Bertoni, e mio marito Beppe. Mio papà e Beppe in realtà adattavano più che scrivere. Venti anni fa abbiamo ritrovato vecchi copioni che avevano bisogno di un aggiornamento. E mio marito era molto bravo a fare questo.»
E in tutti questi anni dove avete recitato in città? «Per diversi anni abbiamo recitato al Parco Massari, dove era stato ricavato un grazioso spazio, grazie all’aiuto dell’assessore dell’epoca, Mario Roffi. Facevamo cinque spettacoli diversi alla settimana. Abbiamo guadagnato davvero tanti soldi che negli anni ’70 abbiamo speso per ristrutturare lo spazio estivo del Teatro Nuovo quando non ci hanno più concesso il Parco Massari. Il proprietario ci lasciò lo spazio senza farci pagare l’affitto, a patto che ci fossimo occupati della ristrutturazione. E lì siamo rimasti per diversi anni, fino a quando questo signore venne a mancare, da quel momento, i nipoti hanno iniziato a chiederci l’affitto e a noi non conveniva rimanere lì. Per un po’, finché c’erano, recitavamo alle feste dell’Unità, poi finalmente siamo approdati alla Sala Estense, dove tutte le domeniche da novembre a marzo organizzavamo il Festival dal dialet, e dove abbiamo fatto l’ultimo spettacolo prima della pandemia il 23 febbraio 2020.
Rossana poi mi confida che per i 90 anni della Compagnia, festeggiati ufficialmente lo scorso agosto, vorrebbe creare un documentario che raccolga tutti gli avvenimenti importanti. E riguardo al futuro della compagnia? Dopo quasi 2 anni di stop spera di poter tornare davvero a recitare, nonostante negli anni gli spettacoli siano diminuiti nettamente. La sua voglia di calcare di nuovo il palcoscenico, e quella degli altri 24 attori della compagnia, è immensa, anche perché ci sono ben 24 commedie in repertorio che aspettano solo di prendere vita per raccontare una storia.

Ragazza piccolina, laureata in comunicazione e nata nella città degli Este nel 1994, a cui piace raccontare, leggere e guardare storie, fare gite, mangiare i cappellacci con la zucca e vivere in attesa dell’estate.