Recinti
Qualche sera fa ho accompagnato mia figlia, cinque anni, ad una serata nel parco sotto al grattacielo. C’era il primo spettacolo della manifestazione “Favole sotto gli alberi” un evento che esiste da anni, in un posto che sta cambiando, come tutta la città, come ogni città. Questo parco, ora Parco Coletta, sta vivendo una serie di attenzioni, fondamentalmente un proseguimento (diverso) di quel percorso chiamato Giardino Wow che voleva ridare vita a quartieri in difficoltà, con l’idea di riempire di attività i luoghi con più disagi.
Ci eravamo già stati la settimana precedente ma la strada da percorrere per entrare era diventata più lunga: c’è una nuova recinzione che ormai costeggia l’intero parco attorno al grattacielo e costringe ad un unico accesso, un unico varco dove poter accedere, quasi fosse un corridoio dell’Ikea, per intenderci.
Ne ho parlato con mia figlia, poco convinta di quella limitazione e le ho spiegato che l’idea è quella di controllare, poter chiudere, gestire. Non ne siamo usciti convinti da quella conversazione, perché è un parco, uno spazio libero e quel ferro attorno all’erba dà la sensazione di essere respingente, più che accogliente.
Riflettendoci, eravamo esattamente sullo stesso binario mentale di certi avvenimenti che avvengono in questi giorni nella nostra piazza, nei negozi e nei luoghi online legati a locali della città. Ovvero a persone, non una maggioranza, che gridano contro il vincolo del green pass che da oggi sarà necessario per accedere ad alcuni servizi o luoghi. La sensazione che i recinti, i limiti, siano qualcosa di negativo è innata negli istinti morali dell’uomo e va compresa. Però queste due gabbie, una di ferro e una tecnologica, sono ben diverse.
Come si muove l’insofferenza
Da una parte nei riguardi di certi eventi viene da pensare: non ha senso dare visibilità. Perché la visibilità porta credibilità e seguito in un fuoco che si autoalimenta. Dall’altra c’è la realtà: due locali, I Piaceri di Lucrezia a Ferrara e La Zanzara a Codigoro hanno ricevuto ondate di critiche e recensioni negative online dopo aver dichiarato convintamente l’adesione al green pass per entrare nei ristoranti (ovvia, è una legge, non una scelta).
Un bel danno economico, visto che spesso i turisti vanno a vedere le recensioni di altri utenti prima di scegliere dove fermarsi, quindi crollare in classifica di colpo sotto una pioggia di voti negativi significa perdere clientela ignara dell’accaduto.
Poi c’è un ragazzo della nostra città, Marco Natali di anni ventidue, studente di Chimica all’Università di Ferrara, che incontra a Lodi per caso in una piazza una manifestazione analoga di persone “no green pass” e si sente in dovere di sfidare una folla inferocita e prendere il mano il microfono per dire: “Mio padre, medico, è morto di Covid e se avesse potuto, un anno fa, vaccinarsi sarebbe ancora vivo”.
La sensazione è che serpeggia, latente, una certa rabbia. Non c’è solo l’ondata di recensioni negative: ci sono gruppi Telegram e Facebook che pubblicano volti, nomi, indirizzi delle persone che “aderiscono alle dittatura sanitaria”, come se per un’impresa fosse una scelta e non un dovere legislativo, come se disobbedire alla legge in questo caso fosse un atto di liberazione, di lotta contro il regime, di necessaria democrazia.
Ci sono regolarmente manifestazioni, sparute ma non così isolate, ormai quasi ogni fine settimana, ci sono le catene via whatsapp, c’è una serie estesa di argomentazioni pronte da sfoderare contro questa cosa che oggi, sei agosto, inizia a dividere una città in due blocchi.
Ma i recinti non sono sempre uguali. E questo andrà aperto assieme
C’è rabbia insomma e il timore è che sia pronta ad esplodere, non con fragore, ma lentamente, come elemento di non unione, dei gruppi che prendono una strada e altri che scelgono quella opposta. Si potrebbe obiettare: se non si fosse scelta la strada dell’attuazione del green pass, non ci sarebbero state queste problematiche. Una teoria debole.
Il dover limitare, dividere e porre restrizioni è vincolo necessario a consentire alla maggioranza di poter tentare di non chiudere più e di di iniziare un percorso di convivenza e infine distacco da questa pandemia. Oggi è il primo giorno, il sei agosto e cambia qualcosa.
Ne sa qualcosa anche lo sport, che si trova a chiudere a chi non è in possesso di green pass anche le corse all’aperto, anche se questo può voler dire rinunciare al già difficile equilibrio economico di partenza. Come sta capitando ad esempio al Mesola Castle Trail che si svolgerà nel paese in provincia di Ferrara esattamente il giorno successivo all’esordio del Green Pass nelle nostre vite, con le ovvie conseguenti polemiche di chi dovrà o sceglierà di stare fuori.
Ed eccoci al punto, alle due recinzioni, alla loro diversità. Come una casa o una prigione, entrambe spesso circondate da un muro, un cancello, una porta d’ingresso. Eppure la casa è protetta per essere un luogo sicuro, accogliente, dove poter vivere le proprie libertà senza vincoli. La prigione invece è un luogo artificiale dove (in linea di massima) si entra per errori personali e con alcune limitazioni personali che lo Stato si prende in mano per proteggere la comunità da quell’individuo. In attesa, si spera, che possa riabilitarsi e tornare nella società diventando un membro attivo che non nuoce ad altri.
La scelta del Green Pass nei luoghi di spettacolo, nei ristoranti, nelle piscine è, nelle intenzioni, l’unica che consente di poter evitare nuove chiusure, limitazioni, interruzioni di attività come la scuola o lo sport.
È un concetto di comunità: vincolare (e stimolare) quella minoranza ancora troppo ampia (dati aggiornati sulla campagna vaccinale italiana qui) per consentire a tutti gli altri di non doversi più fermare. Scegliendo, quindi, si spera, di marciare in una unica direzione che consenta al virus di non circolare più o, in caso, di farlo senza particolari ripercussioni sulla gestione ospedaliera e soprattutto senza contare vittime.
È il concetto di proteggerci dentro una recinzione che ci faccia sentire sicuri, che garantisca di non nuocerci, è un concetto di famiglia allargata, quella in cui accogliamo pensando di poter, con calma, allargare le braccia e abbracciare (quanto ci manca?) senza avere paura che quell’abbraccio diventi pericoloso.
Onoriamo di frequente i morti in guerra o nelle tragedie, gli eroi che hanno rischiato o perso la vita per proteggere quella di qualcun altro o addirittura di uno sconosciuto. In questo caso, quello che viene chiesto è di essere eroi e di fare qualcosa che protegga sia noi che gli altri. In fondo, di darci la possibilità di entrare tutti dentro a quella recinzione e una volta che fuori non vi sia più nessuno, abbatterla tutti assieme.
Così, mi piace pensare, in parallelo, di poter un giorno togliere il vincolo del Green Pass, perché nessuno stia più fuori da quella recinzione, si, come quella del parco sotto al Grattacielo. Di sentirci tutti sicuri e tagliarla via, un pezzo alla volta, per rimuovere qualunque vincolo di accesso.
Perché non ci sarà più da avere paura. Possiamo immaginare di farlo assieme, invece di dividerci e odiarci?