Tutti, almeno una volta nella vita, dobbiamo fare i conti con un ricordo che via via si fa più sfuocato. La faccia di una persona cara, un momento felice da piccolo, la prima volta che hai conosciuto una persona amata. Rimane l’emozione ma spesso i colori si fanno sfumati, lo sfondo diventa sfuocato e infine capita anche che l’immagine in primo piano, il soggetto, si faccia più sgranato. Man mano che il tempo passa è più difficile ricordare e così nel tempo si rischia di dimenticare non solo pezzetti della nostra vita ma anche la memoria collettiva di qualcosa che ha segnato generazioni. Il progetto herba bēta, al Consorzio Facotry Grisù sabato 10 e domenica 11 luglio, vuole fare memoria di un patrimonio storico della provincia di Ferrara, la barbabietola (in latino herba bēta). Lo fa attraverso varie forme di linguaggio artistico non solo riportando a galla un ricordo assopito ma cercando di creare quell’emozione che poi diventa impossibile dimenticare. Lo fa attraverso un gruppo di venti ragazze e ragazzi under 35 guidati per questa installazione da Andreco. La restituzione finale di un percorso di formazione durato due anni, Il Mestiere delle Arti IV Edizione, organizzato da GAER – Giovani Aristi Emilia Romagna e finanziato dalla Regione Emilia Romagna.
Quando da piccolo giravo per i campi nella bassa ferrarese ricordo che, oltre a grano e granturco, ancora capitava di vedere campi di barbabietole. Più volte mi è anche capitato di aiutare mio zio nella raccolta. Una macchina apposita (cavabietole) le eradicava, quelle più moderne avevano una coclea e le caricavano direttamente su un camion, quelle più vecchie raccoglievano per poi lasciarle a terra in enormi mucchi che poi si caricavano in un rimorchio con un caricatore. Erano già gli anni novanta, massimo primi duemila, il tempo delle barbabietole a Ferrara stava giungendo a termine. Gli zuccherifici, tranne pochi, vuoti e spesso diroccati erano enormi e affascinanti reperti storici di un epoca non molto lontana. I miei genitori, come molti altri della loro età, hanno lavorato per la stagione estiva negli zuccherifici, come io e altri ragazzi della mia età siamo andati a raccogliere la frutta. Lo raccontavano come una stagione felice, perché era la stagione della giovinezza, ma anche come un lavoro difficile, pesante.
Nei capannoni di molti contadini si trovano ancora oggetti legati alla coltivazione della bietola. Un forcone con sei punte arrotondate, serviva per caricarle evitando di romperle o infilzarle ma si poteva e si può usare anche per altro. L’altro attrezzo che ricordo invece ha sempre avuto un fascino particolare perché non ho mai potuto usarlo per null’altro. Un cavabietole manuale, a un manico lungo (come quella di una vanga o un forcone per intenderci), attaccato al manico tre uncini in metallo servivano proprio per levare le bietole, una ad una. Era un’epoca che non ho vissuto ma della quale ho qualche ricordo riflesso da mio zio a cui chiedevo a cosa servissero quegli attrezzi.
Non troverete nessuno di questi attrezzi a Factory Grisù, nella Sala Macchine dove è presente l’installazione di herba bēta. Troverete memoria, non nostalgia. Troverete l’emozione e la curiosità di un bambino che vuole conoscere, riconoscere e riscoprire.
Una sirena scandisce l’entrata come scandiva l’inizio del lavoro, all’ingresso un cartellino con l’orario come quello degli operai. La sala è buia e le voci di chi ha lavorato negli zuccherifici testimoniano un passato più o meno remoto. Al centro della stanza, su un cuboide alto tre metri e costruito per l’occasione, viene mostrato il crollo di una parte della ex distilleria di Tresigallo attraverso immagine storiche che nel riavvolgersi ne mostrano, in un cortocircuito temporale, anche la costruzione. Sulle due pareti opposte della stanza diventa protagonista la barbabietola, da una parte la costruzione, dall’altra l’installazione, da una parte il video dall’altra la scenografia. Un dialogo tra pareti opposte che diventa un dialogo con la storia, un dialogo che sprigiona ricordi anche in chi ha lavorato negli zuccherifici. L’importanza dell’acqua e del lavaggio nel processo di trasformazione in zucchero viene riconosciuto come elemento fondante da ex operai passati a vedere la mostra. Sul lato opposto del cuboide un’altra proiezione racconta la costruzione e la decostruzione degli zuccherifici, ciò che rimane sono le facce degli operai, di chi ci lavorava e ha visto, in molti casi, nascere e morire gli stabilimenti.
Oggi a Ferrara non ci sono più zuccherifici, in Italia ne sono rimasti due. I campi sono sempre più rari e la barbabietola non è più l’oro bianco di un tempo in cui coltivarla significava fare importanti profitti. È l’effetto della globalizzazione e del capitalismo che arraffano fin che possono e poi lasciano le macerie. È l’effetto di un mondo che corre senza fermarsi e senza fissare le cose. Un mondo senza memoria capace di dimenticare in pochi anni la sua storia. Di un mondo che si impoverisce pensando solo al qui e ora. Questa mostra ci fa fare un passo indietro fermandoci un istante a pensare, ricordare o riscoprire. Ci chiede di non lasciare sprofondare nell’oblio un pezzo della nostra storia.