di Alex Canella
Luglio per me, e per tanti non potrà mai essere un mese come gli altri, luglio sarà sempre lì a ricordarci Genova. I primi anni successivi al 2001 li ricordo ancora carichi di voglia di fare, di momenti organizzati, di idee, di speranze seppur più tenui. Poi il tempo ha fatto sì che quel ricordo venisse sempre più forzatamente represso, rinchiuso in un angolo buio e dimenticato della mente. Certo a luglio per qualche giorno se ne parlava, ma poi si rinchiudeva tutto là, dove non si voleva più guardare o ricordare.
Ricordo quanto ero fiero di quella mia foto, ripresa da tutti i quotidiani e poi da riviste e libri, ero fiero che il mio volto sorridente fosse un’immagine di quei giorni di Genova, un’immagine positiva di quello che sarebbe potuto essere. Negli anni quella foto è diventata quasi un incubo. Nel mio non voler ricordare, a luglio me la ritrovo sempre davanti, e devo sempre fare i conti con me stesso e con quello che è successo. Ma come dicevo dura poco, almeno fino a quest’anno.
Sono passati vent’anni, l’ho scoperto mio malgrado, tutti hanno iniziato a parlare di Genova molto prima, e io mi sono trovato investito da ricordi, emozioni, sensazioni. Avrei voluto fuggire, ero diventato molto bravo, ma il caso mi ha portato a incontrare due genovesi, che come me erano là presenti. Il nostro incontro casuale si è trasformato in una imprevista seduta psicoterapeutica, li ho ascoltati, ho sentito esternare i loro sentimenti e ho capito che anche io avrei dovuto iniziare un percorso simile al loro, se non per superare, quanto meno per affrontare quanto avvenuto.
Abbiamo perso, questo già lo sapevo, non solo siamo usciti sconfitti dalla storia, ma quelle contraddizioni economiche, ambientali e sociali di cui parlavamo a Genova non solo non hanno trovato una risoluzione, ma sono scoppiate in maniera ancora più forte di quello che potevamo immaginare. Ma non è solo questo a farmi male nella mia analisi, a farmi male è stato il rendermi conto che a tradirci a Genova è stato il nostro Stato, la nostra organizzazione democratica, che sì criticavamo, ma in fondo non abbiamo creduto che potesse farci quello che ha fatto.
Perché a Genova non c’erano sfasciavetrine, come spesso hanno voluto raccontare, a Genova c’erano militanti di sinistra, ecologisti, cattolici: ricordo ancora un ragazzo con in spalla un’enorme croce, non di certo risparmiato per questo. A Genova sono rimaste tante domande: perché la polizia non interveniva con chi usava violenza e invece fu così brutale con tutti gli altri? Perché trovammo un cassonetto pieno di libri in una città svuotata da cassonetti, e proprio quel cassonetto finì nel percorso di chi aveva una fiaccola accesa? Chi era quel ragazzo che ci invitò a svoltare a destra per metterci al sicuro e proprio lì a destra la polizia ci attendeva per partire con una carica?
A Genova erano presenti giovani e meno giovani che oggi, come me, rabbrividiscono a sentire le registrazioni dove si sente quell’inconfondibile rumore di manganelli picchiati sugli scudi ritmicamente. A Genova vi era chi voleva cambiare il mondo, e ha respirato quei gas, che ancora oggi al solo pensarci sento la gola chiudersi, sento il dolore agli occhi e quel totale spaesamento che provocavano. Noi armati di bandane, e succo di limone su di esse, che a ripensarci fa quasi tenerezza.
Come mi fa tenerezza ricordare che le mie due bandane mi furono comprate da mia madre, poco prima di partire, lei che quando tornai dopo soli quattro giorni non mi riconobbe, e senza saper poi molto mi chiese cosa mi avessero fatto. Ricordo quella mia maglia che un tempo era bianca e i gas avevano reso gialla, con quella citazione di Paolo Conte, anche se per me e per noi Genova non sarà mai un’idea come un’altra.
1 commento
Bellissimo articolo di Genova che ricordo con molto amore. Due mesi trascorsi a Genova in Via Balbi n. 2 -Palazzo Levante dicembre 1975-gennaio 1976,Indimenticabili