Possiamo piegare un attimo la realtà ai fini del racconto?
C’è stato un secondo bis ieri sera (“questo non era previsto” dice Emidio Clementi, per tutti semplicemente Mimì, voce dei Massimo Volume) però mettiamolo in un angolo, come un respiro in più, perchè la prevista chiusura del concerto era in realtà Fuoco Fatuo. Una canzone che finisce imperiosa così:
Nella tua camera ho trovato una rivista di karatè / Dentro c’è la sequenza di un uomo / Che uccide un toro a mani nude / C’è la carica del toro / Il particolare delle corna per terra / Spezzate / Ma manca la foto del contatto / Tra le corna e la mano / Leo, è questo che siamo? / Leo, è questo che siamo? / Leo, è questo che siamo? / Leo, è questo che siamo?
Un brano del 1995, scritto da una band che è diventata fondamentale nella storia musicale italiana più dopo che durante la sua prima fase artistica, e che ha colto i frutti nella sua seconda vita avendo la fortuna di poter diventare un classico, senza quella fama tardiva che a volte arriva troppo avanti per essere vissuta.
E se nel 1995 quella declamazione (Leo è questo che siamo?) suonava come amara descrizione della messa in scena di una finzione, nel 2021 c’è quel passaggio (“manca la foto del contatto“) che assume un valore diverso.
A terra, distanziati (“È più bello che in Piazza Castello. Anzi, è semplicemente bello essere a Ferrara sotto le stelle”, dice Mimì) mancano magari le foto del contatto ma di tanto in tanto si sente la connessione che rinasce.
L’abbiamo detto, la prima sera con Iosonouncane: è stata una esperienza estatica di osservazione, mentre ieri sera è tornato il dialogo. Atto secondo, tornare a parlarsi. È questo che siamo, connessione?
Si era intuito già dalla band di apertura, recuperati all’ultimo i Soviet Soviet, che paiono essere carichi come in quelle partenze delle campestri dove i primi duecento metri tutti corrono come se avessero già il traguardo davanti, una scarica di chitarre, basso e batteria che accendono il suono in direzione di un post punk istintivo quanto energico che ci concede il pensiero nazional popolare. Ok, sono saltati gli Shame, la grande band straniera di questa edizione, ma se guardiamo in casa non ci manca niente. I Soviet Soviet fanno partire applausi, piedi che si muovono, affanno alla voce (“dopo un anno è fatica eh!”) e un generale consenso di un pubblico che non lo dice ma lo fa capire: potessimo, saremmo tutti in piedi a muoverci frenetici sotto i colpi di una batteria che è pioggia di ritmo, accalcati sotto il palco a sfiorarci (“manca la foto del contatto”).
Quando poi arrivano i Massimo Volume ci si sente a casa: suono pulito, voce perfetta, una esibizione che sembra di (gran) mestiere ma che piano piano fa intuire la sua specialità, l’eccezionalità di una data unica, solitaria: l’unica di tutto l’anno.
Da nuovi piccoli capolavori (“Amica Prudenza“) ad una canzone dolente che viene dedicata al pubblico (“Mi piacerebbe ogni tanto averti qui“) capiamo tra le righe che questo momento storico è un regalo reciproco per le due entità di un concerto (pubblico e artisti) che si scambiano il grazie per essere tornati, per esserci ancora. Qualcosa che la storia dei Massimo Volume continua come in un cerchio a raccontare, la fine e il ritorno, nelle due vite artistiche di una band che si era sciolta e poi è tornata più forte di prima e che ha vissuto ora un anno ferma (o due, quanto è questo tempo dilatato di un virus che porta il nome del 2019?) e si ripresenta come sempre, in elegante forma, senza il peso degli anni, a trent’anni dalla nascita.
Se durante la prima serata si cercava un bis che non c’è stato, questa sera ce ne sono due eppure di nuovo, finisce il concerto e la gente si alza con calma oppure rimane, si ferma, non corre via. In qualche caso non va via.
Cambiati per rimanere diversi, la sensazione è di una bolla emozionale di persone che hanno voglia di essere lì, non hanno fretta di fuggire, stanno reimparando a godere del tempo, degli spazi, dell’erba di un prato, accompagnati dai Massimo Volume da tre decenni, sotto un palco di Ferrara sotto le stelle, all’edizione numero venticinque (l’hai visto vero, il nostro racconto di questi venticinque anni?)
Manca la foto del contatto, ma si, Leo, è questo che siamo.
La notte ho ascoltato il traffico / Profondo come una sinfonia / Fa pensare al nostro dentro conquistato / E poi sempre squarciato, perduto / E questa pelle attaccata alla mia pelle che stanotte dice / Stringimi, succederà comunque, perché è questo che ci aspetta.
FUOCO FATUO – MASSIMO VOLUME
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Ascolta il secondo episodio del podcast “Quel fischio nelle orecchie” di Web Radio Giardino, condotto quotidianamente dai due inviati di Filo a Ferrara Sotto le Stelle, ovvero Clelia Antolini e Alessio Falavena.