Se fino ad ora non avete mai sentito parlare di cumbia polesana, sappiate che da oggi non potrete più farne a meno.
Il merito va al progetto musicale Banadisa di Diego Franchini, musicista e compositore rodigino, nativo di Castelmassa, ma da tempo trapiantato a Ferrara, dove ha dato vita ad un’esperienza artistica che coniuga la tradizione popolare latinoamericana con il folklore del Delta del Po. “Rivelando molte più connessioni di quante non si immagini”, come ci spiega Diego, attingendo alla sua formazione sociologica, tanto quanto a quella musicale.
Partiamo dal nome che già suona un po’ dialettale e un po’ esotico. “Banadisa è un’espressione gergale delle mie parti, una sorta di benedizione che scongiura il male, ha più a che fare con la superstizione che con la religione. Per me vuole essere un portafortuna”.
Appena più che trentenne, Diego suona dall’adolescenza. Dopo qualche corso di chitarra, studia da solo, buttandosi ben presto in sala prove, dove si unisce al gruppo di matrice indie rock Nu Bohemien, in cui è chitarra e voce dal 2010 al 2017. Poi inizia una sua personalissima ricerca, data dalla necessità di introdurre anche altri elementi sonori, dall’elettronica alle percussioni. Inizia un’ampia sperimentazione, che fa fare a Diego il giro del mondo, anche se i testi restano sempre in italiano, per un forte radicamento territoriale. È un processo lungo e lento, “rispetto al quale non mi sono dato dei tempi. Intanto collaboravo con Officina Meca (l’associazione culturale che ha organizzato eventi live ai piedi del grattacielo di Ferrara, considerato cuore del degrado urbano, ndr) e questo mi ha permesso di incontrare tanti artisti e produttori, imparando da loro un approccio professionale che mi è stato molto utile”.
Così arrivano i primi contatti con l’Istituto Italiano di Cumbia, in particolare Davide Toffolo dei tre Allegri Ragazzi Morti e il produttore argentino Nahuel Martinez, i due mentori di Diego in questa nuova avventura. I due motivano il nostro a seguire la sua intuizione di declinare le melodie precolombiane mischiate a ritmi africani della cumbia nelle suggestioni paesaggistiche del polesine, fatte di “fiume Po, golene, campi, orizzonti piatti e tralicci a perdita d’occhio”. C’è il placido fluire di un fiume che sembra fermo, ma muta rapido e si porta dietro chilometri di storia. Come racconta Riva del Rio, uno dei due brani, assieme a Vita, che anticipano l’album di dodici pezzi in uscita per l’autunno – con le ipnotiche illustrazioni di Emanuele Kabu – per La Tempesta Dischi, etichetta di riferimento per la musica indipendente italiana.
In questi due assaggi del lavoro completo che già attendiamo con trepidazione, oltre a Diego c’è il suo clan, ovvero la voce incantatrice di Clara “Rosalita” Andrés, cantante spagnola che vive a Bologna, e le trascinanti percussioni di Marcello Martucci. Produzione, registrazione e mixaggio sono a cura di Fed Nance. Add-mix e mastering li ha realizzati Mattia Cominotto presso Green Fog Studio di Genova.
“In Riva del Rio c’è l’eterno, lento ed inesorabile corso che fa il fiume verso il mare, come elemento di eternità, così come eterno sembra quel vecchio pescatore che immobile sta lì, fermo, ad aspettare. C’è uno stormo che sta migrando, a ricordarci che gli eventi sanno essere ciclici, come cicliche sono le piene del fiume, che ad ogni loro passaggio scombinano tutto, lasciando un paesaggio fluviale ogni volta di diverso, facendo scomparire e ricomparire le isole di sabbia”. Le migrazioni e la quiete inquieta della pianura che diventa un richiamo multietnico. Suggestioni che si materializzano nelle danzatrici africane in un bar dove i signori giocano a carte nell’evocativo video realizzato dal collettivo Crema, con la partecipazione delle Black Dancers Crew. È un’intuizione originale, ma che fa risuonare qualcosa di familiare per chi conosce la fascinazione della bassa padana.
L’altro singolo è Vita, “un brano scritto al tramonto, su un balcone di Barcellona, mentre tutto attorno i suoni della città si mescolavano ai versi dei gabbiani. Vuole immortalare un “qui ed ora” di equilibrio e tranquillità, che tenta di catturare questo momento di pausa e di pace. Come canta il ritornello, raccoglie la tensione emotiva del richiamo che ci spinge verso “un bene più profondo, di vivere la vita fino in fondo”: andare dritto all’essenza, godere dell’istante, sentirsi in armonia ed empatia con l’ambiente che stiamo vivendo, la voglia di scoprire altro, di meravigliarsi, di amare”.
Oltre a questa doppia release, è già uscito anche un terzo brano, selezionato da Futuro Arcaico, un archivio virtuale, ma anche un festival che si tiene a Bari, che racconta luoghi, riti e tradizioni attraverso visioni e contributi di artisti che si sono interrogati sull’identità territoriale, mediante le nuove forme di linguaggio. La canzone scelta è “Popa son tanto stanco”, componimento popolare veneto recuperato da registrazioni etnografiche, che Diego ha avuto la bella intuizione di realizzare assieme al Coro delle Mondine di Porporana in una versione elettronica.
“Se faccio cumbia non è per scopiazzare, ma per provare a fare una bella fusione tra generi, che è anche il futuro, quando i generi si dissolveranno. Il mio è un approccio al folklore sudamericano profondamente radicato nel mio territorio e legato alla tradizione musicale popolare con cui sono cresciuto e che poi ho avuto la fortuna di studiare”.
E se per l’ascolto dell’intero disco bisognerà aspettare ancora un po’, i live di Banadisa sono imminenti: il primo a cui si può assistere è domenica 11 alle 20 al Montagnana Wine Festival. Da segnare in agenda!
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