Avevamo scritto questo articolo in zona gialla, fatto salva la tempesta della zona arancione (con chiusura dei musei) che si era abbattuta il giorno seguente. Un articolo rimasto lì, come una foto appoggiata a ricordo di una vacanza. Due mesi dopo, guardiamo avanti con maggiore fiducia, la sensazione di stare un pò più fuori da un tunnel difficile: una nuova zona gialla che consente di riaprire quelle porte, compresa la porta del Pac, palazzo di arte contemporanea.
E se la metafora classica del tunnel è quella della luce in fondo, entriamo assieme in una mostra (consigliata!) che riapre e che di luce parla: di luce catturata e impressa su una pellicola.
La storia della fotografia, con la collezione di Italo Zannier. Hai voglia di seguirci?
Per spiegarci: entri, paghi il biglietto e senti parlare. Non è il protagonista della mostra (ci arriviamo, lo sentiamo, ma è più avanti) ed è Vittorio Sgarbi: è una intervista nella sala degli Arazzi del comune, dove il noto critico d’arte spiega che è grazie a Italo Zannier che ha scoperto, in sostanza, l’esistenza dell’arte nella fotografia.
Che esistono fotografi degni di Boldini, che la fotografia è percorso e racconto, tecnica e arte, che esiste una cultura, una storia e un percorso di questo mezzo e che bisognava iniziare a studiarlo, raccontarlo, capirlo e dargli la dignità che si restituisce alla forme più alte di espressione umana.
Ma noi siamo qui, a camminare per una esposizione pensata da Zannier, nato nel 1932 in una Spilimbergo che a dispetto dei suoi undicimila abitanti al centro del Friuli Venezia Giulia porta i segni di una lunga storia fatta di dominazioni, castelli, storie di arte e terremoti recenti e che ancora risplende come luogo turistico da visitare, pieno di ambizione, con il castello che sovrasta il territorio.
E terra nativa del primo in Italia a nobilitare l’arte della fotografia.
Percorriamo i primi passi al PAC osservando quelle forme di disegno che vogliono essere fotografie: mancava la tecnologia, ma c’era già il concetto e questo è abbastanza insolito, a pensarci.
Non esisteva il concetto di film, prima che si potesse girare un film. Così come il suono di un violino non era insito nella mente umana, certamente no, fino a che legno e corde e forme e archi non si sono definiti in un oggetto in grado di generare quel suono. Sulle fotografie, invece è ben diverso: il concetto, ad esempio, di ritratto esiste da molti secoli precedenti alla possibilità di imprimere la luce su una pellicola. Il selfie era l’autoscatto, l’autoscatto era l’autoritratto, l’autoritratto era lo specchio: siamo sempre stati una specie che con il desiderio di ritrarsi e osservarsi.
E quella voce, di Zannier ora è davanti a noi proiettata su una parete, un signore di anni ottantanove, con ogni probabilità il primo in Italia a dare merito e rispetto alla conoscenza necessaria a raccontare cosa sia la fotografia.
“Il 7 Gennaio 1839 è il giorno in cui nasce la fotografia, per come la conosciamo e la mostra racconta tutto questo percorso: dal fatto a mano al fatto a macchina, ci racconta.
È seduto, immaginiamo, nel suo angolo di casa che tracima di libri e mostra una lunga serie di volumi di un valore nemmeno stimabile: rarissime edizioni con fotografie ancora incollate a mano, con la nuda colla, sulle pagine di un catalogo, quando ancora non si sapeva come stampare una fotografia sulla carta.
“Da quel momento in poi siamo entrati nell’epoca dell’immagine, dando vita ad una nuova letteratura: la letteratura dell’immagine.”
Presenta la figura di Alfred Stiegliz, padre della fotografia moderna, mostra un libro di William Klein, che racconta New York negli anni cinquanta con il solo mezzo delle fotografie (non una guida, ma un romanzo drammatico della città, secondo Zannier).
Mostra un libro di Andy Warhol, con una stravagante apertura a pop up, come quella dei libri per bambini e arriva al passaggio dalla foto chimica a quella elettronica. La chiusura del cerchio e della esposizione al piano terra è un libro per bambini, un libro multimediale, un punto di passaggio, un passaggio tra due epoche, dove si incrociano umanità e digitale.
Al piano di sopra uno spostamento di inquadratura: dalla storia della fotografia ad una esposizione di Zannier stesso (con un pò di orgoglio, confessa, per ricordare che non è stato solo uno storico ma anche un fotografo) e giornalistici, critici e analisti che parlano del contributo dato a questo mondo dal protagonista della mostra.
Nella parte finale della sua intervista tira fuori da una tasca una piccola macchina fotografica compatta che quasi gli scivola dalle mani, che si muovono incerte per un attimo e non è facile capire se sia per la disabitudine al formato così minuscolo o a una certa difficoltà legata all’età: sembra un oggetto quasi sbagliato, in fondo, un giocattolino che pure maneggia con orgoglio: oggi sono queste le fotografie.
“Anche oggi c’è questa idea che la fotografia debba essere nitida ed istantanea: non è così. La fotografia deve essere emozionante, non perfetta”.
Italo Zannier
Sarà per questo che ne scattiamo tante e le scorriamo come prova del tempo e memoria fisica dei nostri ricordi: una piccola magia che solo un paio di secoli fa sembrava impossibile da realizzare.
La fotografia 1839-2020
Il libro illustrato dall’incisione al digitale
Italo Zannier fotografo innocente
Ferrara, Padiglione d’Arte Contemporanea
Dal lunedì al venerdì, dalle 11 alle 17.30 – Fino al 4 Luglio