In una epoca dominata dalla comunicazione, esiste un mondo che fa meno rumore: quello dei fatti. Un fatto è che stiamo vaccinando la popolazione italiana, un fatto è che vorremmo e pensavamo di poter fare più un fretta, un fatto è che non sappiamo se dovremmo fare campagne di richiami, un fatto è che abbiamo necessità di avere linee produttive di vaccini per non dipendere (interamente) da altre aziende che devono rifornire a livello globale.
E un fatto è che esiste: Reithera è il vaccino italiano contro il Covid-19, prodotto dall’omonima azienda, con laboratori e un impianto di produzione a Roma, di cui si sta svolgendo una sperimentazione negli ospedali italiani, sugli esseri umani, che coinvolge anche l’ospedale di Cona.
Abbiamo contattato la dottoressa Laura Sighinolfi, attualmente impegnata nel seguire la sperimentazione che avviene sul nostro territorio, in un progetto che coinvolge 900 persone in tutta Italia, con diverse strutture ospedaliere, compresa la nostra.
Cosa vuol dire entrare nel percorso di sperimentazione del vaccino Reithera?
Prima di tutto: è una sperimentazione su un vaccino totalmente prodotto in Italia, un vaccino che può diventare una arma in più, con il vantaggio di poter essere prodotto a livello nazionale. È un vaccino a base virale, basato sull’utilizzo dell’adenovirus, in maniera del tutto simile ad Astrazeneca e Johnson & Johnson.
Lo studio coinvolge più di venti centri italiani, tra cui l’azienda ospedaliero universitaria di Ferrara. È stato uno studio competitivo: purtroppo noi siamo arrivati un pò più tardi rispetto ad altri e quindi la fascia di età su cui abbiamo potuto arruolare i candidati è quella degli over 65, una fascia di età molto importante, per cui la vaccinazione è particolarmente indicata. Abbiamo avuto una enorme serie di richieste e candidature per partecipare alla sperimentazione, purtroppo con tante persone di età inferiore a 65 anni, che non hanno quindi potuto prendere parte allo studio.
Qual è stato il quadro dei candidati?
A febbraio ci hanno scritto in maniera maggiore le persone che si sentivano più lontane dall’essere vaccinate con la campagna che è partita a gennaio. C’è stata una importante serie di persone disponibili a seguire il protocollo di vaccinazione per dare un loro contributo a questa emergenza e anche qualcuno che si era iscritto pensando di poter accedere in anticipo al cosiddetto passaporto vaccinale, anche se ovviamente non potrà essere così, considerando che è vaccino ancora in fase di studio.
I primi dati sono molto buoni. Attualmente ci troviamo nella fase due e stiamo già evolvendo verso la fase 3 (l’emergenza pandemica ha sbloccato la possibilità di lavorare in parallelo alle varie fasi, per accelerare i tempi in vista dell’approvazione, Ndr). Al momento non ci sono particolari effetti collaterali, nessuno riscontrato nei nostri pazienti e si presuppone si possa avere una registrazione in tempi abbastanza brevi, durante l’estate.
Come viene condotto lo studio? Abbiamo letto che ci sono diversi scenari di utilizzo.
Si, alcuni pazienti ricevono una doppia dose, alcuni una di vaccino e una di placebo e altri ancora due dosi placebo. Questo per valutare le differenti possibilità di efficacia. È verosimile che la doppia dose sia più efficace, la seconda inoculazione ha una funzione di booster, di potenziamento della risposta immunitaria. Bisognerà valutare se la risposta con una sola dose è tale da non renderne necessaria una seconda, ma consideriamo che molti vaccini hanno una doppia somministrazione e altri come quello per l’epatite, addirittura tre somministrazioni.
È un vaccino che potrà tornare particolarmente utile in caso di campagne annuali di richiami?
Certo, sicuramente. È chiaro che le campagne di richiamo, se saranno necessarie, riguarderanno sempre milioni di persone e più avremo disponibilità di vaccini, meglio sarà.
Attualmente è già stata eseguita la prima dose a tutti i pazienti?
Si, è da poco terminata la somministrazione anche della seconda, a cui segue un monitoraggio periodico. Per la produzione di anticorpi bisogna aspettare qualche settimana dopo la seconda dose. Si faranno sierologici regolarmente, esami che vengono però centralizzati all’ospedale Spallanzani di Roma per andare a ricercare gli anticorpi neutralizzanti, che sono la vera e propria conta delle difese acquisite.
Le persone che stanno facendo la sperimentazione hanno un diario da mantenere?
Si, possono tenere un diario cartaceo oppure online, a seconda delle preferenze, per i primi otto giorni, quelli in cui ci si aspetta eventualmente di avere effetti collaterali eventuali; in seguito permane il contatto telefonico e la disponibilità per ogni evenienza.
Pensando ai casi di trombosi riscontrati con alcune somministrazioni di Astrazeneca e ai dubbi della popolazione su un vaccino così nuovo, è verosimile pensare a reazioni che possano avvenire nel lungo termine?
Le reazioni che sono avvenute sono state nell’ordine dei 14 giorni, reazioni autoimmuni che hanno chiesto la produzioni di anticorpi che richiedono alcuni giorni per svilupparsi, ma ragionare su reazioni dopo anni è probabilmente inverosimile. Questi sono vaccini sicuri, che non modificano il dna, non inducono modifiche nel genoma umano. Sono uno stimolo per il sistema immunitario per produrre anticorpi per difendersi nei confronti del virus.
Sono piattaforme già studiate in passato, si va a inserire una proteina spike, portatrice di informazioni. Infine questi vaccini a vettore virali sono, rispetto a quelli più nuovi a Mrna, più maneggevoli, non richiedono di essere refrigerati, vaccini adatti per la vaccinazione di massa con maggiore semplicità, come quelli annuali per quello contro l’influenza.
Nello specifico, a Ferrara che gruppo di persone è stato coinvolto?
Alla fine abbiamo potuto selezionare 5 pazienti. Avendo avuto accesso alla fascia di età over 65, quella più vicina ad essere vaccinata da calendario nazionale e al momento di poter partire attivamente alcuni candidati erano già prenotati per la vaccinazione normale. Quando c’è stata la chiamata alla sperimentazione i nostri candidati hanno accettato di rinunciare alla sicurezza del farmaco già approvato per dare un contributo di conoscenza, mentre altri, più che comprensibilmente, hanno preferito ritirarsi.
I pazienti verranno monitorati per 2 anni, con maggiori controlli duranti i primi due mesi e poi un proseguimento a distanza per valutare la risposta. Coloro che saranno capitati nel braccio placebo (quello che serve a valutare l’efficacia della vaccinazione rispetto a chi non si vaccina e che quindi ricevono una iniezione senza farmaco attivo all’interno, Ndr) verranno comunque informati per potere consentire loro di proteggersi con i vaccini già approvati. Attualmente Reithera ha questo blocco di 900 persone, in seguito si vedrà se sarà necessario un altro gruppo di lavoro.
In conclusione, come mai è stato così difficile comunicare l’efficacia, l’ordine delle possibili complicanze e il susseguirsi delle conoscenze su questo virus?
Ci sono sempre informazioni contrastanti e per le persone è difficile capire che in medicina le cose sono variabili. C’è stata in qualche modo troppa divulgazione, quello che può essere un ragionamento di un ambito scientifico che segue la sua logica quando viene poi diffuso in televisione diventa difficile da veicolare nella maniera giusta, senza che diventi fonte di incertezza. I pazienti tendono a pensare che la medicina sia una scienza esatta e ad avere una certa fiducia, elemento che si perde quando ci sono nuove scoperte e cambiamenti nel processo di cura, con il rischio di un rapporto di fiducia che viene a decadere per la difficoltà a capire che non ci sono mai certezze totali, ma si opera sempre al meglio delle conoscenze del momento.
Eppure una così rapida produzione di vaccini efficaci è stata quasi un miracolo scientifico.
Lavorando normalmente nell’ambulatorio dedicati ai pazienti con HIV abbiamo spesso sentito da loro che a differenza dell’Aids, che non ha ancora un vaccino dopo oltre trent’anni di conoscenza (ma solo un cocktail di farmaci che rallentano in maniera significativa il percorso del virus) in questo caso invece la forma di prevenzione è stata trovata subito, con una certa invidia.
Sito Ufficiale Reithera
Sito Ufficiale Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara