di Ruggero Veronese
“Fra le leggi che reggono le società umane, ve ne è una che appare più chiara e precisa di tutte le altre: perché gli uomini restino civili o lo divengano, bisogna che l’arte di associarsi si sviluppi e si perfezioni nello stesso rapporto con cui cresce l’eguaglianza delle condizioni”
Alexis de Tocqueville, La Democrazia in America
C’è qualcosa di decisamente liberatorio nel rovistare nei fossi e tirar su tutte quelle viscide bottigliette gialle della Fanta, quei sacchetti del pattume mezzi sfilacciati, tutti quei vecchi pannolini usati, infagottati e abbandonati in giro per la campagna. Chissà da chi, poi. Magari erano gli stessi che bevevano tutta quella Fanta. Centinaia e centinaia di pannolini, pannolini ovunque e a perdita d’occhio, immersi ed emersi dal fango, pannolini accatastati e lanciati da genitori che oggi forse comprano i pannolini per i nipoti.
Chissà se nel frattempo hanno capito dove si devono buttare.
E chissà se bevono ancora tutta quella Fanta.
Va bene: c’è anche qualcosa di un po’ schifoso in tutto questo. Volevo prepararvi un po’ psicologicamente. Ma credetemi, è una cosa soprattutto liberatoria. Te ne accorgi dopo aver guardato le facce dei 160 o 170 volontari che domenica scorsa si sono ritrovati in uno sperduto campo dietro via Arginone a fare quello che, normalmente, nessuno si metterebbe a fare di propria spontanea volontà: ripulire i fossi dai rifiuti. Tutti sorridenti, di buon umore ed equipaggiati solo di pinze, guanti, sacchi del pattume e pochi altri basilari comfort.
Siamo al raduno ferrarese di Plastic Free, l’associazione ambientalista che da un paio d’anni organizza in tutta Italia raccolte spontanee di rifiuti e che ultimamente balza sempre più spesso agli onori delle cronache. Se fate una piccola ricerca su Google vedrete che negli ultimi mesi i quotidiani locali di un po’ tutta Italia sono tappezzati di piccole news sulle attività dell’associazione: volontari che puliscono spontaneamente argini di fiumi, canali, boschi, parchi, spiagge e tutti quei posti più o meno imbucati e spesso confusi con discariche a cielo aperto. All’inizio erano pochi amici che si ritrovavano alla domenica per stare in compagnia, ora sono un esercito di persone che si inviano segnalazioni a vicenda, organizzano raccolte e stringono accordi ufficiali con aziende ed enti pubblici per supportare lo smaltimento dei rifiuti. Sui social network si inviano tutti i giorni fotografie di nuovi luoghi ripuliti, anche solo da piccoli ‘nuclei’ di tre o quattro amici, quasi come in una gara di educazione civica in cui ognuno vuole mettere a segno un punto. E tutto nel giro di poco più di un anno, col Covid in mezzo.
Il fenomeno è decisamente interessante. In fondo parliamo pur sempre di un’associazione che ti invita a passare il tempo libero facendo lo spazzino gratis, per giunta in posti dove gli operatori ecologici veri, quelli retribuiti, non si avventurano più da anni. A dirla così non sembra il modo più invitante per trascorrere il fine settimana. Eppure i volontari sono in costante aumento e al termine di ogni raccolta i nuovi arrivati se ne vanno via sorridenti e assicurando che torneranno per quella successiva. Dov’è il trucco? Mettiamo in carica la fedele macchina fotografica – Olympia per gli amici – e andiamo a scoprirlo.
Ah, che bella l’attività fisica all’aria aperta! Dopo un anno e mezzo tra quarantene e zone rosse, poi, non ne parliamo. Schiarisce anche le idee. E infatti per una lucida analisi del fenomeno bisogna mollare giù da qualche parte l’Olympia e immergere le mani nel fango, ovviamente sperando che sia davvero fango. Voglio dire: già sono arrivato con mezz’ora di ritardo, e altri 40 minuti li ho passati a far foto. Sono ancora vagamente giovane e prestante e non posso passare la giornata a fotografare gente con 20 o 30 anni in più (o in meno) china a lavorare in un fosso. C’è un limite al peggio, anche nel fare un reportage. Quindi infilo le mani nei guantozzi del Bricoman e i piedi nel primo buco puzzolente che capita davanti: diamoci dentro.
Passa una ventina di minuti e il mio improvvisato collega mi dice che lì abbiamo finito. È un simpatico e agile signore con gli occhiali a goccia e i capelli tirati all’indietro, che ricorda un po’ Antonello Venditti. Ha ragione: senza neanche accorgercene abbiamo fatto un lavorone. In appena un paio di metri di fosso erano sepolte decine di bottigliette di plastica, cinque sacchi indifferenziati del pattume, due mucchi di pannolini usati e tutti i vari microrifiuti sparsi come contorno tra mozziconi di sigaretta, tappi, lembi di plastica, di stoffa, macchinine giocattolo e vecchie lattine di birra. Ora tutto quello schifo è accumulato sul sentiero e nel giro di un paio di giorni tutto verrà differenziato e smaltito. “Guarda lì quanta roba, bravi!”, ci fa una signora passando e allungando un nuovo sacco vuoto.
Come se da quel buco avessimo tirato fuori delle pepite d’oro.
È più o meno in quella fase che inizio a sentire quella sensazione così liberatoria che vi dicevo. E allo stesso tempo a pensare a come mai le associazioni come questa possono rappresentare una piccola ma importante svolta nel mondo del volontariato. Forse perché – molto banalmente – invece di invitarti a incontri, riunioni o assemblee, ti mettono a lavorare. Punto. Senza troppi fronzoli. A infilarti dei guanti e fare della fatica. E così facendo ricordano un po’ a tutti una cosa ovvia ma di cui oggi molti si dimenticano: che spesso per risolvere un problema è più utile passare qualche ora lavorando insieme che lanciando mille segnalazioni, lamentele o campagne sui social.
Nel giro di quattro ore il tratto di campagna dietro via Arginone cambia volto: i volontari di Plastic Free riempiono 439 sacchi dell’immondizia, per un peso di oltre cinque tonnellate. Un’impresa per la quale sinceramente pensavo fosse necessario l’intervento di un’azienda pubblica, o sotto appalto pubblico, e che richiedesse giorni di lavoro e costi notevoli. E invece per farlo si sono attivate più di 150 persone nel fine settimana, che hanno pure finito per divertirsi, stare all’aria aperta e fare nuove conoscenze: un affare per tutti.
Del resto – se vogliamo fare un calcolo molto approssimativo – in un’operazione del genere di forza lavoro se ne attiva davvero parecchia: se mettiamo 150 persone al lavoro per 4 ore (per stare stretti), ci risultano circa 600 ore di lavoro individuale complessivo, che equivalgono a 75 giorni di lavoro full-time di un singolo addetto. Insomma, in un’allegra mattinata in compagnia si è iniziato e concluso un lavoro che una coppia di operatori ecologici porterebbe a termine in oltre un mese di duro lavoro: provate a immaginare all’impatto in larga scala di questo genere di operazioni, se iniziassero ad avvenire in modo sempre più puntuale e costante.
Alla fine è davvero tutto molto liberatorio. Non solo in senso letterale, visto che abbiamo materialmente liberato un bel pezzo di campagna da un sacco di schifezze. Ma anche e soprattutto a livello sociale: ci si è in qualche modo scrollata di dosso una convinzione diffusa ma sbagliata, quella secondo cui sono solo gli enti e le istituzioni pubbliche, non i gruppi autonomi di persone, a occuparsi delle faccende di interesse comune. Quella stupida ma persistente abitudine a pensare che quando c’è un problema spetti sempre a qualcun altro risolverlo.
Per anni molte associazioni ambientaliste si sono concentrate sul segnalare problemi agli enti o proporre di istituire leggi, regolamenti e zone di tutela ambientale. Che sono certamente attività giuste e che meritano supporto, ma a volte rischiano di far prendere a chi fa attivismo una piega un po’ astratta e ideologica. E infatti non stupisce che tanti gruppi o movimenti ambientalisti abbiano avuto, in modo più o meno accentuato, anche connotazioni politiche. Proprio perché ci si radunava e associava in primo luogo attorno a idee generali, visioni del mondo o critiche alle istituzioni e ai loro rappresentanti. A questioni politiche, insomma. E da lì, se le cose andavano bene, si passava all’azione.
In Italia questa tendenza è sempre stata molto accentuata, con molti movimenti ambientalisti esplicitamente schierati a sinistra e addirittura un partito, i Verdi, che funzionava di fatto da stampella green alle coalizioni di centrosinistra. (Andreotti, mi racconta mio padre, era solito fare una battuta perfida ma azzeccata: “i verdi sono così perchè sono ancora immaturi, come le mele. Quando maturano diventano tutti rossi”). Anche il recente trend di Fridays for Future ha assunto connotazioni più polemiche che pratiche, tra scioperi scolastici, manifestazioni e quel senso di ‘lotta al potere’ che ha stimolato i cuori e le menti più degli attivisti politici che dei veri amanti dei boschi.
Anche sul fronte opposto qualcosa si è mosso negli ultimi anni, e non sempre nel verso giusto: il mantra della ‘difesa del territorio’ caro all’elettorato di centrodestra assume sempre più spesso connotazioni anche ambientaliste, che nascono dall’orgoglio per la propria terra e la propria natura, talvolta minacciate proprio da investimenti, attività o singole persone provenienti dall’estero.
Quello che invece colpisce di Plastic Free e di altre realtà simili sono l’approccio pratico e la completa trasversalità a livello di idee, cultura, nazionalità ed età delle persone. Tutte concentrate sull’obiettivo da raggiungere e animate da uno spirito più propositivo che polemico. Il discorso in un certo senso viene ribaltato: iniziamo a metterci all’opera, e facciamo in modo che altre persone e le stesse istituzioni seguano l’esempio pratico. I discorsi di principio verranno fuori un po’ da sé, tra una raccolta e l’altra, senza strappi e forzature. E bisogna dire che la cosa sta funzionando bene.
Forse anche il successo di Plastic Free è un po’ un segno dei tempi. Tempi in cui facciamo sempre più fatica a confidare davvero nel buon funzionamento delle istituzioni pubbliche, delle norme, dello Stato, o anche solo degli enti locali. E allora piuttosto che proporre e suggerire soluzioni a istituzioni o politici, per poi indignarsi perchè non le accolgono, sempre più persone iniziano a organizzarsi autonomamente per risolvere i problemi che vedono. Al di là delle idee degli schieramenti, ma affidandosi alla più antica e anarchica tra tutte le virtù: il buon senso.
Nel 1840 Alexis de Tocqueville diceva che l’unica speranza di far funzionar bene una democrazia, è quella che le persone continuino ad occuparsi degli interessi comuni, associandosi in gruppi non politici. La spiegazione era semplice: se i cittadini iniziano a politicizzare e delegare ogni piccola scelta e decisione ai governi e alle istituzioni, perderanno gradualmente lo spirito di iniziativa e il senso civico. Diventeranno come clienti abituati a ricevere servizi, e non più membri attivi di una società. Si richiuderanno nell’individualismo, e nel giro di poco tempo si troveranno incastrati in una macchina statale sempre più fredda, fine a se stessa e indifferente ai veri interessi generali. Ma un buon associazionismo attivo, quello che riporta le persone all’interno delle attività, delle decisioni e delle necessità quotidiane della propria comunità, può contrastare questa infame e costante tendenza.
Due secoli dopo, possiamo dire che il buon vecchio Alexis aveva ragione da vendere: l’impigrimento civico è una realtà in tutta Europa, e in Italia in particolar modo. Di fronte a migliaia o milioni di persone pronte a contestare, ce ne sono sempre troppo poche disposte a fare. Sarà forse per questo che la giornata coi 160 di Plastic Free è riuscita a ridarmi un po’ di speranza: perché ho visto un modello diverso e più pratico di attivismo all’opera, e l’ho visto funzionare bene. Ho visto un’operazione vera e pratica iniziare e finire nel giro di una mattinata, lasciando un miglioramento visibile e duraturo. E ho visto persone diversissime, umanamente e politicamente, brindare insieme al termine della raccolta, davanti a cinque tonnellate e mezzo di rifiuti e a una bottiglia di prosecco.
Son cose importanti, sapete. Ma non voglio essere troppo sentimentale: qua di spazzatura in giro per la campagna ce n’è ancora una valanga, e ormai in questa storia ci siamo dentro. Credo che nei prossimi giorni farò un giro sulle mura: ho visto diverse zone piene di rifiuti abbandonati, qualche giorno fa. Potremmo approfittare della domenica, e fare un po’ di pulizia. Con guanti molto, molto spessi. Se volete unirvi, sapete come trovarmi.