È una storia di qualche settimana fa, quella iniziata una mattina di fine gennaio in via Costanza Monti Perticari, una strada nella periferia ovest di Ferrara, di cui la maggior parte dei cittadini ha appreso l’esistenza soltanto quando è apparsa la notizia. È l’ultima via del quartiere intorno a via Oroboni e segna il confine tra gli isolati residenziali e la ferrovia. In questa strada c’è un piccolo parco, dal nome ufficiale “Area Verde Monti Perticari” anch’esso sconosciuto ma molto bello e accogliente, un polmone verde con grandi alberi, popolato da bambini che giocano, che trasforma il quartiere in un luogo umano. L’area verde è delimitata da un bellissimo filare di pioppi cipressini, che costeggia la ferrovia per una lunghezza di duecentoquaranta metri.
Erano stati piantati negli anni ’70 per valorizzare il quartiere in espansione, e sono sempre serviti a separare i condomini residenziali dalla ferrovia. Oggi i pioppi attutiscono il rumore dei treni che passano ad ogni ora del giorno e della notte, evitano ai residenti di avere come unico panorama la ferrovia, l’ex scalo merci e gli impianti industriali sotto alle proprie finestre; inoltre, filtrano l’aria depurandola da almeno qualcuna delle nanoparticelle prodotte dal continuo passaggio dei treni, dal traffico veicolare, dalle torce del petrolchimico, dalle emissioni della turbogas e dall’inceneritore, tutte strutture che rallegrano il paesaggio del quartiere.
Il quartiere di cui parliamo è il GAD, un tempo noto come quartiere Giardino, che oggi include gran parte della periferia ovest della città. Un nome salito agli onori della cronaca nazionale già nel 2017 con un reportage di Fabrizio Gatti su L’Espresso che offriva una descrizione del quartiere tutt’altro che lusinghiera. Nel suo articolo Gatti raccontava un tessuto sociale ormai vecchio e senza prospettive dove i giovani sono “in via di estinzione”, di un quartiere caduto in disgrazia, dove i residenti sono “ostaggi” e i vuoti sono riempiti da “indesiderabili” cioè immigrati, nuovi poveri o piccoli spacciatori e picciotti di mafie straniere. Il meccanismo psicologico difensivo è stato l’esternalizzazione, la richiesta di allontanare una minaccia proveniente dall’esterno, di “mandare via” o di “tenere fuori” qualcosa o qualcuno: gli indesiderati o gli intrusi dal nostro quartiere, le persone fuori dai nostri confini, gli spacciatori via dalle panchine, fuori dai giardini pubblici. Ma il meccanismo mentale che comporta il negare uno spazio a qualcuno implica anche negarlo, fisicamente e mentalmente, a tutti i residenti.
Ci dimentichiamo del ‘Terzo Paesaggio’: gli alberi danno fastidio
Ci siamo abituati a considerare la negazione dello spazio come normale, e abbiamo forse in parte cancellato il paesaggio urbano dalla nostra consapevolezza e non abbiamo pensato agli alberi. Neppure nei centri urbani tutto è economia o società, la città non è solo un ambiente antropico: è anche un luogo di spazi naturali, di ecosistemi, di qualcosa che Gilles Clément chiama “Il Terzo paesaggio”, realtà vitali al tessuto urbano e di cui dovremmo avere cura. Il verde come bene collettivo, e specialmente i grandi alberi, per tante ragioni non sono benvoluti nei centri urbani, sono vissuti dalle amministrazioni come un fastidio: le loro chiome intralciano il movimento dei bracci meccanici, causano responsabilità per danni in caso di caduta rami, la loro manutenzione è costosa, ostacolano il segnale dei sistemi di telefonia. Gli ecosistemi dei grandi alberi a contatto con l’ambiente urbano non sono mai stati una priorità per nessuna amministrazione: il verde urbano viene gestito spesso da società che operano secondo criteri di economia, di profitto, o anche meramente burocratici.
Una colpa kafkiana
Così quella mattina i residenti di via Monti Perticari hanno trovato dei piccoli cartelli appesi al tronco del primo e dell’ultimo dei quarantaquattro pioppi cipressini. Sui fogli era scritto: filare di piante destinate all’abbattimento ai sensi dell’articolo 52 del DPR 753/1980. La decisione era stata presa a seguito di una richiesta della Rete Ferrovie Italiana. La ragione kafkiana della condanna? Si trovano vicino a una ferrovia: la legge dice che gli alberi devono avere una distanza dai binari almeno di due metri superiore alla loro altezza. I binari sono distanti 18 metri, i pioppi sono alti dai 16 ai 21 metri. Al tempo in cui furono piantati, erano a norma, e lo sono stati fino a che erano di dimensioni contenute, ma oggi con la crescita sono finiti per diventare fuorilegge.
Era già successo, ma questa volta intervengono le assemblee di cittadini
I residenti sul momento non hanno saputo cosa fare. L’annuncio sconcertante che gli alberi che proteggono le loro case sarebbero stati abbattuti suonava un po’ come un deja vù. Purtroppo era già successo a giugno 2020, lungo un’altra ferrovia – la Ferrara-Suzzara – nel comune di Bondeno: quel giorno l’abbattimento avvenne senza preavviso e un intero ettaro di verde venne raso al suolo senza pietà, per dichiarate ragioni di “manutenzione della linea ferroviaria”, fatto a cui seguì anche una denuncia alla Procura da parte dei Carabinieri Forestali per il reato di taglio abusivo. Ma ormai, per il bosco, era tardi.
Nel gennaio 2021 qualcosa si è invece mosso grazie ai social. C’è infatti un piccolo comitato di residenti del quartiere GAD, il “Comitato Giardino Diamanti”, dotato di un suo gruppo Facebook, che ha costituito in nuce una forma di consultazione collettiva come un’assemblea cittadina, uno strumento auspicato della democrazia partecipativa. La notizia dell’abbattimento imminente viene immediatamente ripresa da un altro gruppo, La Voce degli Alberi, una associazione dinamica di attivisti. Oggi esistono diversi gruppi e associazioni per la difesa degli alberi e del verde urbano che si sono formati in molte città, proprio perché è sempre più diffusa la sensibilità di cittadini che si ribellano alla facilità con cui si procede alla distruzione di ecosistemi vitali. Poi ancora il tam tam online finisce nel giro della Rete di Giustizia Climatica, di cui facciamo parte anche noi Ribelli di Extinction Rebellion Ferrara, che scriviamo questo articolo. Infine viene portata rapidamente all’attenzione dell’Assessore all’ambiente del Comune di Ferrara, Alessandro Balboni.
L’assessore si attiva, l’amministrazione si consulta con un esperto agronomo, il Dott. Morelli, che a seguito di alcuni sopralluoghi conclude che i pioppi si presentano in ottima salute, sono giovani e si prevede anche molto longevi, caratteristiche per cui si può procedere senza rischio alla ‘riduzione selettiva degli apici’, cioè un intervento di riduzione dell’altezza, che non intaccherà la salute delle piante. Si potrà facilmente riportare gli alberi ad un’altezza inferiore ai sedici metri, e quindi a norma di legge, senza necessità di alcun abbattimento.
I pioppi si sono quindi salvati grazie ad una decisione banale, che poteva essere il risultato in prima istanza di una procedura di routine. La valutazione attenta di soluzioni alternative non è la regola, anche quando potrebbe portare a un intervento più semplice: non sappiamo se ciò avviene per una ragione economica, o per il timore paradossale di un intervento invasivo (come quelli che hanno compromesso la salute dei grandi pioppi cipressini del vicino Viale Belvedere, che in conseguenza di ciò si sono dovuti abbattere).
O forse, ci sono automatismi dettati da politiche aziendali o di singoli enti che agiscono secondo filosofie e interessi propri, per cui quando un albero è causa un qualsiasi problema, anche solo ipotetico, lo si abbatte per prassi, preferendo spianare il campo o al massimo piantarne di nuovi senza porsi troppe domande.
Abbattere gli alberi è diventato nel nostro sistema un fatto automatico. È un carico da vendere a un impianto di biomasse, è una nota burocratica, è la riga di un articolo in un decreto. Un fatto banale, per cui non è previsto che si dedichino pensieri o discussioni. Il merito di avere fermato la decisione, già presa, va riconosciuto all’assessore Balboni, che ha risposto con sensibilità rivolgendo al caso la dovuta attenzione. Tuttavia, è altrettanto vero che gli alberi non sarebbero stati salvati senza una protesta organizzata, e che l’amministrazione si è ‘accorta’ della necessità di tutelarli soltanto a valle della decisione di abbattimento, presa dell’azienda, e solo dopo le petizioni di comitati e associazioni. Questo deve fare riflettere, poiché indica che il sistema non promuove adeguatamente la tutela degli ecosistemi e del verde urbano. La distruzione era già decisa, anche se evitabile. È il risultato di un automatismo, fatto senza pensare.
Contro la banalità del male occorre una Ribellione
La morale che se ne ricava è che la distruzione gratuita procede in modo banale. Viene in mente da sé che la massima di Hannah Arendt si applica a ciò che stiamo facendo al pianeta, a cominciare dai luoghi più vicini a noi. Le minacce per l’umanità e per il pianeta provengono dalla normalità, dall’abitudine, dall’indifferenza, dal conformismo. I pioppi lungo la ferrovia Ferrara-Venezia sono stati salvati da una mobilitazione, ma il bosco lungo la Ferrara Suzzara no. Il “sistema” resta e procede indisturbato se nessuno vi si oppone.
Opporsi al sistema richiede sensibilità, fatica, impegno emotivo ed essere disposti a “pensare a fondo”. Occorre ribellarsi per modificare leggi che incentivino maggiormente l’estensione e la tutela del verde urbano, che tengano indenni i soggetti pubblici o privati per i danni derivati dalla caduta rami, e facciano controlli più severi contro le pratiche di capitozzatura e di taglio ingiustificato. Dobbiamo opporci agli automatismi, cambiare un corso prestabilito. È necessario costruire una nuova cultura, un diverso rapporto con il mondo, dove abbia un ruolo centrale il sentimento della cura, della preoccupazione, per gli alberi come per tutti i sistemi naturali del pianeta, ed estensivamente verso tutto ciò che è fragile, piccolo e prezioso.
Gli alberi fanno la differenza
Gli alberi possono aiutare solo in minima parte la lotta contro l’aumento dei gas serra, il verde urbano e le foreste non bastano, è indispensabile fermare le emissioni di CO2.
In una guerra però, anche una sola baionetta è indispensabile. Le tonnellate di carbonio catturate da un filare di pioppi viventi sono un piccolo prezioso contributo. I grandi alberi all’interno dei centri urbani hanno una funzione cruciale, per la loro capacità di captazione dell’irraggiamento solare e di termoregolazione formano un sistema potente in grado di mitigare il comportamento termico terribile dei materiali da costruzione, come calcestruzzo e asfalto, di cui sono fatte le città. La mitigazione del clima urbano da parte degli alberi ha ricadute enormi anche sul bilancio energetico, poiché riduce il consumo dei condizionatori riducendo quindi le emissioni in un circolo virtuoso, migliorando complessivamente la ‘classe energetica’ della città. Gli alberi perciò non bastano ma sono indispensabili, la loro funzione nei centri urbani è vitale sia per il pianeta che per i residenti della città.
Preoccupiamoci perciò di promuovere, creare e difendere quegli spazi, quei ritagli di natura nel territorio antropizzato che sono stati definiti i ‘rifugi per la diversità’, ovvero ‘i residui, le riserve e i gli insiemi primari’. In primo luogo, impariamo ad interiorizzare questi valori in generale nella nostra cultura.
Con rabbia e amore
Extinction Rebellion Ferrara