‘A Ferrara non c’è mai niente da fare’. Ricordate quando e quanto ci si lamentava? Proprio quando la città della musica estiva, di Ferrara Sotto Le Stelle, del Buskers Festival e tante altre rassegne stava finalmente trovando un fragile equilibrio per la movida invernale, ecco che interviene una pandemia mondiale. Rimpiangendo anche la più triste serata cittadina, ci siamo ritrovati a sperare di vedere ‘sempre la stessa gente’, seduta al solito tavolo o sul solito muretto.
Ma chi sta peggio di noi avventori? Quei kamikaze della musica che camminano sul filo del dramma economico da anni: gestori di club, di sale concerti, ma anche tecnici audio, produzione, tutte le mitologiche figure in possesso del Pass AAA, che spesso ripagano i loro sforzi solo con le birrette che noi acquistiamo al bar del locale o del festival.
Avrete visto, in questi giorni, una pioggia di punti interrogativi, sui social, seguiti dall’hashtag #ultimoconcerto. Qualcuno, preso dall’entusiasmo, ha voluto commentare con il nome dell’ultimo artista visto in concerto ma no, non è questo su cui #ultimoconcerto vuole farci riflettere (anche se grazie alle vostre risposte ho passato un’intera giornata in posizione fetale sul divano, distrutta dalla nostalgia).
“#ultimoconcerto è una campagna collettiva che vuole farci riflettere sul ruolo sociale e culturale che hanno realtà chiuse ormai da oltre un anno – mi racconta Alice Bolognesi, presidentessa di Arci Ferrara -. In questo modo si vuole dare voce ad una categoria che in questi mesi è stata poco tutelata e su cui è necessario puntare l’attenzione per impostare un lavoro di prospettiva. Se proseguirà questa situazione molte realtà saranno costrette e a chiudere definitivamente”.
Arci è una delle istituzioni promotrici dell’iniziativa, assieme a KeepOn LIVE e Assomusica, nonché premurosa mamma di piccole, medie e grandi associazioni culturali che si sono ritagliate il loro spazio nella produzione musicale (e spesso campano con le famose birrette). Tra i figli di Arci qui a Ferrara, il Circolo Bolognesi e Officina Meca hanno deciso di aderire a #ultimoconcerto oltre al Jazz Club, affiliato Endas.
“Abbiamo deciso di aderire all’iniziativa, non solo per sensibilizzare il pubblico a proposito del rischio di chiusura di molti club, ma anche per evidenziare che si tratta di un rischio più concreto di quanto si possa immaginare – interviene Diego Franchini, presidente di Officina Meca -. Molti spazi della cultura hanno anche investito sull’acquisto di protezioni e strutture efficacissime per il contingentamento, nel rispetto delle norme, per poi non poterle nemmeno utilizzare. Il pubblico deve essere consapevole del fatto che i concerti visti a febbraio 2020 possono gli ultimi concerti di tante realtà. Noi stiamo scalpitando per riprendere in mano il nostro cineforum, la rassegna di stand-up comedy, il nostro festival Carino, ma senza poterci dare delle tempistiche non è facile costruire”.
“Il circolo ha chiuso il 24 febbraio 2020 e, a parte una manciata di aperture ad ottobre, continua ad essere chiuso senza sapere quando potrà riaprire. Difficile fare pronostici perché l’incertezza rimane forte anche se ci sentiamo ovviamente pronti a ripartire appena si potrà, adottando tutte le misure che serviranno così come avevamo fatto ad ottobre. – aggiunge Caterina Montosi, presidentessa del Circolo Bolognesi –. Una cordata cosi importante come quella promossa da questa iniziativa è sicuramente il modo migliore per porre l’attenzione sulla problematica di una futura ripartenza che non è cosi scontata né semplice per nessuno”.
Lorenzo Guio invece parla per il Blackstar: “Noi abbiamo la fortuna che avendo un grande parco estivo possiamo raggranellare qualcosa, ma la sostenibilità è molto molto lontana. I locali che non hanno un estivo come fanno? Non dovrebbero essere costretti a chiudere. Inoltre, in quanto circolo, il decreto ci impedisce di effettuare somministrazione di cibo e bevande, cosa che altri spazi con altre ragioni sociali possono fare. Crediamo che forse, vista la situazione, un’apertura in questo senso, per aiutarci a sopravvivere potrebbe essere davvero un grande aiuto. Abbiamo deciso di aderire a #ultimoconcerto perché crediamo nel fare rete e nell’unirsi per ottenere qualcosa. A prescindere dalle dimensioni del locale o dal territorio, abbiamo tutti problematiche comuni. L’iniziativa ci ha convinto come sviluppi e obiettivi e crediamo nel lavoro di supporto che KeepOn LIVE svolge da anni per gli spazi come il nostro’.
Tra i promotori dell’iniziativa, appunto, KeepOn LIVE, associazione di categoria che tutela un’importante rete di live club e festival nazionali. Il direttore del circuito, Federico Rasetti spiega: “Questa iniziativa non vuole essere un esercizio di stile o una protesta fine a sé stessa, ma un veicolo delle richieste e delle soluzioni emergenziali necessarie a far si che queste sale non solo sopravvivano, ma possano proliferare”.
Di getto, chiedo a Federico: quanti Live Club italiani rischiano effettivamente la chiusura ad oggi (e quanti lavoratori si troveranno senza lavoro)?
“Domanda complessa. Lato Live Club, prima di dichiarare la chiusura della propria struttura si fa di tutto per salvarla; lo scenario è talmente mutevole che bastano pochi spiragli di apertura per facilitare prestiti, piccoli ritorni da eventi collaterali o qualche iniziativa di crowdfunding. Posso dire che solo il 10% – 15% si ritiene sicuro di ripartire – se sarà possibile – a ottobre. Un dato è certo, pandemia a parte, negli ultimi 10 anni il numero di questi spazi si è quasi dimezzato. La pandemia ha evidenziato quanto il fatto che queste attività non abbiano un riconoscimento giuridico formale, e che non ci sia una normativa sullo spettacolo dal vivo aggiornata, stia lentamente generando una fortissima crisi. Lato lavoratori, gli ultimi dati sui Live Club stimano 30mila occupati – dal gestore, al direttore artistico, passando dagli artisti professionisti, tecnici, reparti di comunicazione, maschere e l’indotto generato.
Tengo a precisare però che l’impatto di questi luoghi non sia tangibile solo su economie e lavoro, ma anche sul territorio: spesso si tratta di centri di rigenerazione urbana o che grazie alla loro attività rendono i quartieri più sicuri perché presidiati; sono centri che diffondono buone pratiche sociali e ambientali, contribuendo di fatto a quello che ogni ente locale dovrebbe perseguire: la crescita civica e civile della propria popolazione.”
Precisa Alice Bolognesi di Arci: “In alcune zone della nostra provincia, chiudere il Circolo significa perdere completamente il punto di ritrovo e di aggregazione sociale. Questa situazione fa emergere un quadro doppiamente sconfortante: da un lato la mancanza di lavoro e dall’altra il completo isolamento sociale, aggregativo e culturale”.
Come aiutare queste realtà? Chi ci sta pensando?
“A livello istituzionale, Arci sta monitorando l’evolversi della situazione normativa nonché l’emanazione di contributi e misure a sostegno dei circoli, sia a livello governativo, che a livello regionale e locale – spiega Alice -. Come Comitato comunichiamo e seguiamo i circoli nella presentazione delle istanze e della documentazione. Purtroppo non sono ancora stati stanziati, a livello nazionale, fondi specifici a sostegno del Terzo Settore, tanto che gli unici contributi arrivati finora sono i ristori messi in campo per le partite iva sofferenti, che di fatto escludono tutte le associazioni che non svolgono neppure in via secondaria e strumentale attività di tipo commerciale. Un’altra importante lacuna riguarda l’assenza, a differenza del primo lockdown, di dilazioni nel pagamento delle utenze non domestiche, di fronte alle quali cerchiamo di supportare i circoli nella richiesta di ulteriori rateizzazioni. La regione Emilia-Romagna, con un bando ad hoc destinato a APS e ODV, e le amministrazioni locali sono stati più puntuali nell’inquadrare la figura dei nostri affiliati e hanno stanziato contributi mirati al mondo associativo”.
Federico aggiunge: “Se c’è un aspetto in apparenza salvifico di questo comparto è la sua creatività, anche nell’immaginare soluzioni. Sono nate campagne di crowdfunding, iniziative di delivery accompagnato a merchandising del locale, piccoli eventi estivi, qualche concerto in streaming accompagnato da donazioni (perché lo streaming vero non salverà il settore dei Live Club, anzi), ma la realtà è che questa stessa creatività è al contempo la nemesi di questa categoria formata da eroi, completamente ignorati dal dibattito pubblico perché capaci di rinnovarsi e resistere ai cambiamenti. KeepOn agisce unendo da anni queste realtà e facendosi loro portavoce con le istituzioni – che vanno educate a comprendere le specificità e le ricchezze di questo settore.
Esistono tre tipi di soluzioni su tre differenti tempistiche: emergenziali, la richiesta di un fondo ad hoc “salva club” (basterebbero dai 4 ai 6 milioni di euro per salvare la categoria, la stessa cifra percepita come ristoro da ogni singola multinazionale o – quasi – grande teatro); di riconoscimento, vedi ciò che è stato fatto sui cinema d’essai; e di riforma, per garantire lo sviluppo futuro di questi luoghi con provvedimenti che vanno dall’equiparazione delle capienze, all’abolizione dell’ISI all’equiparazione dell’IVA al 10% sui differenti spettacoli e alcuni altri punti”.
Sono sicura che ad ottobre – o chissà quando – le birrette in questione avranno un sapore diverso per tutti noi.
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1 commento
Bellissimo articolo e sacrosante parole !!